“Il cappello di paglia di Firenze” al Teatro Petruzzelli di Bari

Bari, Teatro Petruzzelli – Stagione d’Opera 2014
“IL CAPPELLO DI PAGLIA DI FIRENZE”
Farsa musicale in quattro atti e cinque quadri, libretto di Nino Rota ed Ernesta Rinaldi
Musica di Nino Rota
Fadinard GIULIO PELLIGRA
Nonancourt  DOMENICO COLAIANNI
Beaupertuis
PIETRO DI BIANCO
Lo zio Vézinet
FRANCESCO CASTORO
Emilio
FRANCESCO PAOLO VULTAGGIO
Achille di Rosalba FRANCESCO CASTORO
Una guardia PASQUALE SCIRCOLI
Un caporale delle guardie GIUSEPPE IPPOLITO
Minardi DOMENICO PASSIDOMO
Elena DAMIANA MIZZI
Anaide FRANCESCA BICCHIERRI
La baronessa di Champigny FRANCESCA ASCIOTI
La modista ANNAMARIA BELLOCCHIO
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore Giuseppe La Malfa
Maestro del Coro Franco Sebastiani
Regia Elena Barbalich
Scene e costumi Tommaso Lagattolla
Disegno luci Michele Vittoriano
Bari, 13 settembre 2014

Il cappello di paglia di Firenze, produzione e allestimento della Fondazione Petruzzelli, dopo aver raccolto successo nel circuito teatrale del Nord Italia, torna finalmente a Bari dove fu concepito. Lo spettacolo spicca per particolare raffinatezza delle scene e dei costumi affidati alla realizzazione di Tommaso Lagattolla che merita di essere nominato per primo in quanto ha saputo veicolare, in termini visivi, il senso dell’opera di Rota: all’apparenza (e come esplicita la denominazione di genere) una farsa, ma in realtà uno squisito campionario di allusioni (ora scoperte, ora sottili) a tre secoli di melodramma, un metateatro squisitamente musicale che trae la propria verve comica non solo dai risibili malintesi di cui è disseminato il libretto, ma anche dagli ammiccamenti ai gorgheggi settecenteschi, alla retorica verdiana (Nonancourt è un Monterone fuori luogo), al melodismo di Puccini, all’eloquio wagneriano, ai giochi ritmico-verbali di Mozart. Questa ricchezza di stratificazione musicale comporta una complessità linguistica che la ‘scrittura visiva’ di Lagattolla ha saputo duplicare con sapienti rimandi al modernismo, al déco, all’Art Nouveau, fino alle silhouettes settecentesche o all’orfismo di Kupka; il tutto incorniciato dalle ‘luci della ribalta’, perimetro luminoso da avanspettacolo che ha ricordato al pubblico come, in realtà, tutto rientrasse nello spirito del vaudeville, così tanto amato da Rota. Memorabile il momento in cui il temporale (altro topos operistico) veniva effigiato da ombrelli aperti, inizialmente calati alla stregua di gocce giganti, dietro a una maglia di listelli funzionale agli splendidi giochi di luce di Michele Vittoriano. La regia di Elena Barbalich ha rimarcato gli elementi farseschi del libretto richiedendo un’accentuazione della gestualità che ha spesso lasciato ai cantanti un’eccessiva libertà nel caricare i loro personaggi, facendoli scadere a maschere. Tra la raffinatezza estetizzante dello scenografo costumista (gli abiti mostravano una cura per il dettaglio e una sapienza cromatica davvero inusitata) e la volontà da parte della regista di recuperare uno spirito grottesco, si avvertiva dunque una certa frizione in diversi punti dell’opera (non così nell’intermezzo delle modiste, tra primo e secondo atto, il cui marionettismo è risultato delizioso). Gustose le coreografie di Danilo Rubeca che per i danzatori prevedevano l’uso di pattini a rotelle, ad incremento di un già forte dinamismo scenico.
La direzione di Giuseppe La Malfa per l’intero primo atto non ha saputo arginare una certa distrazione dei cantanti (complice forse l’ottima prova generale) e i (non pochi) mancati ‘attacchi’ hanno conferito una generale imprecisione che è tuttavia sfumata nel corso della recita. Il tenore Giulio Pelligra (Fadinard) ha stentato, sulle prime, a trovare il giusto volume per porsi in un buon rapporto con un’orchestra a tratti invadente. La sua prova è andata poi migliorando quanto a fraseggio e timbro; fin da subito centrato, invece, il personaggio e la sua resa scenica. Vero mattatore della serata è stato il baritono Domenico Colaianni, acclamato dal pubblico della sua città, che ha restituito un buffonesco Nonancourt di irresistibile comicità (il momento in cui si spaparanza ubriaco al cospetto della baronessa è degno di essere affiancato alle migliori gag di Totò o di Fantozzi) affiancata sempre da una dizione impeccabile e da una pienezza vocale che non conosce cali. Ottima la prova di Damiana Mizzi, pulitissima nell’emissione, elegante nel timbro e sicura nei non rari momenti di sfoggio belcantistico. Pienamente riuscito anche il Beaupertuis di Pietro di Bianco che si conferma una tra le voci baritonali più promettenti della sua generazione. Convincente l’interpretazione di Francesca Bicchierri (Anaide) e Francesca Ascioti (Baronessa) e buone le restanti parti di fianco, con particolare menzione al bravo Francesco Castoro. Foto Carlo Cofano