“La cambiale di matrimonio” al Valli di Reggio Emilia

Reggio Emilia, Teatro Valli, Stagione lirica 2013-2014
“LA CAMBIALE DI MATRIMONIO”
Farsa comica in un atto su libretto di Gaetano Rossi
Musica di Gioachino Rossini
Tobia Mill MARCO GRANATA
Fanny NAO YOKOMAE
Edoardo Milfort LORENZO CALTAGIRONE
Slook FUMITOSHI MIYAMOTO
Norton ANDREA PELLEGRINI
Clarina FEDERICA CACCIATORE
Orchestra del Conservatorio di Musica “A. Boito” di Parma
Direttore Francesco Cilluffo
Regia Andrea Cigni
Scene Dario Gessati
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Fiammetta Baldiserri
Interpreti della Scuola di Canto del Conservatorio di Musica “A. Boito” di Parma, coordinati da Lelio Capilupi, Donatella Saccardi Produzione realizzata in collaborazione con Conservatorio di Musica “A. Boito”, Liceo Artistico Statale “Paolo Toschi”, Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato “Primo Levi” di Parma Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma in coproduzione con Fondazione iTeatri di Reggio Emilia
Reggio Emilia, 28 marzo 2014

La cambiale di matrimonio Le regolari stagioni dei teatri italiani sono ormai affollate da rappresentazioni di giovani cantanti di vario tipo: concorsi su ruolo (As.Li.Co., Opera Studio di Livorno, le produzioni del conservatorio di Cesena…), accademie di perfezionamento interne ai teatri (Accademia della Scala, la defunta Scuola dell’Opera di Bologna o quella del Carlo Felice di Genova…) e rappresentazioni concepite per mettere in mostra i migliori talenti di una determinata scuola, come il Cubec della Freni o, in questo caso, il Conservatorio di Parma. Tutto ciò sarebbe molto bello, se veramente fosse un modo per inserire i giovani cantanti nel mondo del lavoro. Ma questo genere di situazione è ormai talmente diffusa che ormai si può dire tranquillamente che, dietro la facciata dell’“aiutare i giovani” (che sono poi sempre giovani cantanti, quasi mai giovani registi o giovani direttori), questo sia diventato semplicemente un modo per fare un titolo in più senza pagare i cantanti (i quali, anzi, molte volte sponsorizzano attivamente lo spettacolo pagandosi le spese da soli). Così si vedono tanti giovani cantanti passare da un “alto perfezionamento” all’altro nella speranza di essere finalmente notati, fino a quando non sono più giovani cantanti.  Questi cantanti per lo più non sono selezionati perché il direttore artistico di La cambiale di matrimonio turno pensi che possano veramente fare una carriera ma semplicemente perché abbisogna di persone che riempiano quei determinati ruoli. La caratteristica principale che deve avere il giovane cantante italiano (al pari di ogni altro lavoro creativo in questo paese) è quella di avere dei genitori che possano mantenere questo costoso “hobby”. Ci si potrebbe poi anche chiedere quanto sia corretto inserire queste rappresentazioni in abbonamento e far pagare il pubblico quasi quanto per quelle di “professionisti”. Allontaniamo questi tristi pensieri e dedichiamoci a questa messinscena del Conservatorio di Parma della prima farsa di Rossini. Forse in un tentativo di richiamare pubblico (tentativo non riuscito: il vasto teatro Valli era pieno al 60% circa), la serata è stata introdotta dal noto scrittore Alessandro Baricco, piacevole divulgatore che ha ripetuto con molto garbo alcuni aneddoti rossiniani e una serie di ben noti luoghi comuni di sociologia della musica (il gioco d’azzardo nei teatri dal Settecento al primo Ottocento, la corrispondenza fra La cambiale di matrimonioil posto occupato nel teatro e il posto occupato nella società, ecc…), riuscendo nel difficile compito di non dire sciocchezze ma senza aggiungere alcunché all’ascolto dell’opera. La serata sarebbe stata piacevole se non fosse stata funestata dai contributi non necessari del regista e (incredibile dictu) del “continuista”. Per un regista il problema della Cambiale di matrimonio è che il libretto di Gaetano Rossi è insulso e non offre il minimo spunto comico. Il regista ha due strade: potrebbe accontentare di curare la recitazione dei cantanti, in modo che i personaggi prendano un po’ di corpo e il ritmo dello spettacolo sia sempre scorrevole o potrebbe cercare di farsi venire delle “idee”. Disgraziatamente Andrea Cigni ha tentato la seconda strada. Le scene di Dario Gessati e i costumi di Valeria Donata Bettella erano graziosissimi ed evocavano un idillico allevamento di vacche e caseificio (di parmigiano, naturalmente) del primo Novecento, una sorta di Blandings all’emiliana, forse per rendere evidente il parallelismo tra donna e merce istituito dal La cambiale di matrimonio rozzo Slook. La gradevolezza visiva lasciava sperare in uno spettacolo divertente. Purtroppo però il regista ha deciso di improntare la recitazione ad un registro puramente farsesco, nel suo senso deteriore e provinciale, con – ad esempio – un Norton molto effeminato che sarebbe stato fuori luogo perfino in un “cinepanettone”. Il ritmo, così essenziale alla commedia, è stato appesantito e distrutto da piccole gag senza senso che non sono riuscite nemmeno a far sorridere. La grande trovata è stata quella di mettere in scena il finale dell’opera come una parodia del Rinaldo di Pier Luigi Pizzi (che il pubblico di Reggio Emilia ha visto a più riprese, l’ultima nel 2012), in cui i personaggi duellavano in sella a umili vacche di resina (o simili), anziché a pomposi cavalli barocchi. In teoria sembra una citazione divertente. Ma nella pratica è stato solo un gran trambusto. Il colpo di grazia lo ha dato però Riccardo Mascia al fortepiano, che seguendo e moltiplicando la ridicola moda odierna del continuista con manie di protagonismo (una pratica assolutamente bandita all’unanimità da tutti i trattati settecenteschi e ottocenteschi) ha ritenuto opportuno disturbare e La cambiale di matrimoniointerrompere i recitativi con inutili interpolazioni (contromelodie che sovrastano la linea del canto, cluster alla David Tudor, citazioni improbabili che dovrebbero divertire) mandando a quel paese il dramma. Sul podio Francesco Cilluffo (subentrato all’ultimo momento a un docente del Conservatorio di Parma, protestato dalla direzione artistica del Regio) ha fatto quel che ha potuto con un’orchestra che tradiva talvolta le sue origini studentesche (a partire dai soli di corno ed oboe nella Sinfonia). Fra i giovani cantanti si sono ascoltate alcune buone voci. La rivelazione della serata è stata senza dubbio il basso-baritono Marco Granata (Tobia Mill), voce scura, potente ed estesa. Il sillabato richiesto dalla La cambiale di matrimonio parte non lo ha colto impreparato, ma è chiaro che si tratta di una voce più lirica, che speriamo di risentire in teatro in ruoli di “basso cantante” mozartiano (Conte) e rossiniano (Alidoro). Il giapponese Fumitoshi Miyamoto (Slook), ancorché improbabile in ruolo buffo italiano, ha esibito un bel timbro da baritono leggero, dotato di un piacevole “squillo”. L’altra giapponese, Nao Yokomae (Fanny), non è sempre precisissima nelle colorature ma ha una voce di sopranino duttile e ben proiettata. Funzionale il tenore Lorenzo Caltagirone (Edoardo Milfort), dal timbro simpatico nonostante una tecnica disordinata. Completavano il cast il corretto soprano Federica Cacciatore (Clarina) e il baritono Andrea Pellegrini (Norton), dalla voce bella e presente, anche se occasionalmente ingolata. Speriamo di poter riascoltare qualcuno di questi giovani in una produzione “vera”. P.V.Montanari