“La traviata” a Casciana Terme

Accademia Giuseppe Verdi di Casciana Terme – Stagione d’Opera 2014/2015
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry  PATRIZIA CIGNA
Flora Bervoix  MIRELLA DI VITA
Annina  MARIA GAIA PELLEGRINI
Alfredo Gérmont  ANGELO FIORE
Giorgio Gérmont  CARMELO CARUSO
Gastone, Visconte di Letorières  GIAMPAOLO FRANCONI
Il Barone Douphol  MICHELE PIERLEONI
Il Marchese d’Obigny  ROMANO FRANCI
Il Dottor Grenvil  MASSIMILIANO GALLI
Giuseppe  ALBERTO FONTI
Un domestico di Flora  ROBERTO CRISTIANI
Un commissario  ROBERTO CRISTIANI
Zingarelle  ELISA GIOVANNELLI, MICHELA GIANNELLI, ALESSIA KEREYKU
Orchestra Festival Pucciniano
Direttore  Matteo Beltrami
Coro Schola Cantorum Labronica
Maestro del Coro  Maurizio Preziosi
Regia  Renato Bonajuto
Scene  Emiliana Paoli
Costumi  Sartoria Teatrale Bianchi, Milano
Casciana Terme (PI), 24 maggio 2015

Quel che salta immediatamente all’occhio, alla sola visione della locandina, è la qualità delle forze reclutate dall’Accademia Giuseppe Verdi per questa unica rappresentazione della Traviata in una piccola cittadina di provincia come Casciana Terme: un’orchestra di rango come quella del Festival Pucciniano, un direttore, Matteo Beltrami, presente nei cartelloni dei maggiori teatri, un regista, Renato Bonajuto che oltre ad aver una propria florida carriera è anche direttore artistico di un importante teatro di tradizione, ed infine una protagonista dalle credenziali rispettabilissime. Tale esperienza ha fatto sì che, ad onta di un numero esiguo di prove, il prodotto finale fosse pressoché privo di quel sentore di improvvisazione che spesso aleggia in allestimenti nati in simili circostanze, e che non sfigurerebbe in teatri ben più blasonati.
Bonajuto, insieme alla scenografa Emiliana Paoli, ha immaginato una Traviata che pur rimanendo nei sicuri confini della tradizione era permeata da idee e soluzioni per niente scontate ed anzi ricche di una certa originalità, ricetta che crediamo sia quella giusta per presentare spettacoli lirici ad un pubblico tutto sommato “conservatore”. Bonajuto ha immerso la vicenda nello style liberty dei primi anni del Novecento, in una casa di tolleranza di lusso, in cui Violetta, lungi dall’offrire cene eleganti, intrattiene gli avventori insieme alle discinte compagne di avventura. L’atmosfera si fa ancor più débauchée alla festa di Flora, in cui torero e zingarelle si abbandonano a danze lascive tanto da incoraggiare anche alcuni ospiti/clienti a improvvisare fortunatamente incompleti spogliarelli. Personalmente ho gradito il tentativo di non nascondere l’aspetto sordido della vicenda in una cornice che non intimoriva il pubblico, il tutto realizzato con economia di mezzi.
Matteo Beltrami si è tenuto nello stesso solco, con una lettura anch’essa ancorata alla più solida tradizione, senza momenti particolarmente individuali (impossibili forse date le circostanze) ma sempre mantenendo una visione drammatica consistente. Molto bello il Preludio in cui i motivi della malattia e della morte della protagonista, quello della passione amorosa e gli svolazzi dei violini che stanno a significare i pettegolezzi ed il mondo esterno che tale passione rovina mantengono un sostanziale equilibrio; una direzione sobria, commovente senza eccessivi sentimentalismi (evitando per fortuna gli eccessivi ritardando sulla frase di Violetta “Ah perché venni incauta” e quella simile poco dopo). Se comprensibile è il taglio delle seconde strofe delle arie di Violetta (Addio del passato dovrebbe comunque esser eseguito interamente) e i daccapo della cabalette di Alfredo e Gérmont, meno giustificabile è il ricorso alla vecchia tradizione di eliminare ogni intervento dei solisti dopo la morte della protagonista.
Molto preciso, energico ed efficace anche il coro Schola Cantorum Labronica diretto da Maurizio Preziosi.
Fra le parti secondarie spiccavano la Flora sopranile di Mirella di Vita, capace di snocciolare i gruppetti della sua frase più importante (“La volpe lascia il pelo”), il timbro penetrante dell’Annina di Maria Gaia Pellegrini e la limpida voce baritonale del Douphol di Michele Pierleoni.
Violetta Valéry è uno di quei ruoli feticcio che nel corso della sua storia ha notoriamente irretito un’amplissima gamma di soprani di quasi ogni di tipo, dal lirico spinto al leggero; ed è proprio a quest’ultima categoria che appartiene Patrizia Cigna, la quale, forte di una buona tecnica, ha risolto brillantemente le numerosissime difficoltà vocali; come prevedibile l’atto a lei maggiormente congeniale è stato il primo, in cui ha dimostrato facilità nel registro acuto e sovracuto, fino al bel mi bemolle con cui ha chiuso la grande aria, nonché agilità precise e accurate; in particolare vorrei sottolineare la destrezza con cui, nel daccapo di “Sempre libera”, ha unito in un sol fiato il do acutissimo a quello un’ottava sotto nella frase “Ah” a diletti sempre nuovi”. Altri momenti da ricordare sono stati “Amami Alfredo” in cui direttore e soprano hanno seguito le indicazioni di Verdi in orchestra (“Amami” in ff seguito dal piano di “Alfredo”), e la lamina di voce ben controllata e legata con cui ha intonato “Alfredo, Alfredo” nel concertato del secondo atto. Trovare Violette completamente soddisfacenti da ogni punto di vista è impresa ben ardua, e in questo caso il tallone di Achille della Cigna è stata la mancanza di sensualità, di febbricitante frenesia alla fine del primo atto. Nel resto dell’opera ha saputo più o meno ricrearsi una sorta di generica ancorché artificiosa drammaticità, nella misura almeno in cui glielo consentiva il peso vocale di soprano leggero.
Carmelo Caruso non dispone di un timbro particolarmente accattivante ma non vi è dubbio che possieda i mezzi tecnici per affrontare con successo il ruolo di Gérmont, un pater familias sostanzialmente convenzionale che comunque faceva qua e là intravedere sprazzi di una personalità meno sorvegliata, come il modo maliziosamente ammiccante con cui faceva presente a Violetta che in fin dei conti è ancora bella e giovane. Poco da eccepire nella prestazione di Angelo Fiore che nei panni di Alfredo ha vocalmente dominato la serata. Il giovane tenore siciliano ha voce da tenore lirico gradevole senza esser ammaliante, di medio volume e sviluppata in verticale, con un timbro ricco di armonici soprattutto nel facilissimo squillante registro acuto  Nonostante qualche gigionata (l’interpolazione del do acuto nell’intervento fuori scena di Alfredo durante “Sempre libera” è datata e di dubbio gusto), ha dimostrato di non esser solo una macchina per acuti e di poter produrre dei bei pianissimi ad ogni altezza; il recitativo dai tempi dilatati ha conferito maggior importanza a “Dei miei bollenti spiriti”, seguita da un’infuocata cabaletta, conclusa ovviamente da una puntatura all’ottava superiore.
Come segno ulteriore delle ambizioni dell’Accademia Giuseppe Verdi, il prossimo titolo della stagione dopo la pausa estiva sarà Il matrimonio segreto, capolavoro ingiustamente caduto da tempo nel dimenticatoio e pertanto una sfida per chiunque voglia riproporlo.