“Les pêcheurs de perles” all’Auditorium RAI di Torino

Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2014-2015
“LES PÊCHEURS DE PERLES”
Opera in tre atti su libretto di Michel Carré ed Eugène Cormon
Musica Georges Bizet
Nadir, pescatore PAOLO FANALE
Zurga, capo dei pescatori LUCA GRASSI
Leïla, sacerdotessa di Brahma ROSA FEOLA
Nourabat, gran sacerdote di Brahma LUCA TITTOTO
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Ryan McAdams
Maestro del Coro Martino Faggiani
Esecuzione in forma di concerto con elementi semiscenici
Torino, 12 marzo 2015
C’è un’India (quasi) interamente inventata, popolata di tigri feroci, di principi avvolti in candide vesti, di scimitarre insanguinate, di sacerdotesse consacrate a Brahma, di eroi e di avventurieri, di misteri della jungla e di notti di passione … È il continente indiano dei romanzi di Emilio Salgari e di Luigi Motta, delle Novelle Indiane di Rachele Motta Saporiti e di tutta quella letteratura che faceva sognare gli adolescenti italiani tra seconda metà Ottocento e prima del Novecento (insomma, dal Gian burrasca di Vamba in su). Evidentemente, però, consimili prodotti d’oltralpe non suggestionavano allo stesso modo il pubblico parigino del Théâtre-Lyrique, considerato che Les pêcheurs de perles di Georges Bizet non ebbero molto successo, quando furono presentati per la prima volta nel 1863, soprattutto a causa della sceneggiatura, frettolosamente approntata da Carré e Cormon per il giovane compositore (Bizet all’epoca aveva ventiquattro anni).
L’occasione di riascoltare a Torino l’opera nella purezza delle sue forme musicali è dunque molto preziosa, sia perché nasce dalla collaborazione tra Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Centro Produzione TV di Torino e Teatro Regio di Parma, sia perché l’esecuzione si basa sulla versione originale della partitura, ripristinata nel 1974 da Arthur Hammond. Ma chi apprezza le voci liriche si compiace soprattutto di un quartetto interamente italico, adeguato alle parti e alla scrittura belcantistica di Bizet. C’è poi un altro giovane, il direttore Ryan McAdams, che guida l’OSN RAI con notevole sicurezza: sin dalla breve sinfonia imposta le sonorità su volumi piuttosto robusti, sorretti in particolar modo dagli ottoni, ma conservando una tinta orchestrale calda e ombreggiata. È apprezzabile che sappia valorizzare anche i momenti cameristici tra scena e scena, quando il suono orchestrale si riduce a pochi elementi. Sempre dà frutti la sua ricerca di colori specifici, così come la capacità di ripercorrere le numerose strutture ricorrenti all’interno della partitura, a profilare un Bizet appena venato di wagnerismo; ma è con la grandiosità degli intermezzi corali e della relativa orchestrazione che il direttore fa capire quanto il compositore debba al genere internazionale del grand-opéra.
Luca Grassi è un baritono di consolidata esperienza, con venticinque anni di carriera alle spalle; ha voce chiara, dall’emissione leggermente schiacciata sulle note basse come sugli acuti, in una linea di canto improntata alla correttezza (modello stilistico potrebbe essere indicato in Giorgio Zancanaro, con i pregi della professionalità e i limiti di una personalità vocale non troppo marcata); il timbro è davvero pregevole, mentre scarseggiano i colori e l’attenzione al fraseggio.
Il giovane tenore palermitano Paolo Fanale dà voce a uno dei ruoli più affascinanti di tutta l’opera dell’Ottocento, il Nadir dell’aria «Je crois entendre ancore», che senza dubbio ogni melomane rammenta nel timbro e nei colori del suo tenore favorito: da Caruso a Gigli, da Kraus a Domingo, da Gedda a Villazon, tutti hanno lasciato memoria discografica di questa celebre e struggente pagina. La voce di Fanale è impostata molto “in alto”, e quindi risuona bene nella tessitura acuta, sebbene talvolta risulti spoggiata (e non del tutto priva di difetti d’intonazione). Ma la freschezza e il trasporto affettivo garantiscono indubbiamente le emozioni giuste che il personaggio deve far sgorgare nell’ascoltatore; piccolo rimpianto è lasciato dalla leggera impazienza di terminare, che Fanale tradisce mentre canta la prima strofe; i difficilissimi acuti conclusivi, comunque, sono molto convincenti nel falsettone con cui l’artista li risolve.
Rosa Feola è un autentico soprano lirico della migliore scuola italiana, capace di emettere suoni acuti pieni e ricchi di armonici, di sostenere adeguatamente agilità e colorature, e al tempo stesso di fraseggiare con intensità drammatica (i recitativi del II atto richiedono infatti assai più che una cantante belcantista). Nei duetti con Nadir, si percepisce come la Leïla della Feola riesca molto più espressiva e partecipe di quanto accade nel corso della vicenda. Certamente il magnifico duetto d’amore del II atto è il momento vocalmente meglio riuscito (peccato che il soprano voglia primeggiare in tutto, prolungando oltre misura la messa di voce conclusiva; ma anche questo è segno di un temperamento ben determinato). Altro numero d’insieme molto riuscito è il duetto tra soprano e baritono del III atto.
Completa il quartetto il basso Luca Tittoto nella parte di Nourabad, con voce sicura e grande attenzione all’espressività. Il Coro del Teatro Regio di Parma, istruito da Martino Faggiani, è semplicemente impeccabile nei pochi ma sostanziosi momenti che lo coinvolgono. E il pubblico della stagione di concerti apprezza moltissimo l’opera, festeggiando tutti gli esecutori e il direttore con grandi acclamazioni, al termine della prima parte e ancor più alla fine.
Mentre i cantanti affrontano i vari numeri dell’opera, sullo schermo scorrono immagini di enormi boa che stritolano inermi malcapitati, di templi turriti in stampe seppiate; incisioni acquerellate di divinità indù e di paesaggi orientali; sgargianti copertine di romanzi d’antan, con i titoli cari al gusto del tempo: Alla conquista di un impero, La pagoda d’oro (Salgari), Il vendicatore di Brahma, Il trionfo di un impero, I misteri del mare indiano (Motta). Libri di avventure e di intrighi sentimentali che illustrano bene l’esotismo culturale che affascina tutta la seconda metà dell’Ottocento, e non soltanto.    Foto OSN RAI