“Luisa Miller” all’Opéra de Lausanne

Lausanne, Théâtre de l’Opéra – Saison 2013-2014
“LUISA MILLER”
Opera in tre atti su libretto di Salvatore Cammarano,
ispirata alla tragedia Kabale und Liebe di Friedrich von Schiller
Musica di Giuseppe Verdi
Luisa Miller  LANA KOS
Miller  LUCA SALSI
Il conte di Walter  GIOVANNI FURLANETTO
Rodolfo  GIUSEPPE GIPALI
La duchessa Federica  MARIE KARALL
Wurm  DANIEL GOLOSSOV
Laura  CÉLINE MELLON
Un contadino  NICOLAS WILDI
Orchestre de Chambre de Lausanne
Choeur de l’Opéra de Lausanne
Direttore Roberto Rizzi Brignoli
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Regia Giancarlo del Monaco
Scene e costumi William Orlandi
Luci Vinicio Cheli
Nuova produzione dell’Opéra de Lausanne, in coproduzione con la Opera Australia
Lausanne, 30 marzo 2014

Il barbiere di Siviglia di Rossini, Dorilla in Tempe di Vivaldi, Die lustigen Weiber von Windsor di Nicolai: sono gli ultimi quattro titoli dell’ambiziosa stagione in corso presso il piccolo (ma delizioso) Théâtre de l’Opéra de Lausanne. E prima si erano avvicendati L’Orfeo di Monteverdi, Le voyage dans la lune di Offenbach, Hänsel und Gretel di Humperdink. Nel mese di marzo invece hanno avuto luogo cinque recite di una Luisa Miller raccomandabile e assai godibile sotto ogni punto di vista: ottima la direzione orchestrale, più che buona la compagnia vocale, coerente e convincente l’allestimento scenico. E infatti il pubblico di Lausanne risponde con calore, sia al termine dei primi due atti sia alla fine del III, acclamando tutti gli interpreti e dimostrando buona soddisfazione.
Di formazione milanese, di carriera scaligera, Roberto Rizzi Brignoli guida un’orchestra giovane, dal suono fresco e pulito, molto appassionata nell’interpretare la ricchissima partitura verdiana. La Luisa Miller di Rizzi Brignoli è improntata sulle dinamiche interne, sui nervosismi degli archi, sull’agogica studiatissima che collega la sinfonia ai numeri corali alle scene di presentazione dei singoli personaggi. Nei pezzi d’insieme e nei concertati la direzione è molto salda ed equilibrata: nelle sonorità mai prevaricanti; nei tempi giusti e ben sostenuti; nella ricerca dei colori espressivi (soprattutto grazie al dialogo tra archi e fiati). Uno dei momenti più valorizzati è il concertato del finale I: solenne e analitico nella progressione, Rizzi Brignoli sottolinea come questo sia il centro del dramma, con il disonore del vecchio soldato Miller e la parziale rivelazione del delitto compiuto dal conte di Walter e Wurm.
Lana Kos, di origine croata, è un soprano dalla voce pastosa e dal timbro molto bello (anche se all’inizio non è del tutto esente da risonanze stridule); nel corso della recita riesce a sfruttare sempre meglio il fiato, e la linea di canto raggiunge la giusta gradazione elegiaca soprattutto con l’aria «Tu puniscimi, o Signore» del II atto. Si conferma voce verdiana interessante, come già si era presentata lo scorso agosto all’Arena di Verona, dove ha interpretato la parte di Violetta.
L’albanese Giuseppe Gipali è il tenore che la affianca con buoni risultati: la voce è delicata e vibrante (a volte anche un po’ troppo), efficace nel corso dei primi due atti, ma ovviamente tutta tesa al momento fatidico di «Quando le sere al placido». Il tenore si disimpegna bene, anche perché dimostra come il suo profilo vocale si adatti al ruolo lirico del repertorio italiano romantico (non a caso ha tra i suoi numerosi ruoli l’Edgardo di Lucia di Lammermoor). Se anche il fraseggio non è molto approfondito, la linea di canto è però corretta, credibile, convincente; quasi meglio dell’aria riesce anche la cabaletta «L’ara o l’avello apprestami» con cui si chiude il II atto. Nel lungo duetto del III la voce, scaldatasi al meglio, si mostra adeguata anche nei passaggi più drammatici.
Luca Salsi è il cantante vocalmente più autorevole dell’intera compagnia: baritono verdiano tra i più interessanti della giovane generazione, è certamente colui che meglio fraseggia e porge la parola scenica. Molto convincente nel ruolo di Miller, padre austero ma illuminato, s’impone sin dalla frase «Non son tiranno, padre sono io, / non si comanda de’ figli al cor», nel duetto iniziale con Wurm. A Salsi si potrebbe chiedere perché, con la potenza di voce che si ritrova, il timbro squillante e la ricchezza di armonici, e per di più in uno spazio ridotto come il teatro di Lausanne, senta la necessità di un’emissione sempre forte, a volta addirittura del grido. Forse vuol dimostrare di avere tanta voce? Ma non ne ha affatto bisogno, come evidenziano da soli la cabaletta del I atto «Ah! Fu giusto il mio sospetto!», spettacolare ed enfatica, e il bellissimo duetto del III atto «Andrem, raminghi e poveri», insieme al soprano.
Giovanni Furlanetto è un conte di Walter dalla voce nasale e dall’intonazione malferma: il rozzo squallore del personaggio è reso da adeguata recitazione, ma il carattere vocale – che deve essere comunque aristocratico – manca del tutto. Non pienamente apprezzabile neppure la voce di Daniel Golossov, interprete di Wurm: la linea di canto è generica e sciatta. Quella della duchessa Federica è parte breve ma impegnativa; non ha arie solistiche, ma nei pezzi d’insieme l’intonazione è messa a dura prova: Marie Karall l’affronta con correttezza, anche se la grana vocale non è omogenea (e appena incrinata da eccessivo vibrato). Céline Mellon è una Laura corretta, ma dalla voce un po’ acerba. Molto professionale e corretto il coro dell’Opéra de Lausanne, anche credibile nei frequenti movimenti sulla scena.
Giancarlo del Monaco, noto per le sue regie a volte troppo cervellotiche e farraginose, organizza una Luisa Miller coerente e dalla struttura anulare: l’idea di partenza è quella di un sogno coniugale che non si realizza mai, e anzi è sostituito dalla distruzione della morte. Perciò sin dalla sinfonia la scena è attraversata da un corteo di uomini e donne in abito da cerimonia (matrimoniale) che reggono però ceri funebri e camminano a passi mesti. La felicità famigliare è l’orizzonte che sovrasta i pensieri dei protagonisti; e li sovrasta davvero, nella forma di un interno domestico marmoreo, algido e irreale. Il sipario si apre con questo tableau al centro del palco, ma subito il blocco si eleva ribaltandosi di 180 gradi, lasciando in vista una tomba floreale in cui è coricata Luisa in abito bianco. A parte il vecchio Miller, tutti i personaggi principali vestono un impeccabile frac o abito da sera lungo (molto bello quello della duchessa Federica), a sottolineare l’aspettazione di un evento importante, che altro non è se non la morte. Del resto, sin dal primo incontro dei due innamorati, Luisa riceve in dono da Rodolfo un mazzetto di crisantemi bianchi, che trattiene e sfoglia per tutta l’opera. Quando è libera, la scena è suddivisa in piani inclinati formati da pannelli neri a specchio, senza alcun elemento, al di fuori di qualche seggiola; nel finale, mentre Luisa e Rodolfo muoiono, la bianca installazione sospesa sul soffitto ruota nuovamente e torna nella posizione iniziale, stagliandosi in verticale come una pietra tombale. Il mondo vagheggiato della famiglia s’impone così come rimpianto cimiteriale; e non si tratta di un’esagerazione, perché il duetto figlia/padre che apre il III atto è interamente sviluppato sull’immagine sepolcrale, sul luogo e sulla condizione ossessionante della tomba: la suggestione registica, dunque, anziché essere soggettiva o arbitraria scaturisce da una precisa sezione del libretto. Per di più trionfa il male, in quanto Rodolfo impugna una pistola per uccidere Wurm, ma non ha più forza per sparare: cade stremato, mentre il malvagio ride con disprezzo.