Mado Robin (1918-1960): “Recital”

Charles Gounod:”Vincenette a votre âge”, “O légère hirondelle”, “Trahir Vincent…mon coeur ne peut changer”, “Heureux petit berger”, “Ah! Parle encore…Prière” (Mireille); Gaetano Donizetti: “Lucia perdona…Sulla tomba”, “Il dolce suono” (Lucia di Lammermoor). Mado Robin, Andrée Gabriel (soprani), Michel Malkassian, Libero De Luca (tenori). Orchestre de la Sociétè des Concerts du Conservatoire de Paris. Richard Blareau (direttore). Registrazione: Parigi, ottobre 1953
Bonus tracks da: Mado Robin – Operatic recital
Léo Delibes: “Où va la jeune Indoue” (Lakmé); Wolfgang Amadeus Mozart /Adolphe Adam: “12 Variazioni in C, K.265 “Ah, vous dirai-je Maman”. Mado Robin (soprano), The New Symphony Orchestra. Richard Blareau (direttore). Registrazione: Londra, ottobre-febbraio 1950-51
Mado Robin – Bellini Arias
Vincenzo Bellini: “Son vergin vezzosa”, “Qui la voce sua soave” (I Puritani); “Come per me sereno”, “Ah, non credea mirarti” (La Sonnambula).
Mado Robin (soprano). London Philharmonic Orchestra. Anatole Fistoulari (direttore). Registrazione: Londra, novembre 1955. T.Time: 76.17 1 CD Decca 4808173


o Mado Robin è stata una sorta di mito di una certa vocalità francese del Novecento, l’ultima erede e forse l’interprete somma di un’idea assoluta del soprano leggero capace di salire con semplicità disumana anche sulle tessiture più estreme, di gorgheggiare con naturalezza i passaggi più impervi, di emettere acuti degni di un violino. Non manca di interesse riascoltarla oggi, anche se quello che più si nota è come il tempo passato ci abbia allontanati da quel gusto. Posta in apertura di programma, una selezione da “Mireille” di Gounod presenta forse gli ascolti più interessanti. In “Vincenette a votre âge” si apprezza soprattutto l’elegantissimo tenore Michel Malkassian, un po’ sospiroso ma dal bel timbro e dall’ineccepibile musicalità mentre la Robin mostra subito limiti e preg: una voce educatissima, una musicalità rara, una pulizia ammirevole ma anche un materiale di base non così significativo tanto che gli estremi acuti, pur impressionanti per proiezione e tenuta, si riducono a sottilissime lamine di suono. Certamente sugli arabeschi di “O légére hirondelle” trova il suo ambito naturale cogliendo poi alla perfezione un certo gusto che appartiene a questi brani e proprio così accarezza con seducente eleganza la melodia pastorale di “Hereux petit berger. Nei brani più intensi però i limiti vocali sono solo parzialmente compensati da un fraseggio sempre vario e intenso che però non nasconde totalmente la mancanza di peso specifico della voce nonostante l’ottima fusione timbrica con Andree Gabriel in “Ah! Parle encore”.

I brani della “Lucia di Lammermoor” mostrano in modo ancor più impietoso il tempo passato. Quella della Robin è una Lucia in scala ridotta, quasi infantile nel timbro, tutta rivolta su un virtuosismo superficiale privo di sostanza drammatica e, se nel duetto “Verranno a te sull’aure” non l’aiuta la vicinanza di un Libero de Luca che alterna estenuati languori da tenore di grazia ad accensioni drammatiche di gusto decisamente più verista che romantico, la scena della follia è ridotta a una fragile trina di suono cristallini e purissimi ma fragili come una ragnatela e privi di qualunque spessore drammatico anche se bisogna riconoscere una chiarezza di dizione per l’epoca molto insolita specie in cantanti non italiane.
L’aria delle campanelle di “Lakmé” riporta la Robin nel suo alveo naturale e, se forse è difficile immaginare sonorità altrettanto terse e cristalline, al contempo una voce così piccola tende a rendere meno spettacolare lo stesso virtuosismo specie per chi nel corso degli anni ha ascoltato questo brano da voci altrettanto agili ma dotate di ben altra sontuosità. Superate le pirotecniche, ma un po’ meccaniche, variazioni “Ah, vous dirai-je Maman”, l’ultima parte del programma è dedicata a Vincenzo Bellini con una selezione di brani da “I puritani” e “La sonnambula”. Valgono per Bellini le considerazioni di massima fatte per Donizetti anche se la cantabilità belliniana sembra adattarsi meglio alla naturale musicalità della Robin. Se la sua resta ovviamente un’Elvira mignon per presenza vocale, è innegabile che lo spirito di un brano come “Son vergin vezzosa” sia pienamente centrato per quel senso di gioia del fare musica che tende a prevalere su tutto. Mentre nella scena della pazzia – per altro pesantemente tagliata – soffre della leggerezza vocale che riduce l’effetto dello stacco fra l’andante e la cabaletta pur in un’esecuzione di indubbia musicalità. Se in Elvira la Robin riusciva a esprimere elementi interessanti, decisamente meno riuscita è la prova come Amina dove ci si sarebbe aspettati maggior adattamento ma il tutto è reso in modo troppo bamboleggiante e lezioso per poter essere godibile dal gusto odierno e anche i passaggi di agilità suonano sovraccarichi ed eccessivi, quasi soverchianti sulla linea melodica.