Marco Angius per “RAI NUOVAMUSICA” tra Henze, Ligeti e una prima assoluta di Perocco

Torino, Auditorium RAI “A.Toscanini”, Stagione Sinfonica 2022-23 RAI NUOVAMUSICA.
Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Direttore Marco Angius
Filippo Perocco: “Se le nuvole” (2022-23) prima esecuzione assoluta;
György Ligeti: “Macabre Collage” dall’Opera “Le Grand Macabre” (Arr. E. Howarth, 1991 – vers. 2021); Hans Werner Henze: Sinfonia n.10 in 4 movimenti per grande orchestra (1997-2000).
Torino, 10 febbraio 2023
Il concerto inizia con Se le Nuvole di Filippo Perocco, cinquantunenne autore trevigiano. Della musica di Perocco ne ha già parlato  Roberto Campanella, in occasione dell’andata in scena di Acquagranda alla Fenice, esprimendo i concetti di una “ricerca timbrica, sulla concretezza del rapporto con il suono…L’autore si approccia al suono in modo intuitivo, istintivo, teso alla creazione di un mondo sonoro ruvido, inquieto, instabile, carico di interna tensione, e anche “sporco”, popolato – secondo le parole dello stesso compositore …”– Le stesse parole si sposano ancora perfettamente a descrivere il Se le nuvole, forse più sfuggevole ed etereo, senza scene e voci, rispetto a Acquagranda, ma perfettamente realizzato dagli strumentisti dell’OSN RAI e dalla concreta conduzione, anche in questo caso, come alla Fenice, di Marco Angius. Seguivano, ai dieci minuti della musica di Perocco, i circa venti del Macabre Collage di György Ligeti. Una mini-suite orchestrale, tratta dall’omonima opera del musicista ungherese. Forti contrasti timbrici, ritmi continuamente variati, colori accentuati dalla presenza in scena e fuori scena di strumenti. C’è di tutto in questi venti minuti, grazie anche ad un’orchestra che più nutrita non si potrebbe, in cui le percussioni campeggiano sul palco e che con l’aiuto di svariati e fragorosi ottoni, alzano una insuperabile barriera di suono. In un insistito pizzicato di archi viene pure citata l’Eroica di Beethoven. Il clima generale farebbe però pensare ad un Bartòk volgare e barocco. Senza richiamare l’intreccio dell’opera, non è proprio necessario perdercisi, è un gran guazzabuglio quello che viene evocato, proprio come un quadro di fiamminghi burloni, Bosch e Bruegel per esempio. Alcuni registi nell’allestire l’opera, a quelle iconografie allegoriche, fantastiche ed irriverenti, si sono rifatti. Anche la suite è irridente, dissacrante, grottesca e parimenti divertente. Un frastornante disordine materiale e mentale: una gran carnevalata che tenta di esorcizzare la tragedia che, dietro l’angolo, è purtroppo sempre vigile e in agguato. Angius, all’interno di queste (difficili) partiture si muove con destrezza e lucidità tali da tradirne la famigliarità acquisita negli anni. L’OSN Rai, professionalmente ai vertici del panorama sinfonico, ancora una volta conferma la sua perizia passando, in una settimana, dai traslucidi pendii nevosi dalla straussiana Alpensinfonie al nordico e nebbioso vagabondaggio dell’angelo della morte.
Dopo l’intervallo, ci aspetta la quarantina di minuti della Decima Sinfonia di Henze. Già il numero impressiona, pare che l’autore sia stato spinto dagli amici a raggiungerlo per sottrarsi al tabù del fatidico numero nove sinfonico a cui sia Mahler che Bruckner avevano già soggiaciuto. I quattro tempi, se pur suggestivamente denominati (tempesta – inno – danza – sogno), sono quelli tradizionali che confermano la classica suddivisione sinfonica allegro – adagio – scherzo – finale rondò. Si dice che Henze si rivolga sempre al teatro, sua passione predominante; se s’intende una costante ricerca della melodia cantabile, l’assunto viene sicuramente confermato. Non altrettanto teatrali e “piacevoli” ci paiono gli aspri contrasti timbrici e le sospensioni tematiche di cui la partitura è abbondantemente farcita. Da ciò deriva una certa fatica a superarne, vigilanti, il lunghissimo percorso. Dovessimo trovare una classificazione a questa decima, l’accosteremmo a certe elaborate e classicheggianti opere di Hindemith, “sporcate”, molto intenzionalmente, dalla strabordante invadenza di urtanti timbri orchestrali. Per tutta la durata della sinfonia, ci è balenata nella mente l’immagine dell’Innocenzo X di Velasquez, ripreso, con l’abilità da gran pittore, da Francis Bacon, che poi però la violenta, confondendone la classicità, strofinandola con la trementina. La struttura della sinfonia nasce lucida, proporzionata e pulita, quasi di un lustro neoclassico post-moderno. Anacronistica e inaccettabile per i tempi e quindi votata alla dissacrazione ad opera del suo autore a cui, per lo scopo, viene a taglio l’irruzione di percussioni, di ottoni e di tante altre diavolerie presenti nella sua orchestra. Il pubblico non abbondantissimo, in contemporanea in TV c’è San Remo, sia per convinzione che per conformismo, ha moderatamente applaudito. Queste serate di Nuovamusica si rivelano più un dovere da compiere che un piacere da gustare. Alla perizia e alla serietà degli esecutori non corrisponde sempre l’adesione convinta del pubblico. Forse converrebbe uscire dal ghetto delle serate ad hoc, e diluire, con maggior frequenza, nei programmi normali di stagione le musiche che vanno dalla seconda metà del ‘900 ai giorni nostri. La conoscenza ne sarebbe promossa e con essa l’apprezzamento. Si uscirebbe inoltre dalle impaginazioni, ormai stucchevoli, che recepiscono solo titoli che, avendo escluso il barocco e messo ai margini il classicismo, stanno nei cento anni a cavallo del XIX e XX secolo.