“Norma” al Coccia di Novara

Novara, Teatro Coccia, Stagione lirica 2013-14
“NORMA”
Tragedia lirica in due atti di Felice Romani da “Norma ou l’infanticide” di Luois-Anthoine-Alexandre Soumet
Musica di Vincenzo Bellini
Norma  ALESSANDRA REZZA
Pollione ROBERTO ARONICA
Oroveso LUCA TITTOTO
Adalgisa  VERONICA SIMEONI
Flavio  GIACOMO PATTI
Clotilde   ALESSANDRA MASINI
Orchestra Filarmonica del Piemonte
Coro Schola Cantorum San Gregorio Magno
Direttore  Matteo Beltrami
Maestro del coro Mauro Rolfi
Regia Alberto Fassini
(ripresa da Vittorio Borrelli)
Scene e costumi   William Orlandi
Allestimento del Teatro Regio di Torino
Novara 8 dicembre 2013   
Nell’ambito della breve stagione lirica novarese si è potuta apprezzare questa ripresa di “Norma” in un ormai storico allestimento del Teatro Regio di Torino e con una compagnia di canto che nonostante gli innegabili problemi vocali di alcuni elementi ha portato a termine una recita nell’insieme di alto livello.  Per la parte visiva si è optato per la ripresa dell’allestimento realizzato nel 2001-02 da Alberto Fassini (regia ripresa per l’occasione da Vittorio Borelli) con le scene e i costumi di William Orlandi. Spettacolo già molto bello al tempo e che rivisto oggi è un’autentica gioia per gli occhi ed il cuore dopo tante brutture passate sui palcoscenici nell’ultimo decennio inoltre nel più contenuto palcoscenico del Teatro Coccia risultava ancor più godile di quanto avvenisse su quello più ampio del teatro torinese. L’impianto scenico è sostanzialmente essenziale con quinte rocciose che si aprono in modo variabile aprendo squarci sui luoghi della vicenda in cui si alternato le folte foreste dei galli e i segni di una romanità imposta e proprio per questo scempiata dall’ansia di rivolta dei vinti: colonne spezzate, statue abbattute o acefale. Stupenda la grande scena rituale del primo atto con un grande menhir posto su un podio rialzato su cui si pongono Norma e le vergini consacrate mentre una splendente luna piena inonda la scena di magici riflessi o il finale con i fumi del rogo si levano su un fondo vermiglio dominato da un colosso loricato abbattuto.
Impostazione analoga per i costumi, sostanzialmente fedeli all’ambientazione storica. Gli ufficiali romani con le loriche affiancate da pesanti mantelli di pelliccia più adatti ai rigori climatici dell’Europa continentale mentre per quanto riguarda i galli si assiste all’integrazione di elementi storicamente corretti (come gli scudi a spina) ad altri che seppur filologicamente impropri trovano una propria ragione nell’essere componenti essenziali dell’immaginario visivo ottocentesco relativo ai popoli celtici si pensi alle protostoriche fibule a spirale (di tipo sia semplice sia ad occhiali) coscientemente riprese da Orlandi per i costumi del coro.
Le masse che agiscono nel teatro novarese – l’ Orchestra Filarmonica del Piemonte e il Coro Schola Cantorum San Gregorio Magno – non sono certamente complessi di livello assoluto ma si comportano con dignità e attestano un progressivo miglioramento con il passare del tempo. La direzione di Matteo Beltrami cerca di imprimere alla vicenda un forte passo teatrale, spesso accelerando in tempi anche in modo eccessivo, e si concede qualche effetto bandistico di troppo nella sezione degli ottoni ma nell’insieme tiene con sicurezza le fila dello spettacolo e supporta con abilità le necessità dei cantanti. I tagli praticati sono quelli di tradizione – quasi tutti i da capo delle cabalette con l’esclusione di “Sì, fino all’ore estreme” e la seconda parte di “Guerra, guerra!”. Una lettura molto tradizionale della partitura belliniana ma non priva di forza emotiva.
Nel ruolo della protagonista la prevista Maria Billeri è stata sostituita per problemi di salute da Alessandra Rezza, chiamata a salvare la produzione e protagonista di una prova contrastante e di non facile valutazione. Il materiale vocale è sicuramente notevole ma sovente tende a non essere controllato in modo corretto gli acuti sono spesso calanti o presi in modo avventuroso; le colorature pur risolte danno sempre l’impressione di una mancanza di naturale fluidità, gli stessi registri non appaiono sempre omogenei. L’entrata è problematica, “Sediziose voci” manca della ieratica sacralità che dovrebbe avere così come “Casta diva” pur cantato con corretta è privo di quel fascino lunare e incantatorio che la musica di Bellini sparge a piene mani e la stessa voce nonostante una naturale corposità non sembra correre a dovere. Nel secondo atto pur rimanendo i problemi di fondo si assiste ad un generale miglioramento, la voce acquista corpo e proiezione e soprattutto nei passi più declamati – “In mia man su tutti” – trova accenti di sincera partecipazione. Ma il teatro è per sua natura uno strano mondo dove non sempre la “somma fa il totale” e all’ascolto in sala la prova della Rezza risulta coinvolgente nonostante tutte le sue più che evidenti pecche vocali, in fondo la magia del teatro è anche questo.
Intorno alla Rezza troviamo un cast le cui prestazioni non avrebbero sfigurato in più prestigiosi teatri non solo italiani. Vera dominatrice della serata si è rivelata Veronica Simeoni nei panni di Adalgisa. Reduce dall’improbo impegno veneziano come Selika ne “L’africaine” di Meyerbeer il mezzosoprano romano si conferma una delle voci più interessanti dell’attuale scena italiana. Il timbro chiaro e luminoso è perfetto per una figura adolescenziale come Adalgisa e le morbide venature sensuali giustificano la passione di Pollione. La voce è omogenea su tutta la gamma e ottimamente proiettata, la coloratura sgranata con la naturalezza delle autentiche belcantiste e l’aderenza stilistica sempre corretta. Il fraseggio è sempre molto curato e sfruttato al meglio a scopo espressivo, l’autentico trionfo strappata al termine di una pagina come “Sgombra la sacra selva” lo dimostra in pieno; è inoltre un’ottima attrice e si muove in scena con grande proprietà.
Roberto Aronica nei panni di Pollione sfoggia una notevole presenza vocale – a volte quasi eccessiva in una sala piccola e dall’ottima acustica come quella novarese – ma tende a cantare spesso tutto in forte con scarsa attenzione ai segni dinamici previsti inoltre una più accorta gestione del materiale vocale gli consentirebbe di giungere più serenamene al settore acuto che potrebbe sfogare con maggior sicurezza. Resta il fatto che il personaggio nella sua spavalderia funziona e che l’innegabile materiale vocale gli permette di conquistare sicuramente il pubblico.  Ottimo il basso Luca Tittoto nei panni di Oroveso, grande specialista del repertorio barocco il cantante veneto affronta la parte del capo dei druidi con una notevole voce di autentico basso ed un’evidente attenzione alle ragioni stilistiche ed espressive mentre sul piano scenico la sua figura alta e slanciata contribuisce fin da subito a rimarcare l’autorità della figura. Buone le prove offerte dalle parti di fianco, il Flavio di Giacomo Patti e soprattutto la Clotilde di Alessandra Masini di bel colore contraltile.  Successo trionfale per tutti gli interpreti per una rappresentazione che pur con tutti i suoi limiti trasmetteva quel senso di autentica passione per il teatro che troppo spesso oggi viene a mancare e che prescinde dalla mera valutazione delle singole prestazioni vocali.Foto di Mario Mainino.