Rossini Opera Festival 2015: “La gazza ladra”

Adriatic Arena – 36° Rossini Opera Festival 2015
“LA GAZZA LADRA”
Melodramma in due atti di Giuseppe Gherardini
Musica di Gioachino Rossini
Fabrizio Vingradito SIMONE ALBERGHINI
Lucia TERESA IERVOLINO
Giannetto RENÉ BARBERA
Ninetta NINO MACHAIDZE
Fernando Villabella ALEX ESPOSITO
Gottardo MARKO MIMICA
Pippo LENA BELKINA
Isacco MATTEO MACCHIONI
Antonio ALESSANDRO LUCIANO
Giorgio RICCARDO FIORATTI
Ernesto/Il Pretore CLAUDIO LEVANTINO
Una gazza SANDHYA NAGARAJA
Orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Donato Renzetti
Maestro del coro Andrea Faidutti
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Pesaro, 16 agosto 2015

La gazza ladra è un titolo molto legato al Rossini Opera Festival, rappresentato spesso e in edizioni significative. Era presente nella prima stagione assoluta del 1980, sotto la direzione del grande Gianandrea Gavazzeni; l’anno successivo fu diretta da Alberto Zedda, artefice dell’edizione critica nel 1973, che quell’anno iniziava la sua collaborazione con il Festival, assumendone la direzione artistica fino al 1992 e poi dal 2001 fino a questa stagione che è la sua ultima prima del turn-over con Ernesto Palacio annunciato per il prossimo anno. Poi la Gazza è tornata al Rof nel 1989 e di nuovo nel 2007, con la regia di Damiano Michieletto che viene ripresa quest’anno.
La gazza ladra vede la luce alla Scala nel 1817 e si situa a circa metà del percorso della carriera del Rossini operista, interrottasi con il brusco commiato del Guillaume Tell nel 1829. È un melodramma in due atti di grandi dimensioni – quasi quattro ore di musica – che infrange fecondamente i confini di genere tra opera buffa e opera seria. L’argomento, tratto dal dramma del 1815 La Pie voleuse ou La Servante de Palaiseau di Théodore Badouin d’Aubigny e Louis-Charles Caigniez, si basa sulla vicenda realmente avvenuta di una povera serva messa a morte per il furto compiuto da una gazza, e addita al pubblico di epoca post-rivoluzionaria, la crudeltà e insensatezza delle leggi dell’Ancien Règime.
Ninetta, fanciulla di buona famiglia, è costretta dalla necessità a impiegarsi come serva presso un ricco fittavolo e ama, riamata, il figlio del suo padrone. L’atmosfera da idillio villereccio è turbata dalla presenza del Podestà del villaggio, rappresentante del potere tirannico e corrotto, che ha delle mire sulla ragazza e, rifiutato, profitta della misteriosa sparizione di una posata d’argento e la perseguita applicando la legge vigente, che prevede per il furto perpetrato da un servo addirittura la pena di morte. Alla vicenda di Ninetta si intreccia quella di suo padre, anch’egli perseguitato e anch’egli più o meno innocente, che dopo aver servito fedelmente la patria in battaglia è ricercato per aver sguainato la spada contro un superiore prepotente e vessatore. Il povero fuggiasco per sostentarsi chiede alla figlia di vendere un cucchiaio d’argento, ultimo resto della sua antica agiatezza; la posata, fatalmente, porta le stesse iniziali del padrone di Ninetta.  La ragazza rifiuta di discolparsi per non mettere nei guai il padre e finisce lei stessa in guai peggiori. Solo il ritrovamento del cucchiaio nel nido della gazza può salvare Ninetta dal plotone d’esecuzione già schierato. Il giubilo collettivo è grande, ma la tragicità e il sostanziale pessimismo della vicenda non si cancellano, la sensazione che i “buoni” siano nelle mani del caso o peggio ancora in balìa del capriccio dei potenti pervade tutta l’opera, anche se un lieto fine in extremis la suggella. E l’aspetto tragico è quello che sembra maggiormente privilegiato da Rossini fin dalla celebre Sinfonia che si apre con i rulli di tamburo che poi nel corso dell’opera tornano a segnare i momenti di maggiore tragicità in cui si manifesta l’oppressione del debole.
Opera semi-seria quindi nella forma, ma tragica nella sostanza, che la concezione registica di Damiano Michieletto sembra voler alleggerire, mitigare, trasportandola in un’atmosfera surreale e fantasiosa, in cui il dramma si consuma di fatto, ma solo nella fantasia. Poiché tutta l’opera è racchiusa in una cornice: una ragazzina, durante la Sinfonia, stenta a prendere sonno e si attarda a giocare con una scatola di costruzioni composte da cilindri bianchi allungati, come tubi, poi torna a letto, si addormenta e l’opera inizia. Allora la fanciulla entra nel ruolo della gazza, volteggia, scherza, commette i furti, assiste atterrita alle violenze. E tutte le vicende si svolgono intorno ad enormi tubi bianchi… finchè, sul finale, scoperta colpevole dell’equivoco, viene incalzata da tutti i personaggi che avanzano minacciosi verso di lei, compresi i soldati con i fucili spianati. Improvvisamente tutto sparisce e la ragazza si sveglia di soprassalto nel suo letto, sollevata perché l’incubo è finito. Questa regia, che valse a Michieletto il premio Abbiati nel 2007 e lo consacrò alla notorietà, conserva oggi il suo fascino e la sua efficacia, appunto, di originale e stupefacente cornice, ma sembra talvolta lasciare soli i personaggi nei loro momenti di maggior espressività, abbandonandoli in una certa staticità scenica, ad eccezione del ribelle, disperato padre di Ninetta e del protervo Podestà, i cui rispettivi caratteri sono fortemente sbalzati, quasi a costituire le due polarità opposte del dramma. I costumi eterogenei di Carla Teti sembra non si pongano lo scopo di essere “belli”, ma di caratterizzare il personaggio che li indossa.Nel cast vocale spicca la bravura scenica, la partecipazione emotiva e il buon canto di Alex Esposito nel ruolo di Fernando Villabella, padre di Ninetta, unico interprete rimasto immutato dall’edizione del 2007. Simone Alberghini delinea con sicurezza di mezzi un Fabrizio Vingradito bonario e amorevole verso la povera serva. Teresa Iervolino, sua moglie Lucia, ha un bel velluto mediosopranile e canta con morbidezza, ma sembra affetta da una certa cautela o timidezza, come se non ‘sentisse’ del tutto la parte. Al contrario suo figlio Giannetto, il tenore René Barbera, nella parte, piuttosto impervia, si è buttato con foga e pienezza di mezzi. Ha voce chiara ma sonora, timbrata e omogenea, salita facile all’acuto e squillo quanto basta; forse qualche sfumatura in più e una maggiore cura nelle agilità lo avrebbero reso un Giannetto ancor più rifinito. Scenicamente efficace, ma poco luminoso vocalmente a causa di un’emissione dura e muscolare è il Podestà di Marko Mimica.
La protagonista Ninetta, Nino Machaidze, non delude, ma non esalta: affronta con slancio e sicurezza il suo personaggio, vestendo la semplice fanciulla di panni da eronia, forse non sempre congrui; vocalmente sembra non del tutto a proprio agio nel ruolo di tessitura non particolarmente acuta, il suo strumento, infatti, acquista luminosità e si espande nelle frasi che impegnano la gamma alta, risultando vuoto e poco sonoro nei centri e nei gravi. Lena Belkina, nei panni di Pippo, è molto brava a delineare sia la giovinezza sventata che l’affetto tenero che il suo personaggio esprime. Nei ruoli minori si fa notare Matteo Macchioni nei panni del merciaiuolo Isacco per il penetrante timbro di tenore caratterista e per la gustosa realizzazione scenica. Di spettacolare bravura è la ballerina italo-indiana Sandhya Nagaraja nel portare in scena il doppio ruolo di ragazza-gazza, per le doti altetiche e acrobatiche, ma ancor più per l’espressività del viso e del corpo con le quali disegna il suo personaggio bizzarro e surreale rendendolo umano e perfettamente credibile. Il maestro Donato Renzetti ha ottenuto dall’ottima Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, impegnata in questa stagione anche nella Gazzetta, precisione di concertazione e sonorità massicce, fortissimi turgidi, in una visione principalmente tragica e solenne. Tutti gli interpreti sono stati calorosamente applauditi, Alex Esposito ha riportato un vero e proprio trionfo. Foto di Silvano Bacciardi