“Tannhäuser” al Teatro alla Scala di Milano

Teatro Alla Scala di Milano – Stagione d’Opera e  Balletto 2009/2010
TANNHÄUSER
Grande opera romantica in tre atti
Libretto e musica di Richard Wagner
Hermann, Landgraf von Thuringen GEORG  ZEPPENFELD
Tannhäuser ROBERT  DEAN SMITH
Wolfram von Eschennach ROMAN  TERKEL
Walther der Vogelweide MARTIN  HOMRICH
Biterolf ERNESTO  PANNARIELLO
Heinrich der Schreiber ENRICO  COSSUTTA
Reimar von Zweiter PETRI  LINDROSS
Elisabeth  ANJA  HARTEROS
Venus JULIA  GERTSEVA
Ein junger Hirt ELENA  CACCAMO
Quattro paggi BARBARA  MASSARO, NICOLO’  DE MAESTRI, MARIA ELEONORA  CAMINADA, ELENA  CACCAMO
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Zubin Mehta
Maestro del coro Bruno Casoni
Coro di Voci Bianche del Teatro alla Scala e del Conservatorio “G. Verdi” di Milano (M.o del coro Alfonso Caiani)
Regia Carlus Padrissa – La Fura dels Baus
Costumi di Chu Uroz 
Scene di Roland Olbeter
Immagini video di Franc Aleu
Nuova produzione del Teatro alla Scala
Milano, 24 marzo 2010
Il teatro alla Scala produce un nuovo allestimento con l’accoppiata Mehta-Fura dels Baus, ancora una volta nel nome di Wagner, dopo il  Ring di Valencia e Firenze. Ogni qualvolta si assiste al “Tannhäuser” è implicito domandarsi quale versione verrà adottata. Mehta sceglie la versione che assembla le partiture di Parigi e Dresda. La grande opera romantica, su testo dello stesso compositore, si ispira a due leggende medievali: le gare poetico-canore dei Minnesanger in Turingia e la leggenda popolare sugli amori di Venere e Tannhäuser. Wagner elaborò la vicenda già dal 1842 per poi arrivare alla prima nel 1845 a Dresda.  Si susseguirono gli interventi  sullo spartito,  che rendono impossibile identificare una versione definitiva dell’opera.  Possiamo oggi considerare le versioni di Dresda e Parigi le piu attendibili, pur non sottovalutando le modifiche di Monaco e Vienna.
Una giustificata e doverosa nota di regia nel programma di sala, ci autano  fanno comprendere le linee ispiratrici di uno spettacolo  fantasioso ma allo stesso tempo complesso,  come del resto sono  tutti gli allestimenti del Fura dels Baus. Di grande effetto l’idea della mano gigantesca,  sempre presente in scena, che segna il destino dell’uomo, Tannhäuser appare sempre sospeso  tra il  Venusberg e la Wartburg, che potremmo definire  il male e il bene, dove il conflitto interiore dell’uomo di religione cristiana è “diviso” tra lo spirito e l’istinto. Nei tre Atti troviamo tre diverse creazioni visive, magnificamente rese dal Fura. Nel primo atto, collocato nel Venusberg, domina la sensualità, efficacemente illustrata da lla proiezione di scene erotiche. Nel secondo, al  Wartburg,  la fonte d’ispirazione visiva è l’India, Paese dalle molteplici usanze, credenze e religion, nel quale la spiritualità occupa un piano d’eccellenza nella vita sociale. Nel terzo atto, il più statico, si apprezzano le bellissime luci notturne che impreziosiscono la bella romanza di Wolfram e  ancora lo sbocciare  di fiori sui bastoni dei pellegrini o quella sorta di grandi lacrimatoi che raccolgono le lacrime di Elisabeth formando il lago della redenzione del protagonista. Nel complesso, questo  Tannhäuser  ha un  grande impatto visivo ma è sicuramente carente registicamente di una lettura scavata nel gesto e negli stati d’animo dei protagonisti. La direzione di Zubin Mehta è stata equilibrata e maestosa, scrupolosa nel particolare, dal suono ammaliante, con grande musicalità e tensione drammatica. Il versante canoro poneva in primo piano la stupenda Elisabeth di Anja Harteros, voce raggiante e calda dal timbro seducente e dotata di una non comune intensità interpretativa. Georg Zappenfield ha creato  un Hermann imponente ma non stentoreo. Ha sfoggiato un  fraseggio autorevole e una voce salda e vibrante. All’opposto di  Roman Terkel, dalla voce poco seducente, ma  canta con gusto e si mostra ricercato negli accenti soprattutto nell’atto terzo. Qualche gradino sotto Robert Dean Smith al quale va riconosciuto il massimo impegno per i mezzi a sua disposizione,  riuscendo a sostenere dignitosamente la difficile parte. La Venere di Julia Gertseva scenicamente affascinante, vocalmente molto meno: acuti striduli e un  centro gravemente dissestato. Bene le parti minori, in particolare Petri Lindross. Ottimo l’apporto dell’orchestra e dei due cori.  In questa terza rappresentazione, ci sono state delle isolate contestazioni nei confronti di Mehta. Applausi invece per  tutto il cast,  il che rende quanto mai pretestuosi  e inaccettabili questi atteggiamenti. Foto Marco Brescia, Teatro alla Scala di Milano