Teatro Comunale di Modena: “La notte di Natale”

Modena, Teatro Comunale “L. Pavarotti”, Stagione d’Opera 2019-2020
LA NOTTE DI NATALE
Opera fantastica in un atto su libretto di Simone Pintor, dall’omonimo racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’
Musica di Alberto Cara
Ocsana/la Zarina FLORIANA CICIO
Soloca
ALOISA AISEMBERG
Nikolaj RAFFAELE FEO
Il Diavolo DANIEL KIM SUNGGYEUL
Ensemble del Teatro dell’Opera Giocosa
Coro di Voci Bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena
Direttore 
Diego Ceretta
Regia Simone Stefano Pintor
Scene e Costumi Mariangela Mazzeo
Luci Marco Alba
Coproduzione e Commissione Teatro dell’Opera Giocosa di Savona e Fondazione Teatro Comunale di Modena
Modena, 15 dicembre 2019
Dmitrij Šostakhovič adorava Gogol’: la seconda opera per il teatro che scrisse (la prima arrivataci per intero) fu proprio l’atto unico “Il naso” del 1928, tratto da un celebre “Racconto di San Pietroburgo”. Tredici anni dopo ci riprovò con “I giocatori”, ma abbandonò dopo poco l’impresa – dubbioso sulla sovieticità dell’operazione, ma ancor più sulla scelta del testo, “troppo ampio” (per citare le sue stesse parole a riguardo) per stare in un altro atto unico, com’era sua intenzione. Il musicologo Krzysztof Meyer penserà bene di completare l’opera nell’83, con un risultato, in effetti, forse non dei più riusciti. Prima di questi, solo un racconto di Gogol’ era stato portato in musica, per ben tre volte: è “La notte prima di Natale”, che è divenuta tra le dita di Čajkovskij prima “Il fabbro Vakula” e poi “Gli stivaletti”, e che sotto quelle di Rimskij-Korsakov riacquisì il suo titolo originario, oltre che un grande successo anche fuori dai confini russi. È quindi piuttosto interessante che Simone Pintor (librettista e regista) e Alberto Cara (compositore) abbiano deciso di lavorare proprio su questo stesso testo; l’invito loro giunto dal Comunale di Modena e l’Opera Giocosa di Savona è senz’altro onorato da questa scelta, che però nasconde un’insidia su tutte: un soggetto natalizio e con elementi magici rischia di sforare nel bambinesco, nell’opera-ragazzi, sminuendo in effetti la suggestiva portata allucinata e sofferta di cui si pretende si faccia carico. Spiace dirlo, ma in questa trappola gli autori sono caduti fino al collo: e non solo per la presenza del coro di voci bianche a sottolineare alcuni momenti (e l’assenza di quello di adulti), ma anche per la concezione vagamente pagliaccesca di molti personaggi e dinamiche, quali la strega Soloca e il Diavolo, oltre che per l’inserimento all’interno della partitura di un paio di canti tradizionali, degni dello spettacolo di Natale di qualsivoglia quinta elementare che si rispetti (la celebre “Carol of the Bell”, tratta a sua volta dallo “Ščedrik” di Mikola Leontovič del 1916, e “God rest ye merry, gentlemen”, canto inglese del XVI secolo citato da Dickens in “A christmas carol”). Le caratteristiche demoniache e stregonesche della novella (care a Gogol’ anche in altri lavori) vengono stemperate in un libretto acquoso e privo di poetica, che nemmeno si fa mancare la morale pauperista finale, del tutto avulsa dal contesto fiabesco e dal senso più vero della storia – e cioè la forza dell’amore e della virtù che riescono a superare ogni difficoltà. La partitura per ensemble di sette elementi (violino, violoncello, trombone, clarinetto, flauto, pianoforte e percussioni) di per sé, invece, sa mantenersi bene in equilibrio tra tradizione tonale e sperimentazione, regalando momenti di misurato lirismo, ma, purtroppo, anche abbandonandosi a parentesi più easy listening, come il moralistico finale di cui sopra, peraltro reso ancora più antipatico dalle voci bianche a sottolinearlo. Il risultato è deludente per tutti: gli adulti non ritrovano ciò che gli è stato promesso dal riferimento a Gogol’, i bambini fanno comunque fatica a seguire un’opera simile, mostrando più di una volta noia ed irrequietudine in sala. La regia, sempre di Pintor, ambienta nella contemporaneità la vicenda (che, ridotta al midollo dell’osso nel libretto, potrebbe essere pure ambientata su Marte), muovendo i cantanti in luoghi evanescenti dagli oggetti simbolici ma di non sempre chiara lettura – perché un semaforo in scena? E perché il protagonista (che qui diventa Nikolaj) è un fattorino? La nota degli autori non chiarisce questa scelta traspositiva: vi si parla di “sagace critica alla società” del racconto di Gogol’, che invece è una fiaba bell’e buona, con minimi riferimenti al suo tempo – tant’è vero che è ambientato nel XVIII secolo, il secolo della fiaba europea par excellence, circa cent’anni prima la nascita del suo autore. Insomma, le prerogative ottime e certo ambiziose del progetto non hanno trovato risultati convincenti. Dei diversi personaggi previsti in Gogol’, e nelle trasposizioni precedenti a questa, ne vengono salvati cinque: il protagonista Nikolaj, la strega Soloca, sua madre, la sua bella Ocsana, la Zarina e il Diavolo. Il primo è interpretato con convinzione e bella voce tenorile da Raffaele Feo, che si presta molto anche alla prova scenica: il fraseggio è tuttavia perfettibile, così come la gestione dell’emissione, qua e la discontinua; pienamente positiva è invece la prova di Floriana Cicio, ventunenne soprano siciliano che proprio a Modena si sta specializzando: il volume è apprezzabile, pur rimanendo in un registro lirico-leggero, il timbro è morbido, il fraseggio vario. La  scena della Zarina è certamente la più riuscita dell’opera, auguriamoci di poterla riascoltare presto in altri ruoli. Meno a fuoco ci sono parsi gli interpreti dei due personaggi grotteschi: Aloisa Aisemberg (Soloca) non sembra del tutto a suo agio in questo ruolo, e la sua interpretazione vocale è parsa insicura nell’intonazione. Anche Daniel Kim Sunggyeul nella parte del Diavolo è, in verità, poco diabolico, ma più orientato al comico, per accattivarsi il giovane pubblico in sala.  Voce apprezzabile, anche se non sempre a fuoco nella proiezione e nella dizione. Coinvolgente e ben attenta alla sincronicità è la direzione del maestro Diego Ceretta, che in più di un punto ci fa dimenticare di stare ascoltando soli sette elementi, cercando di tirar fuori da quelli tutti i volumi e l’espressività che possono dare. Corretto l’apporto delle Voci Bianche del Comunale
. Il pubblico in sala riconosce all’operina ampio consenso di applausi sul finale, ma forse sono più indicativi della sua riuscita il costante brusio che accompagna l’intera recita e i commenti spaesati del pubblico di ogni età all’uscita. Peccato.