Teatro Fraschini di Pavia: “Aida”

Pavia, Teatro Fraschini, Stagione d’Opera 2019-2020
AIDA
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni, da un soggetto di Auguste Mariette.
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re FANCESCO MILANESE
Amneris CRISTINA MELIS
Aida MARIA TERESA LEVA
Radamès SAMUELE SIMONCINI
Ramfis FABRIZIO BEGGI
Amonasro LEON KIM
Un messaggero ALESSANDRO MUNDULA
La gran sacerdotessa TERESA DI BARI
Orchestra I pomeriggi musicali di Milano
Coro OperaLombardia
Direttore 
Francesco Cilluffo
Direttore del Coro Dario Maccagnola
Regia e Scene Franco Zeffirelli riprese da Stefano Trespidi
Costumi Anna Anni ripresi da Lorena Marin
Luci Fiammetta Baldiserri
Coreografie Luc Bouy
Coproduzione Teatri di OperaLombardia
Pavia, 23 novembre 2019
L’“Aidina piccola piccola”, che Franco Zeffirelli congegnò per il Teatro Verdi di Busseto diciotto anni fa, approda al circuito operistico lombardo praticamente intatta: quest’opera di conservazione perfetta (il cui merito va a Stefano Trespidi e Lorena Marin) oggi porta ad apprezzare la produzione più che allora. Oggi, infatti, il gusto equilibrato e didascalico zeffirelliano assume un che di oleografico, quasi commovente passatismo, con le sue scene che non temono il dato di realtà nella loro immaginifica realizzazione. Oggi, abituati a proiezioni, effetti speciali e ardite scelte registiche (talvolta prive di una vera ragione drammaturgica), la rassicurante scena zeffirelliana sembra davvero la proiezione di una lanterna magica, una bomboniera di legno nella quale si muovono personaggi da cartolina, stilizzati come silhouette, ma coperti d’oro, tra vapori d’incenso, con un gusto in bilico tra lo Jugendstil e il kitsch. Anche la regia ha qualcosa di irresistibilmente mélo, che ricorda certi peplum Anni Cinquanta, più che l’esasperato naturalismo contemporaneo: non crediamo un secondo ai personaggi, ma non è necessario che siano credibili in un simile contesto, anzi, più sono anch’essi eccessivi e più appagano la nostra sete d’altri tempi. In tal senso il cast avrebbe potuto, in effetti, lasciar cadere qualche inibizione in più, data la rarissima occasione – giacchè, beninteso, altrove sarebbe peccato mortale abbandonarsi al caricaturale, ma in un contesto simile è più che appropriato fingere caratterizzazioni monodimensionali, per sottolinearne la natura superbamente decorativa. I costumi di Anna Anni e Lorena Marin – esagerati anche quando fingono minimalismo (ad esempio quello di Radamès nel III atto) – e le luci di Fiammetta Baldiserri – calligrafiche e contrastate al punto giusto – incorniciano il gioiellino zeffirelliano, rendendolo quasi un’epitome vivissima di ciò che la regia d’opera fu, e oggi non può più essere. La compagine canora, in ogni caso, forse ispirata dalla sottile opulenza che la circondava, ha saputo assestarsi su un livello alto e di sapiente misura. Su tutti svetta prevedibilmente la morbida e attentissima Aida di Maria Teresa Leva, vero talento del nostro parterre nazionale: non teme la prova scenica, curata nelle posture e negli sguardi; sfodera centri pieni, acuti splendidamente proiettati, ricchi di armonici caldi. Lo scoglio di “Cieli azzurri” è superato con classe, apprezzabili messe di voce, fraseggio appassionato. Samuele Simoncini, accanto a lei, è un Radamès ben rodato, che anche in altri contesti ha dimostrato la sua adesione vocale al ruolo: si distingue sempre per l’ottima dizione, il fraseggio misurato, l’intelligenza musicale che gli permette di adattarsi sia ai momenti d’azione che a quelli di maggiore abbandono lirico. Ottima prova anche quella del mezzosoprano Cristina Melis (Amneris), ben a fuoco sia nella zona grave che in quella acuta: il ruolo è dominato da un temperamento aggressivo ma anche seducente, la voce è ricca nelle sonorità; il fraseggio, tuttavia, è certamente perfettibile, affinché si mostri più variato, e soprattutto più sfumato in alcuni passaggi – ad esempio nel duetto con Aida. Anche Leon Kim è all’altezza del ruolo di Amonasro, per quanto scenicamente meno spontaneo: pregevolissimo nel duetto con Aida, nel quale apprezziamo una bella linea di canto. Solido e autorevole il  Ramfis di Fabrizio Beggi. Corrette le prove di Francesco Milanese (il Re), Alessandro Mundula (il messaggero) e Teresa di Bari (la gran sacerdotessa). L’apporto che il coro di OperaLombardia dà a questa produzione è senz’altro tra i migliori che si possano desiderare in un contesto di ridotte dimensioni: sia il coinvolgimento scenico che la compattezza e l’eufonia di questa formazione sono ormai considerabili una garanzia, e dimostrano di sapersi arricchire ad ogni nuova sfida – un plauso all’attenta direzione del maestro Dario Maccagnola. Infine, la direzione d’orchestra del maestro Francesco Cilluffo sa mantenersi in equilibrio tra languore e dinamismo, incarnando perfettamente lo spirito “epico da camera” che Franco Zeffirelli voleva si effondesse dalla sua scena. La sintonia tra buca e palco è quasi sempre perfetta e i suoni dell’orchestra ben omogenei. Il pubblico pavese – molto presente, nonostante il maltempo da settimane si accanisca sulla città – gradisce apertamente, riservando i più calorosi riconoscimenti ai due protagonisti. Le rappresentazioni di questo spettacolo continuerà nelle prossime settimane al Teatro di Como, poi al Teatro Grande di Brescia, per terminare al Sociale di Bergamo.