Teatro Petruzzelli di Bari: “Il Trovatore”

Bari, Teatro Petruzzelli, Stagione lirica 2017/2018
TROVATORE”

Melodramma in quattro parti, libretto di Salvatore Cammarano
Musica di
Giuseppe Verdi
Il conte di Luna ERNESTO PETTI
Leonora MARIA PIA PISCITELLI
Azucena MILIJANA NIKOLIC
Manrico  AMADI LAGHA
Ferrando  ALESSANDRO SPINA
Ines  ELISABETTA FARRIS
Ruiz  BLAGOJ NACOSKI
Un vecchio zingaro DARIO LATTANZIO
Un messo  RAFFAELE PASTORE
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore Renato Palumbo
Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Regia Joseph Franconi Lee
Scene Tito Varisco
Costumi Pasquale Grossi
Disegno luci Claudio Schmid
Video ritratti Luciano Romano
Coreografie Francesco Annarumma
Bari, 1 marzo 2018
Un allestimento “storico” quello del Trovatore barese, ispirato ai bozzetti che l’architetto-scenografo Tito Varisco realizzò per l’edizione del 1981, ospitata sempre al Petruzzelli, nella quale le nove mutazioni previste dal libretto di Cammarano erano ricreate sfruttando il fascino rétro dei fondali dipinti e la suggestione delle luci, qui curate da un maestro del calibro di Claudio Schmid. A fronte di invenzioni registiche e sceniche sempre più avveniristiche, questo spettacolo sembra riattivare il fascino delle figurine Liebig o delle foto di scena di fine Ottocento. Per quanto sia evidente di trovarsi di fronte a strutture di legno e cartapesta la magia del melodramma innesca l’illusione grazie alla quale il pubblico crede di trovarsi davvero in un accampamento zingaro o in un chiostro. Purtroppo la pregevolissima dimensione artigianale che ha contrassegnato questo allestimento (realizzato dalla Sormani Cardaropoli di Milano), richiedeva una serie, altrettanto artigianale, d’operazioni manuali per i cambi di scena che ogni volta comportavano minuti di attesa (e di deconcentrazione per orchestrali e pubblico). In questo contesto scenografico che verrebbe da definire naif ben si sono collocati i costumi di Pasquale Grossi ugualmente ispirati a quelli in voga tra Otto e Novecento. Visto il tradizionalismo dell’impianto visivo la regia dell’italo-americano Joseph Franconi Lee avrebbe potuto essere più dinamica concentrandosi sui gesti con i quali i personaggi si relazionano tra di loro che qui invece erano all’insegna di una sorta di distrazione diffusa.
La direzione di Renato Palumbo si è distinta per una correttezza e pulizia di fondo che nulla ha concesso ai vezzi di una tradizione interpretativa che in genere tende a un’oscillazione tra dilatazioni e compressioni agogiche. Ottima la cura nell’evidenziare i giochi timbrici tra legni e sempre ben calibrato il rapporto tra i volumi dell’Orchestra del Petruzzelli in continua crescita e lodevole per l’acquisita compattezza in ognuna delle sue sezioni. Analogo complimento va fatto al Coro del Petruzzelli, sempre preparato da Fabrizio Cassi, che migliora ad ogni replica e che si distingue grazie alla presenza di cantanti che potrebbero svolgere parti da protagonista. Il coro interno delle religiose nel finale dell’atto II ha rappresentato il vertice emozionale dell’intero spettacolo, duplicato soltanto dal successivo Miserere. Una tale coesione, uniformità e bellezza timbrica eleva questo coro a uno dei migliori oggi presenti in Italia.
Molto buono nel suo complesso il secondo cast che qui si recensisce. Il baritono salernitano Ernesto Petti, al suo debutto nella parte del Conte di Luna, ha palesato una vocalità elegante e nell’aria Il Balen del suo sorriso ha dato prova di padroneggiare il difficilissimo gioco di dinamiche là richiesto nel cantabile; mentre nella cabaletta Per me ora fatale ha saputo offrire una variazione espressiva in tutto calzante con le esigenze della verdiana “parola scenica”. Molto buona la Leonora del soprano scuro Maria Pia Piscitelli  versatile nel passare dalle sezioni di tornito lirismo a quelle di agilità e magistrale nell’uso dei filati. Particolarmente riuscita l’interpretazione di Mira d’acerbe lagrime dove si è evidenziata la lunga esperienza teatrale di un soprano che nell’esordire con un’opera seicentesca di Cavalli ha da sempre seguito un labor limae sulla propria voce. Spicca il Manrico di Amadi Lagha che ha dalla sua parte una voce squillante ma mai smargiassa, una perfetta dizione (nonostante le origini tunisine) e una musicalità che gli permette un fraseggio perfetto. Giusta l’ovazione tributatagli dal pubblico per aver cantato alla perfezione e senza puntature la celeberrima cabaletta Di quella pira. Mediocre l’Azucena di Milijana Nikolic, poco omogenea nei passaggi di registro e priva del volume che la parte richiede; fra l’altro la debolezza nel registro acuto si è resa evidente nell’omissione del Do in Tu la spremi dal mio cor e nell’aver sporcato il Si bemolle in Sei vendicata o madre. Nel suo caso la recitazione del testo peccava in dizione e per l’intera durata dello spettacolo non si è sentito un solo legato (specialmente in Stride la vampa). Notevole il Ferrando di Alessandro Spina  di bel timbro e di pregevole precisione esibita nella scena iniziale. Degne di plauso anche le parti di Ines e Ruiz interpretate dai bravi Elisabetta Farris Blagoj Nacoski; buoni per correttezza d’intonazione, il Vecchio Zingaro di Dario Lattanzio e il Messo di Raffaele Pastore.