Teatro San Carlo di Napoli:”La Traviata”

Napoli, Teatro di San Carlo, Stagione Lirica 2012/2013
LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave tratto dal dramma La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry CARMEN GIANNATTASIO
Flora Bervoix GIUSEPPINA BRIDELLI
Annina  MICHELA ANTENUCCI
Alfredo Germont  SAIMIR PIRGU
Giorgio Germont  SIMONE PIAZZOLA
Gastone FEDERICO LEPRE
Il barone Douphol NICOLO’ CERIANI
Il dottor Grenvil GIANLUCA BREDA
Il marchese d’Obigny  ALESSANDRO BATTIATO
Giuseppe  GIUSEPPE VALENTINO
Un domestico SERGIO VALENTINO
Un commissionario  CARMINE DURANTE
Orchestra, coro e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo di Napoli
Direttore  Michele Mariotti
Maestro del Coro Salvatore Caputo
Regia Ferzan Ozpetek
Scene Dante Ferretti
Costumi  Alessandro Lai
Luci Giuseppe Di Iorio
Coreografie Alessandra Panzavolta
Coproduzione con la Fondazione Lirico-Sinfonica Petruzzelli di Bari
Napoli, 9 dicembre 2012  

Nel bicentenario verdiano, il Teatro San Carlo, sceglie La Traviata per inaugurare la stagione operistica 2012/2013 e per celebrare il maestro di Busseto. Il regista Ferzan Ozpetek posticipa al 1910 il dramma di Violetta (discostandosi dal libretto originale che  situava la vicenda al 1850), questo per collocare La “sua” Traviata in una Parigi tutta imbevuta del gusto ottomano, ispirata dallo scrittore francese Marcel Proust. Bella intuizione! Infatti, Violetta, fra nuove emozioni, pentimenti, ripensamenti e disperazione, è continuamente alla ricerca del tempo perduto, concetto del tutto proustiano. Le scene di Dante Ferretti rimandano da subito al contesto storico ricercato dal regista, al Decadentismo, alla trasformazione della società francese ed alla crisi dell’aristocrazia. Il primo atto si apre sull’elegante salone della casa parigina di Violetta, arricchito di elementi sia architettonici che decorativi di chiara matrice orientalistica, dalle tinte calde ed intense. A contrastare quest’atmosfera di luci soffuse, di bui, è il sole! Infatti il secondo atto è ambientato nel cortile interno della nuova abitazione di Violetta ed Alfredo, come a voler sottolineare la naturalezza e la veridicità del loro amore, vissuto appunto, alla luce del sole. Mentre le vicende si susseguono, i dialoghi incalzano, il tramonto riporta i protagonisti nuovamente all’atmosfera greve e lasciva del primo atto. La scena, per il finale secondo, è dominata da una gigantesca scalinata, che si perde a vista d’occhio, e gli elementi architettonici di sapore ottomano si ritrovano. Nel terzo atto, dove la scena si svolge nella camera da letto di Violetta, la solidità architettonica dello spazio scenografico si trasforma in uno spazio astratto di luce, dove si consuma il dramma della morte.
Con tessuti morbidi, avvolgenti, che seguono il corpo femminile senza costringerlo, disegnando silhouette affusolate, sinuose e sensuali, Alessandro Lai ha saputo dar forza all’idea registica, ispirandosi al grande Paul Poiret, che liberava finalmente le donne dalla prigionia delle gabbie, fatte da crinoline e da tournure, disegnando degli stupendi costumi, arricchiti da elementi che contribuiscono a creare l’atmosfera calda ed ambrata del primo e del finale del secondo atto: damaschi, sete rosse, bronzo ed oro, mescolate alle piume di struzzo rosse rubino ed a meravigliosi gioielli esagerati, fuori misura. In questo bel contenitore, manca però un reale contenuto.  La regia di Ozpetek scivola via, senza lasciare un segno indelebile, ossia quella che dovrebbe essere la “zampata d’autore”.  Abbiamo invece assistito a una Traviata “politicamente corretta”. La lettura dell’opera, da parte del direttore Michele Mariotti, è priva di provocazioni gratuite e di grandi stravolgimenti, continuamente alla ricerca di un suono caldo, mai nevrotico, sempre elegante ed aristocratico. Discutibili alcune sue scelte d’esecuzione, come l’andamento del Preludio, estremamente sostenuto, tra l’altro, durante il Preludio, una gigantografia di Violetta, interpretata da Carmen Giannattasio, viene proiettata sulla scena, distogliendo l’attenzione dalla musica e vanificando l’effetto evocativo, e non descrittivo, che essa vuole ricreare, ed il rallentamento che subisce l’Allegro Agitato, la partita a carte, del finale secondo. Alle parole di Violetta: <<Ah, perché venni, incauta! Pietà di me, gran Dio!>>, il ritmo febbrile subisce una frenata, ponendo così l’attenzione sulla linea melodica e non sull’idea verdiana di concepire quest’intervento come un pensiero interno della protagonista, tutto calato nell’inferno che sta vivendo.  Il primo atto si apre in modo brillante, con staccati e trilli luminosi e vitali. Vivacità che non trova da subito un riscontro sulla scena.
La protagonista, Carmen Giannattasio, interprete di Violetta Valery, ha la padronanza del personaggio solo strada facendo. Il primo atto anche per lei è uno scoglio e le tensioni della tessitura acuta sono evidenti.  Nel resto dell’opera si trova decisamente più a suo agio e può mettere in luce una vocalità piena e morbida. La sua Violetta non ha però l’incisività di accenti che abbisognerebbe. Poco convincente il tenore Saimir Pirgu, Alfredo, dotato di bella voce, ma limitato nell’interpretazione: gli mancano stile, elenza, nobiltà. Ancora una volta ci troviamo a parlare dell’eccellente Simone Piazzola. Il suo Giorgio Germont è morbido, autorevole, ricco di chiaroscuri e canta in modo pressoché impeccabile. Applausi prolungati per l’esecuzione dell’aria “Di Provenza il mar, il suol…”. Adeguati gli interventi del  Coro e delle parti di fianco. Degne di nota Giuseppina Bridelli (Flora) e Michela Antenucci (Annina). La pagina sinfonica che apre il terzo atto è stata concepita da Verdi già nella scena. Ozpetek coglie questo aspetto, ricreando una serie di flashback che conducono l’ascoltatore dalla frenesia del finale secondo, alla desolazione dell’atto terzo, non interrompendo così il percorso drammatico della vicenda. Ottimo l’intervento della Banda Interna, sia quello relativo al primo atto, che al terzo. Teatro pieno in ogni ordine di posto. Successo caloroso di pubblico. Foto Luciano Romano