William Christie a Madrid

William Christie dirige per la prima volta la Orquesta Nacional de Espana con due selezioni da Médée di Charpentier e Les Boréades di Rameau

Madrid, Auditorio Nacional de Música
Orquesta Nacional de España – Temporada 15/16 Malditos
Orquesta Nacional de España
Direttore William Christie
Soprano Katherine Watson
Mezzosoprano Karine Deshayes
Tenore Reinoud Van Mechelen
Baritono Marc Mauillon
Marc-Antoine Charpentier : Médée, Tragédie en musique (selezione)
Jean-Philippe Rameau : Les Boréades (selezione)
Madrid, 14 novembre 2015

William Christie sale sul podio dell’Auditorio Nacional de Música svelto e agile, ringrazia il pubblico per la calorosa accoglienza, poiché per la prima volta è ospite della Orquesta Nacional de España. Ma il sorriso è mesto, lo sguardo fisso di fronte a sé, il pensiero richiamato altrove; certamente a Parigi, a quella Francia di cui dal 1995 è naturalizzato cittadino (ma di cui dal 1971 anima i cantieri della musica barocca). Non ha bisogno di dire neppure una parola, perché gli spettatori capiscono, cessano di applaudire e si alzano in piedi per un momento di raccoglimento. William Christie è quel che si dice un bellissimo vecchio: elegante, signorile, sovraccarico di entusiasmo e di energia. In una sera come questa sembra davvero il simbolo di una grande tradizione artistica e culturale, costituita di bellezza e di raffinatezza, di studio incessante, di rispetto per un passato che offre sempre qualcosa di esemplare; in una parola simbolo di civiltà, grande, venerabile, appassionata, eppure impotente contro tutto quel che le è opposto per forza brutale e irrazionale.
Insieme a lui, quattro solisti vocali sono i protagonisti di un concerto dal programma tutto teatrale: due opere in selezione, e scelte in modo tale da permettere di apprezzare la trasformazione della tragédie lyrique e delle forme più solenni nell’incredibile fantasmagoria dell’opéra ballet, proprio con Les Boréades, che Rameau non riuscì mai ad ascoltare dal vivo, e che Christie fu il primo a riscoprire e proporre pubblicamente (la partitura, sin dalla morte dell’autore, è circondata da un’aura di sfortuna e di maledizione; per questo è inserita nel ciclo “Malditos” dei concerti OCNE di questa stagione). Il valore aggiunto dell’interpretazione dei cantanti è la componente attoriale, che subito si traduce in convincente espressività, ed evita la monotonia di un succedersi di recitativi, declamati e arie: i solisti si guardano, recitano e si emozionano in completa autonomia rispetto al direttore; ma il perfetto aplomb della concertazione fa intuire quale grande lavoro sia stato svolto in precedenza sotto la sua guida.
Il mezzosoprano francese Karine Deshayes è l’artista più impegnata nella prima parte del concerto, poiché interpreta il ruolo di Médée, e lo fa in modo impeccabile: la voce è di una cavata poderosa, l’emissione molto solida, e soprattutto il fraseggio è capace di scolpire la parola tragica con tutta l’espressività e il rispetto testuale che il teatro francese richiede. Incalzata anche dai suggerimenti del direttore, la Deshayes sfrutta ogni risorsa vocale (compresi misurati colpi di glottide) per presentare una Médée via via dignitosa, adirata, smaniosa di vendetta e terribile (come nell’invocazione delle divinità stigie nella scena dell’atto IV, oltre che nel finale).
Suo diretto interlocutore è il tenore belga Reinoud Van Mechelen, nella parte di Jason, un cantante dal timbro chiaro e dall’impostazione molto aggraziata, capace però di toni vigorosi e drammatici. Momento d’insieme più bello della Médée è infatti il secondo duetto tra gli antichi amanti, introdotto dall’elegia larmoyant dei flauti. I due ruoli di Calisis e Abaris di Les Boréades sono molto più acuti rispetto a quello di Charpentier, e richiedono agilità e virtuosismo: il tenore si disimpegna molto bene (con viva soddisfazione di Christie), ricorrendo a volte al falsettone.
Al soprano inglese Katherine Watson tocca nella prima parte del concerto il ruolo espressivamente più contenuto e muliebre di Créüse (oltre che quello secondario di Nérine), in perfetto contrasto con la voce di Médée. Ma la Alphise dell’opera di Rameau, nella seconda parte, le permette di sfoggiare abilità di virtuosa belcantista e ottima tenuta di voce: la cifra caratterizzante è la soavità dell’emissione, con molte nuances di dolcezza.
Il baritono francese Marc Mauillon interpreta Arcas e Oronte nella Médée, Borilée, Boreas, Adamas in Les Boréades. Anch’egli è un cantante molto corretto; se nella prima parte non risaltano tutte le sue qualità, dà il meglio di sé in Rameau (anche se nel terzetto del II atto la voce si rivela un poco più leggera rispetto a quella dei colleghi).
L’orchestra diretta da Christie non è formata da strumenti originali, perché si tratta degli strumentisti della Orquesta Nacional de España, certamente più abituati ad altri repertori rispetto a quello barocco francese; eppure il loro suono è di straordinaria coesione, fastoso e vitalizzato dalle scelte ritmiche del direttore (anche nei frequenti recitativi). Tutti si presentano estremamente a proprio agio, a cominciare dal primo violino, Hiro Hurosaki, molto partecipe delle sottolineature espressive. Con l’opera di Rameau l’organico si accresce notevolmente, e la sonorità si fa massiccia e trionfante per il sopraggiungere degli ottoni, ma il bilanciamento tra le sezioni resta perfetto (davvero suggestivo, per esempio, quello tra corni e contrabbassi).
Il pubblico madrileno è entusiasta del concerto e dell’interpretazione offerta, e al termine acclama con insistenza cantanti, strumentisti e direttore; in altra occasione Christie avrebbe certamente offerto un omaggio festoso, come è suo solito; ma questa sera la gioia della musica è frenata dal dolore e dall’incredulità per quanto appena accaduto nella capitale francese, quella stessa Parigi di Charpentier e di Rameau. Il messaggio è comunque chiaro, e diventa modello valido per tutti; che cosa può fare un artista della levatura di Christie, così come un ascoltatore, un apprezzatore dell’arte, un cittadino dell’Europa e del mondo, se non restare fermo al proprio posto, cercare il senso profondo della sua occupazione, riproporre nel presente i valori della sua tradizione, anche per comprendere meglio quelli altrui? L’arte salverà il mondo – questo il messaggio di convinzione e di augurio – soprattutto dalla barbarie.