Zoltán Kodály (1882-1967): “Székely fonó” (La filanda magiara, 1932)

Opera in un atto su libretto di Bence Szabolcsi da testi popolari. Prima rappresentazione:Budapest, Teatro dell’Opera, 24 aprile 1932
Nel 1911 in un concerto-referendum promosso a Parigi dalla “Società musicale indipendente”, fu eseguita una nuova composizione: al pubblico spettava individuare l’autore. Il giudizio fu pronto e unanime: Zoltan Kodály. In realtà la musica era di Maurice Ravel e si intitolava “Valses nobles et sentimentales”. Come giustificare un simile abbaglio? Avessero confuso Kodály con Debussy l’errore non sarebbe stato  particolarmente grave:  nello stile, apparentemente conservatore di Kodály,  sulla base  del Folklore ungherese, emergono altri elementi, che l’analisi critica aveva già minuziosamente individuato e collegato a ripetuti procedimenti di marca impressionista. Del tempo trascorso a Parigi,  nel 1907, un’esperienza lascerà infatti la sua traccia nell’avvenire artistico di Kodály: l’incontro con L’arte di Debussy.
Nonostante l’opera di Kodály porti caratteri chiaramente occidentali, Bela Bartók l’ha definita, nella sua natura essenziale, con una notazione emblematica: “Se qualcuno mi chiedesse – ebbe a scrivere Bartók nella sua autobiografia – quali sono le opere che incarnano maggiormente lo spirito ungheresi, risponderei: quelle di Kodály. Esse costituìscono un reale professione di fede nell’anima ungherese. Ciò si spiega con una ragione esterna: l’attività di Kodály è radicata esclusivamente nel terreno della musica popolare ungherese; e con una ragioneinterna: la fede  e la speranza irriducibili di Kodály nella forza costruttiva e nell’avvenire del suo popolo “.Bartók e Kodály si erano incontrati nel salotto di Emma Sandor, donna di notevole intelligenza che Kodály avrebbe poi sposato nel 1910. Entrambi allievi di Hans Koessler scoprirono di  avere entrambi un forte interesse per la musica popolare, e riconobbero l’uno nell’altro una geniale curiosità, uno zelo infaticabile, una padronanza assoluta del mestiere di musicista. Una ricerca e una lunga esplorazione di un linguaggio dimenticato che porterà alla creazione di una Scuola Nazionale, perfettamente integrata nella cultura  europea, di cui Bartók e Kodály saranno i massimi rappresentanti.  Chiarezza di scrittura e di idee, perizia nella strumentazione, inclinazione al pittoresco equilibrio, gusto, sono i frutti della ricerca kodaliana, riconoscibile in tutta la musica di questo autore. “La Filanda Magiara” è la prova notevole del talento teatrale di Kodály, e in essa l’ elemento popolare è non solo dominante ma, vorremmo dire, unico e incontrastato: i canti, i cori le danze, sono imbevuti di folklore e il debole intrigo drammatico pare non più che un pretesto, un sottile filo rosso che corre in un tessuto di vivido e schietto colore.  D’altronde Il titolo è il sottotitolo “quadro di vita ungherese” non lasciano nel dubbio sulla matrice musicale. Cori di ragazze filatrici e di giovani, sostengono la vicenda della vedova (contralto), ancora bella e piacente, costretto a separarsi dal suo pretendente (baritono), ingiustamente accusato di una colpa non commessa, e il lieto fine in cui, per merito di una vicina di casa (contralto) la quale scoprirà  il vero colpevole – ossia l’uomo (baritono) che si era travestito da “pulce nasuta” in una mascherata –  facendo trionfare la verità e l’innocenza del pretendente, con grande gioia di tutti. Attorno a questo fatto si inseriscono un susseguirsi  di cori, canti, e  danze che, con la loro grazia, il loro charme malinconico, o brillante e immediato, danno e sono l’elemento principale dell’opera il sapore alla partitura (la canzone degli animali comperati al mercato, la canzone dell’oro e dell’argento, ecc.): l’ispirazione del compositore non trasfigura il folklore, lo amalgama con elementi colti in una dosatura accorta, in modo che la strana, irregolare, fantasiosa bellezza del canto popolare, per usare le parole di Nietzsche, non è mortificata e inquadrata da nessun accademismo.