Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: “Der Fliegende Holländer”

Teatro del Maggio Musicale FiorentinoStagione 2018-2019
 “DER FLIEGENDE HOLLÄNDER”
Opera romantica in tre atti
Libretto e musica di Richard Wagner
Daland MICHAIL PETRENKO
Senta MARJORIE OWENS
Erik PETER TANTSITS
Mary ANNETTE JAHNS
Der Steuermann TIMOTHY OLIVER
Der Holländer THOMAS GAZHELI
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Fabio Luisi
Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Coro Ars Lyrica di Pisa
Maestro del coro Marco Bargagna
Regia Paul Curran
Scene Saverio Santoliquido
Costumi Gabriella Ingram
Luci David Martin Jacques
Video Otto Driscoll
Firenze, 17 gennaio 2019
Grandissimo interesse, afflusso massiccio di pubblico di tutte le età – giovanissimi compresi, concentrati ed entusiasti – ha riscosso questa produzione dell’opera wagneriana. Nel cartellone ricco e molto variegato di questa stagione, composto da diverse riprese di titoli popolari, Der Fliegende Holländer rappresenta forse l’evento di punta, sicuramente una delle scelte più interessanti e impegnative. La concezione dello spettacolo non è rivoluzionaria, la trasposizione temporale nel Novecento, incide ben poco in un dramma archetipico e atemporale, suggerendo soltanto un’atmosfera estetica gradevole e non incongrua. Infatti più che la regia si fanno apprezzare costumi e scene, coerenti, ben realizzate e funzionali ad una lettura di comunicativa immediata. Non ci sono simbolismi, allusioni, riferimenti di difficile comprensione, la storia si dipana nel modo più leggibile e piano. Forse troppo. Perché via via si affaccia la sensazione che manchi qualcosa nel gioco scenico rigido e convenzionale dei protagonisti, nella loro caratterizzazione monolitica e un po’ prevedibile, nel blando movimento delle masse, fatta eccezione per la forte scena dei fantasmi nel terzo atto.
Nella scenografia di Saverio Santoliquido le buone idee non mancano: all’apertura del primo atto teli bianchi sui quali viene proiettata una tempesta nascondono la scena, finché non vengono raccolti come vele ammainate, materializzando così la nave di Daland; la nave dell’Olandese che entra nel fiordo, sempre realizzata mediante proiezioni, ha una grafica un po’ troppo cartoon; molto bella è invece nel secondo atto la stanza delle lavoratrici, trasformata da filanda in sartoria, con le macchine da cucire della nonna, nere, a pedale e il mare che si intravede in lontananza, sotto un tramonto tempestoso; drammatica e d’impatto nel terzo atto è l’apparizione dell’equipaggio dell’Olandese, grazie alle luci di David Martin Jacques, efficaci come nel resto dell’opera, e alle proiezioni di Otto Driscoll, che stavolta, quasi completamene astratte, riescono a suggerire qualcosa di diabolico e irreale. I costumi di Gabriella Ingram hanno un’eleganza disadorna nelle loro tinte bruciate e cupe e presentano le fogge degli anni ’40, all’infuori dell’Olandese che è correttamente vestito con abiti neri alla moda di svariati secoli prima. Si tratta in definitiva di uno spettacolo piacevole, in cui tutti nodi i sono ben risolti – ad eccezione dell’apoteosi finale, alla quale si rinuncia in favore di un fulmineo ritorno in scena di Senta, piuttosto debole – dotato di bellezza visiva e di equilibrio estetico, in cui la regia di Paul Curran sembra non curare a sufficienza le sfumature nella recitazione dei protagonisti, che mettono in campo ognuno le sue risorse, talvolta anche notevoli, ma senza un’idea forte e unitaria che li guidi. Interprete molto incisivo è tra tutti Thomas Gazheli nei panni dell’Olandese, che restituisce come un personaggio potente e affascinante, un eroe vinto, un disperato con venature di grande tenerezza. Nel far questo canta, canta a lungo, senza risparmio e con una buona tenuta, ma con un’emissione sui generis che è un mosaico di buon canto classico e di suoni gridati, parlati, spoggiati. Quindi se l’uomo di teatro è da applaudire e ammirare, più complicato è pronunciarsi sul “baritono”, del quale va tuttavia detto che ha tutte le note della parte e che riesce in qualche modo a passare l’orchestra e a far arrivare la voce in platea tanto nei passaggi teneri e amorosi quanto in quelli tragici. È decisamente ortodosso invece il canto di Marjorie Owens, pieno, rotondo, bello e sonoro; il soprano americano presta a Senta una voce ampia e generosa, particolarmente rigogliosa nel registro medio e luminosa in quello acuto, dotata di buone possibilità espressive, emessa con morbidezza e delicatezza di sfumature; così semplicemente dal canto emerge una donna dolce, ma ferma, prigioniera di una sorta di ossessione, di un amore soprannaturale che la allontana dalla realtà e la trasporta verso il sacrificio, un personaggio che resta enigmatico, come è forse giusto che sia, mentre l’intenzione, dichiarata dal regista, di farne una figura protofemminista risulta difficile da cogliere. Michail Petrenko canta con correttezza e buone intenzioni, è spigliato ed efficace nella recitazione; forse il suo strumento è meno robusto di quanto la parte richieda, incontra qualche durezza nella salita e sparisce a tratti sotto il suono dell’orchestra, cosicché il suo Daland supera la prova con onore, ma senza imprimersi particolarmente nella memoria. Timothy Olivier è un tenore dal timbro chiaro, ma penetrante, canta e interpreta il suo ruolo con gusto e misura. Scenicamente centrata, ma non sempre gradevole vocalmente è la Mary di Annette JahnsPeter Tantsits ha ottime intenzioni, si butta nel ruolo di Erik con foga e sentimento, ma il canto gli costa sforzo e la voce emerge a tratti in qualche acuto piuttosto lucente, rimanendo debole nel registro medio-grave. L’accoppiata tra l’Orchestra del Maggio e il direttore Fabio Luisi, come di consueto funziona e conduce in porto l’impresa con ottimi momenti e una tinta notturna che aleggia e conferisce unità al dramma; l’ouverture è scattante, piena di energia, con un pulitissimo legato nelle sezioni cantabili, ben suggerito è il senso di attesa misteriosa che precede l’ingresso dell’Olandese, elastico e mai prevaricante l’accompagnamento al canto, sempre compatto, lucente e setoso il suono.  Da lodare con convinzione è la prestazione del Coro del Maggio diretto da Lorenzo Fratini, integrato dal Coro Ars Lyrica di Pisa diretto da Marco Bargagna: ottimi nel complesso, eccellente la sezione maschile. L’accoglienza del pubblico è stata calorosissima, tutti gli interpreti sono stati generosamente applauditi, Marjorie Owens ha ricevuto lunghe ovazioni, ma è stato molto apprezzato anche Thomas Gazheli; applausi entusiasti hanno ricevuto anche Orchestra, Coro e direttore.