Torino, Teatro Regio: “La donna serpente” di Alfredo Casella

Teatro Regio, Torino – stagione lirica 2015-16
LA DONNA SERPENTE
Opera fiaba in un prologo, tre atti e sette quadri su libretto di Cesare Vico Lodovici dall’omonima fiaba di Carlo Gozzi
Musica di Alfredo Casella
Altidòr, re di Teflis PIERO PRETTI
Miranda CARMELA REMIGIO
Armilla ERIKA GRIMALDI
Farzana e La corifea FRANCESCA SASSU
Canzade ANNA MARIA CHIURI
Alditrùf FRANCESCO MARSIGLIA
Albrigòr MARCO FILIPPO ROMANO
Pantul ROBERTO DE CANDIA
Tartagìl FABRIZIO PAESANO
Tògrul FABRIZIO BEGGI
Demogorgòn SEBASTIAN CATANA
La fata Smeraldina e Una voce nel deserto KATE FRUCHTERMAN
Badur e Il corifeo DONATO DI GIOIA
Primo messo e La voce del mago Geònca EMILIO MARCUCCI
Secondo messo ALEJANDRO ESCOBAR
Prima fatina EUGENIA BRAYNOVA
Seconda fatina ROBERTA GARELLI
Una voce interna GIUSEPPE CAPOFERRI
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Gianandrea Noseda
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Regia Arturo Cirillo
Scene Dario Gessati
Costumi Roberto Falaschi
Coreografia Riccardo Olivier
Luci Giuseppe Calabrò
Nuovo allestimento in coproduzione con il Festival della Valle d’Itria
Torino, 24 aprile, 2016
La musica di Casella si dipana su tutto questo con convinzione ma anche con superficialità. Si riconoscono l’interesse del compositore torinese per la storia della musica – con richiami che vanno da Rossini nel quintetto delle maschere al recitar cantando di Monteverdi nel monologo di Mirando del III atto fino agli amati russi, Rimskij-Korsakov e Stravinskij in primis – la maestria nell’orchestrazione, la preferenza per scansioni ritmiche marcate e iterate. Tutto ciò resta, però, sempre in superficie, in quanto non solo non coinvolge mai emotivamente ma sembra solo lambire la vicenda quasi con distrazione. Non è certo un caso che i momenti più riusciti siano gli intermezzi orchestrali che collegano le varie scene sul modello del “Wozzeck” nei quali le ragioni della musica pura liberata dalle necessità del teatro possono liberamente prevalere.
Mettere in scena un lavoro così anti-teatrale non è certo facile. Andrea Cirillo (regia), affiancato da Dario Gessati (scene) e Gianluca Falaschi (costumi), fanno quello che possono. L’essenziale impianto scenico – pensato in origine per le particolarità del Festival della Valle d’Itria – conta di limitati elementi scenici, blocchi geometrici che, muovendosi, definiscono i vari spazi arricchiti da qualche arredo scenico che richiama il gusto disegnativo di certi libri di fiabe del tempo (gli arbusti puramente disegnativi, le carrozze-nuvole su cui arrivano Tògrul e Tartagìl, le monumentali tavolate imbandite portate dai servitori del regno delle fate per sfamare le maschere). Vero elemento scenico risultavano poi gli splendidi costumi di Gianluca Falaschi con tutta la colorata fantasia di un racconto di fate in cui i richiami ad un oriente fantastico e indefinito – il costume di Altìdor si rifaceva alla ritrattistica dinastica partica o kusana – si univano con un certo gusto art decò o certe ceramiche decorative come quella della Manifattura Lenci. La regia di Cirillo seguiva la vicenda in modo il più didascalico possibile cercando di rendere comprensibile il ginepraio del libretto.
Sul versante musicale superba la prova di Gianandrea Noseda, conoscitore come pochi altri della musica di Casella di cui fornisce una lettura smagliante per splendore timbrico, vitalistica energia ritmica e capacità di far risultare con una chiarezza e un rigore impressionanti anche i minimi dettagli cameristici che rischierebbero facilmente di perdersi nel flusso sinfonico della scrittura. L’orchestra e il coro del Regio rispondono al meglio fornendo una prova magistrale ancor più significativa considerando la difficoltà della scrittura di Casella e la non certo abituale frequentazione con questo tipo di musica.
Di altissimo livello la compagnia di canto. Piero Pretti, voce forse non grande ma bella, luminosa, squillante, regge con assoluta sicurezza l’impervia parte di Altìdor dominando la tessitura molto alta e non certo comoda del ruolo senza mai sacrificare l’intenso lirismo della sua natura vocale che calza come un guanto a questo principe nobile e generoso. Carmela Remigio è un’ottima Miranda e, se si nota qualche piccolo segno di stanchezza sulla linea di canto dovuto a una carriera ormai lunga e intensa, questo non compromette la riuscita generale in cui il bel colore, caldo e morbido si unisce a una grande sensibilità interpretativa che trova il punto culminante nel grande monologo “Vaghe stelle dell’Orsa” in cui la Remigio trasmette pienamente il senso di purezza del recitar cantando montevediano grazie ad un’ammirevole sensibilità per i valori espressivi della parola. Splendido il quintetto delle maschere trascinato da un Roberto de Candia (Pantùl), vocalmente in ottima forma e di straordinaria comunicativa, affiancato da Francesco Marsiglia (Alditrùf), Marco Filippo Romano (Albrigòr) e Fabrizio Paesano (Tartagìl). Solidissima e di grande presenza vocale la Canzade di Anna Maria Chiuri; solo troppo breve la parte di Farzana per la brava Francesca Sassu, menttre molto corretta anche se forse un po’ leggera come vocalità è l’Armilla di Erika Grimaldi.  Fabrizio Beggi presta una solida voce di basso al suo sposo Tògrul e Sebastian Catana, pur corretto, manca un po’ di volume e autorità per la parte del Re Demogorgòn più adatta ad un basso-baritono. Tutte pienamente centrate le numerosissime parti di fianco. L’esecuzione proposta è quindi di altissimo livello ed è forse difficile far meglio sul piano della qualità esecutiva ma, nonostante tutto, rimangono le perplessità sull’effettiva qualità di questa partitura e sulle sue possibilità di ricavarsi uno spazio nel repertorio corrente.