Torino, Teatro Regio: “Il turco in Italia” (cast alternativo)

Teatro Regio – Stagione d’Opera e Balletto 2014/2015
“IL TURCO IN ITALIA”
Dramma buffo in due atti su libretto di Felice Romani
Musica di Gioachino Rossini
Selim MARCO VINCO
Donna Fiorilla BARBARA BARGNESI
Don Geronio MARCO FILIPPO ROMANO
Don Narciso EDGARDO ROCHA
Prosdocimo VINCENZO TAORMINA
Zaida SAMANTHA KORBEY
Albazar ENRICO IVIGLIA
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Daniele Rustioni
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Maestro al fortepiano Luca Brancaleon
Regia Christopher Alden
Ripresa da Karolina Sofulak
Scene Andrew Liebermann
Costumi Kaye Voyce
Luci Adam Silverman
Riprese da Cecile Giovansili
Assistente alla regia e ai movimenti coreografici Anna Maria Bruzzese
Nuovo allestimento, in coproduzione con Festival d’Aix-en-Provence, Opéra de Dijon e Teatr Wielki-Polish National Opera (Varsavia)
Torino, 19 maggio 2015

Sullo spettacolo cui si è assistito a Torino si è già espresso con sufficiente chiarezza il collega Michele Curnis nella sua recensione al primo cast, eviterò di calcare la mano. Vale forse solo la pena di sottolineare che la regia di Christopher Alden, nell’intento di accentuare l’elemento metateatrale della trama, è riuscita a rendere incomprensibili alcuni snodi fondamentali della vicenda, compromettendone la ricezione anche a coloro che conoscono l’opera. Basti un esempio: Geronio, quando attacca il quintetto del II atto «Oh, guardate che accidente! / Non conosco più mia moglie», dovrebbe vedersi davanti due coppie che sembrano essere, entrambe, composte da Fiorilla e Selim: lo dice lui stesso poche battute prima. Se però in scena di coppia non ce n’è nemmeno una, poiché un sipario verde copre alla vista di Geronio e degli spettatori qualsiasi cosa, diviene arduo capire le ragioni dello spaesamento dell’anziano marito.
Quanto alla componente musicale, ci si è trovati di fronte a un caso in cui le due compagnie scritturate, sia pure con marcate distinzioni individuali, non hanno sortito un risultato in cui si rilevasse, a livello complessivo, una differenza qualitativa evidente.
In questo cast alternativo, se Fiorilla avesse dovuto scegliere i suoi uomini sulla base della voce, non avrebbe avuto la tentazione d’abbandonare il marito e l’amante italiano. Il primo, Geronio, ha trovato nel baritono Marco Filippo Romano un interprete di carattere, ottimo nei recitativi e nel canto sillabato, favorito dalla dizione particolarmente felice; egli è riuscito, calcando i tratti macchiettistici del personaggio, a farne emergere i momenti più disperati, come quando va ripetendo «Vo’ mia moglie!» nella stretta del quintetto. Narciso, ridotto dalla regia a viscido psicopatico, si è avvalso dell’interpretazione di Edgardo Rocha, voce tenorile rossiniana, chiara e agile, sostenuta da una tecnica raffinata che favorisce un uso accorto ed espressivo di tinte, sfumature  e mezza voce. Meno affascinante è parso il Selim del basso Marco Vinco, a causa della voce ruvida e un po’ instabile, che solo nei momenti in cui il turco deve mostrare il proprio lato più burbero e violento è divenuta adeguato mezzo espressivo. Il baritono Vincenzo Taormina ha uno strumento possente che dona rilievo alla figura del Poeta, da lui sottratto all’ambito della vocalità tipicamente buffa e trasportato in una dimensione cantabile più connaturata alle sue corde vocali. Sul fronte femminile, Fiorilla è un personaggio vocalmente complesso, perché la sua tessitura tende a spostarsi verso il basso col procedere dell’opera, ed è difficile trovare un’interprete parimenti versata nella gaia brillantezza dell’esordio e nelle tinte scure dell’aria finale. Il soprano Barbara Bargnesi è certamente più portata a valorizzare l’elemento brillante del carattere della giovane, che si riconosce nella sua voce leggera naturalmente portata al canto di coloratura: qualche esitazione nei momenti più virtuosistici dell’aria iniziale è stata ampiamente superata nei numeri successivi; nel II atto si è trovata meno à l’aise nella scrittura più grave, e così, nell’ultima aria, i tratti brillanti sono risultati più vividi delle ombre del dramma: una Fiorilla, insomma, pentita solo a metà. Gli altri due interpreti sono comuni al cast principale: Zaida era incarnata da Samantha Korbey, soprano corto più che mezzosoprano, nella cui voce, per quanto la tecnica sia andata migliorando nel corso della recita, non si identifica un elemento di vero interesse. Spiccava maggiormente l’Alcazar del tenore Enrico Iviglia, gratificato con l’aria apocrifa di sorbetto (l’opera, con l’esclusione di pochi versi di recitativo, è stata eseguita nella sua forma più integrale), affrontata con piacevole voce leggera; che la messa in scena trasformasse il brano in momento di cabaret non va ovviamente ascritto all’interprete.
Daniele Rustioni ha svolto correttamente il suo lavoro di concertazione; ma, a differenza di quanto accaduto in precedenti occasioni, non si può dire d’aver trovato nella sua direzione qualche tocco personale degno di nota. Forse è mancata un po’ di verve, qua e là, ad esempio nel duetto del II atto di Selim e Fiorilla, insolitamente sbiadito e noioso; o nella prima parte dell’ouverture, che è suonata alquanto pesante. A proposito di ouverture: alla prova generale ci si era illusi che per essa la regia prevedesse la scelta più originale e azzeccata, cioè quella di un ascolto a luci accese, che richiamasse, da un lato, la dimensione concertistica, e, dall’altro, l’originaria funzione di questo brano sinfonico. Invece – sia stato errore tecnico alla prova, o ripensamento successivo ad essa – ci si è ritrovati al buio, concentrati sul palcoscenico, dove si poteva ammirare il poeta Prosdocimo che passeggiava avanti e indietro mangiando una banana. Foto Ramella&Giannese