Torino, Teatro Regio: “Pagliacci”

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera 2016-2017 
“PAGLIACCI”
Dramma in un prologo e due atti su libretto di Ruggero Leoncavallo
Musica di Ruggero Leoncavallo
Nedda (Colombina) ERIKA GRIMALDI
Canio (Pagliaccio) FRANCESCO ANILE
Tonio (Taddeo) ROBERTO FRONTALI
Peppe (Arlecchino) JUAN JOSÉ DE LÉON
Silvio ANDRZEJ FILOŃCZYK
Primo contadino VLADIMIR JURLIN
Secondo contadino SABINO GAITA
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi”
Direttore Nicola Luisotti
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia Gabriele Lavia
Scene, costumi e video Paolo Ventura
Luci Andrea Anfossi
Nuovo allestimento
Torino, 17 gennaio 2017    
Durante l’originale presentazione dello spettacolo alla stampa, tenutasi il 9 gennaio sul palcoscenico del Teatro Regio – i relatori sedevano nel teatrino di scena, mentre il pubblico dei cronisti occupava le panche destinate ai paesani-spettatori nel II atto – è emerso che questa produzione di Pagliacci era stata inizialmente concepita per essere abbinata al Tabarro pucciniano, completando così il Trittico iniziato nel 2014 con Gianni Schicchi (in dittico con Eine florentinische Tragödie di Zemlinsky) e proseguito nel 2015 con Suor Angelica (abbinata a Goyescas di Granados). Anche la scenografia era stata pensata per trasformarsi nelle rive parigine della Senna. Invece, gli appassionati di opere rare dovranno attendere ancora un tempo indefinito prima di assistere al Tabarro, e prende sempre più piede, nei teatri italiani, l’abitudine a fare serata con un atto unico. Non sono state chiarite le ragioni che hanno portato alla decisione di eseguire i Pagliacci da soli, anche se, in tempi di budget ridotti, qualche sospetto può lecitamente venire. Gabriele Lavia ha illustrato come l’idea registica sia nata in lui – e non si può non ravvisare un’assonanza con la poetica e il processo compositivo di Leoncavallo – da una situazione reale, dal ricordo d’infanzia di un teatrino di strada allestito a Catania negli anni dell’immediato dopoguerra, in un contesto urbano segnato dalle distruzioni belliche; e proprio a quegli anni fa riferimento la messa in scena torinese. Non intendo diffondermi sul lato visivo dello spettacolo, già descritto da Michele Curnis nella sua recensione al cast alternativo, se non per dire che garantisce una nitida comprensione della vicenda, senza che essa perda di verisimiglianza, e ammalia lo spettatore con un tripudio di luci e colori che, rappresentando la solarità mediterranea, creano un azzeccato contrasto con la cupezza della tragedia.
Nella recita del 17 gennaio il tenore in locandina, Fabio Sartori, è stato sostituito a causa di un «improvviso malore». Poiché lo stesso annuncio è risuonato alle recite del 15 e del 19, ci dovrebbe preoccupare seriamente per la sua salute; o, forse, si è trattato di una formulazione infelice per comunicare il persistere di un’indisposizione. A interpretare Canio è stato quindi Francesco Anile, responsabile di quasi tutte le recite in programma. La sua è una voce “verista”, con la molteplicità di significati che questa definizione può comportare; quel che è certo è che in Canio egli trova un ruolo d’elezione come pochi altri potrebbero esserlo, e che sul pubblico la sua interpretazione genera un forte effetto, manifestatosi con abbondanza di applausi. Il suono voluminoso, squillante e luminoso nel registro acuto, garantisce un’ottima riuscita ai passaggi più attesi, laddove nel registro medio-grave si risentono gli effetti di un modo di porgere che potrebbe guadagnare maggiore classe. Il soprano Erika Grimaldi, aiutata anche da una regia vivace ma mai caricaturale, tratteggia compiutamente la figura di Nedda, nella quale realizza uno dei ruoli più convincenti della sua carriera: giocando sui colori della voce, riesce a essere credibile e passionale, dolce e calda senza mai cadere in sdolcinature nel duetto con Silvio, civettuola e irridente mentre viene corteggiata da Tonio, impavida e orgogliosa di fronte alla violenza di Canio. La nota acidula conferita alla ballata d’esordio identifica fin da subito la giovane commediante come donna matura e consapevole. Il baritono Roberto Frontali possiede un timbro nobile che contrasta con la figura ripugnante di Tonio, del cui animo mette in luce le pieghe meno ovvie, la dolente umanità che si trasforma in viscida perfidia a seguito del rifiuto subito. Durante la “commedia” del II atto, è assai perspicuo nel far capire i momenti in cui l’attore veste i panni di Taddeo e quelli nei quali è l’uomo Tonio a parlare della realtà della vita. Impressione assai positiva è giunta da Peppe e da Silvio, i cui interpreti sono comuni ai due cast. Si tratta di ruoli brevi ma nient’affatto secondari, che, quando siano affidati a solisti di rilievo, si palesano nella loro importanza drammaturgica e vocale. Il primo è appannaggio del tenore Juan José de León, la cui voce è chiara e svettante, aggraziata ma nient’affatto esile, e di ottima proiezione; ideale risulta la serenata cantata nei panni di Arlecchino. Il baritono Andrzej Filończyk, delicato e leggero, tratteggia Silvio come un dandy cittadino in villeggiatura più che come il campagnolo indicato dal libretto – favorito in questo dall’abito elegante –, e in tale veste rende più verosimili le sfumature di fraseggio dettate sì dall’afflato amoroso, ma anche, indubbiamente, da una scaltra retorica. Impeccabili, come sempre, sono le compagini del Regio. L’orchestra, in particolare, forse grazie alla maggiore attenzione che si può porre ai dettagli in uno spettacolo più breve, ha messo in risalto insolite finezze di partitura, cui non si suole prestare caso nell’opera di Leoncavallo. In ciò, il merito va attribuito, oltre che agli strumentisti, al direttore Nicola Luisotti, che queste peculiarità ha studiato e valorizzato, richiamando l’attenzione su di esse anche durante la conferenza stampa di presentazione dell’opera.