Torre del lago, Festival Pucciniano 2013:”Turandot”

Torre del Lago (Viareggio), Gran Teatro all’Aperto “G.Puccini”, 59° Festival Puccini
TURANDOT
Dramma lirico in tre atti, libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, dall’omonima fiaba teatrale di Calo Gozzi
Musica di Giacomo Puccini     
La principessa Turandot GIOVANNA CASOLLA
L’imperatore Altoum SALVATORE D’AGATA
Timur CARLO STRIULI
Il principe ignoto (Calaf) ANGELO FIORE
Liù ALIDA BERTI
Ping GIOVANNI GUAGLIARDO
Pang NICOLA PAMIO
Pong FRANCESCO PITTARI
Un mandarino ANGELO NARDINOCCHI
Prima ancella ATSUKO KOYAMA
Seconda ancella VALENTINA BOI
Orchestra e Coro del Festival Puccini
Voci bianche del Festival Puccini
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Stefano Visconti
Voci bianche dirette da  Sara Matteucci
Regia Maurizio Scaparro
Scene  Ezio Frigerio
Costumi  Franca Squarciapino
Luci  Valerio Alfieri
Regista assistente  Luca Ramacciotti
Torre del Lago, 20 luglio 2013
Con la suggestiva aggiunta di una vera luna piena sullo sfondo di un rasserenato cielo estivo, è andata scena la seconda recita di questa produzione della Turandot di Puccini al Festival Puccini di Torre del Lago. Davvero l’arte dell’equipe Frigerio – Squarciapino ha saputo creare ancora una volta un impianto di scene e costumi di notevole bellezza: una rappresentazione elegante e fiabesca della Cina, appena accennando allo stile liberty o all’art déco dell’epoca della prima rappresentazione del 1926 con alcuni elementi grafici e alcune scelte di accostamenti di colori, nella scatola scenica che si compone di elementi che si includono fra di loro. Una prima e più “grande” rappresentata dalle mura del Palazzo Reale del primo atto ed altre più piccole contenute in essa nel secondo e terzo atto, con elementi che suggeriscono altri spazi nascosti e inaccessibili dentro cui si celano i terribili segreti che solo lo svelarsi dell’ultimo e più grande, quello dell’amore e del sacrificio d’amore, potranno aprire. Le scelte registiche di Maurizio Scaparro puntano sulla “frontalità” in qualche modo inevitabile del teatro lirico e di questa situazione scenografica in particolare: le figure singole e le masse mancano di profondità, sono le immagini bidimensionali del cinema muto o delle illustrazioni di un vecchio libro di fiabe, per acquistare spessore solo al momento tragico del suicidio per amore di Liù e nella sorpresa del finale. A parte qualche “ingenuità” (ad esempio l’apparizione poco riuscita dei fantasmi nel primo atto realizzati da alcuni figuranti che devono entrare e uscire di scena a gattoni sull’alto di una torre, così togliendo ogni effetto evocativo per cedere ad uno quasi comico), tutto si è svolto in maniera estremamente coerente alla realizzazione di quello che è in fondo quest’opera, una bella favola teatrale con il dolce amaro di una tragedia annunciata a rendere più malinconico il solito finale “…e vissero felici e contenti.”
Nonostante le condizioni acustiche della musica all’aperto siano inevitabilmente avverse alla qualità del suono, l’Orchestra del Festival Puccini ha eseguito bene questa difficile partitura, realizzando molti colori e intense dinamiche, sempre aderente al gesto di Francesco Ivan Ciampa: il giovane direttore ha dimostrato ottima musicalità e buona tenuta, gestendo con sicurezza sia la buca che il palcoscenico. Il Coro del Festival Puccini, ben preparato da Stefano Visconti, ha dato buona prova di professionalità sia musicale che vocale non disgiunta da una resa scenica espressiva e puntale, con momenti molto intensi, specie nel momento del sorgere della luna nel primo atto e nella trenodia funebre per Liù nel terzo. I bambini delle voci bianche, preparati da Sara Matteucci, sono stati perfettamente intonati e precisi nei loro interventi.
Tra le parti dei solisti spiccava l’ampiezza vocale e l’intensità drammatica di Giovanna Casolla nel ruolo titolo. Come già ebbi a dire per la Maria Stuarda di Mariella Devia, di fronte all’arte e all’esperienza di cantanti di questo livello ogni recensione rischia di sembrare un elogio sperticato fatto di aggettivi al superlativo. Ma chi era presente a questa rappresentazione non può non riconoscere che è davvero entusiasmante assistere all’espressione di un personaggio così pieno di insidie vocali e musicali dando sempre l’impressione di facilità e sicurezza. La voce è perfettamente a fuoco sia nell’energia dei passaggi nel forte che nella morbidezza di suoni delicati del piano. La particolarità che più mi ha colpito dell’interpretazione di questa grande cantante in questo ruolo è l’apparire terribilmente pericolosa tenendo altissima la tensione ogni volta che è in scena: è l’autentica incarnazione della morte la sua gelida principessa, sconfitta solo dal gesto di redenzione e purificazione che deriva da una morte per amore. In questo senso ha centrato molto bene il colpo l’interpretazione di Liù da parte di Alida Berti. Delicata e malinconica nel suo bel timbro vocale e sicura nell’azione teatrale, ha catalizzato tutta l’attenzione del pubblico sia nell’aria del primo atto che nella grande scena della morte. A vestire i panni del Principe Calaf c’era un aitante giovane cantante, Angelo Fiore, dal bel timbro di tenore lirico ma che, a mio parere, non si sposa con questo tipo di vocalità. Angelo Fiore non si è risparmiato dando tutta l’intensità possibile alla sua esecuzione; tuttavia il settore più centrale e grave non hanno lo spessore necessario così come la zona acuta, pur sicura, ha il colore e il volume giusti per altri tipi di ruolo, forse più adatti a quelli del belcanto del primo Ottocento. Diciamo, quindi, che ha portato a termine la recita, ma gli auguriamo che nei prossimi casting sia guidato meglio. La voce potente e scura di Carlo Striuli ha delineato con sicurezza il personaggio di Timur, così come il trio dei ministri Ping, Pang e Pong (le “maschere”) era composto di ottimi professionisti, Giovanni Guagliardo, Nicola Pamio e Francesco Pittari: tutti e tre davvero bravi per musicalità, espressività, chiara dizione e precisa resa teatrale, anche se è spiccato soprattutto Pamio per disinvoltura scenica e qualità vocale. Angelo Nardinocchi ha scolpito con solidità il personaggio del Mandarino e il bel timbro vocale della due ancelle, Atsuko Koyana e Valentina Boi, ha colorito la loro breve apparizione.