Un genio assoluto: Jan Lisiecki

Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2013-2014
Pianoforte Jan Lisiecki
Fryderyk Chopin: Grande Valzer Brillante in mi bemolle maggiore op. 18; 24 Preludi op. 28; Notturni op. 9; Valzer op. 64; Andante Spianato e Grande Polacca Brillante in mi bemolle maggiore op. 22
Roma, 28 maggio 2014

 Mentre incede timido sul palco, fa quasi tenerezza questo ragazzo di appena diciannove anni: fulvo, dalla chioma fluente. Ma, guardandolo suonare, dà l’impressione di possedere la concentrazione di un veterano e l’ispirazione di un genio assoluto della tastiera. Sì, la concentrazione la si può acquisire, ma l’ispirazione, latu sensu, no: è proprio quella che ti distingue dall’esecutore, pur eccellente. Jan Lisiecki possiede, per sua fortuna, entrambi i doni, e ha saputo svilupparle in età precocissima, certamente coadiuvato e consigliato da menti intelligenti: fin dalla precoce età di quindici anni registra in esclusiva con Deutsche Grammophon, ha debuttato con nomi del calibro di Claudio Abbado e Antonio Pappano, suona regolarmente nelle più importanti sale da concerto del mondo e è addirittura ambasciatore dell’Unicef (2012) per il suo paese, il Canada.
Ma Jan non è solo canadese. Ha anche sangue polacco nelle sue vene: e quale miglior modo di omaggiare le sue origini, che non un recital interamente dedicato a Chopin? E molto, inoltre, dello Chopin più giovane. Avendo lui, circa, gli stessi anni di Chopin all’epoca in cui compose la Grande Valse brillante, il trittico dei Notturni op. 9 e la Grande Polonaise Brillante précédée d’un Andante Spianato, chissà che la sua interpretazione non possa essere la più verace, proprio su un piano di Waltanschauung: lo stesso sesso e la stessa età li porta probabilmente a far collimare i loro animi sotto più di un aspetto, fermo restando che, come lo fu Chopin, anche Lisiecki è un precocissimo enfant prodige. Insomma, tutto ciò ha caricato la serata di un fascino particolare; il fascino, peraltro, e l’ammirazione che si ha per talenti così giovani e già a tal punto in grado di esprimersi con la propria arte. Non stupisce che lo si sia voluto porre a chiusura della stagione cameristica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, con un programma tra i più amati dal grande pubblico; programma che Lisiecki ha già, parzialmente, inciso in fortunati dischi, proprio per la Deutsche Grammophon.
Il suo Chopin ha una noblesse stilistica così pacatamente controllata, che fa quasi spavento trovarla in un ragazzo di così giovane età: è proprio il caso di dire che, dove non arrivi la consapevolezza dei propri mezzi − che pure c’è, e intelligente −, arriva il genio, il talento di un genio assoluto del pianoforte.
Inizia splendidamente colla Grande Valse brillante: con quale scanzonato invito percuote quei celeberrimi si bemolle, come prende respiro all’inizio delle ripetizioni della squisita, tersa melodia in mi bemolle maggiore, per poi ripartire con più spedito abbrivio (lo fa anche nella sezione in re bemolle maggiore). Nell’esecuzione integrale dei 24 Preludi op. 28 riesce a trovare, di volta in volta, soluzioni magnifiche, e convincenti all’orecchio e al gusto. Si prenda ad esempio l’acquatico virtuosismo che sciorina del n. 3, la melanconia notturna che profonde nel n. 4; ma anche come esegue struggentemente il n. 6, o dolcemente il n. 7, riuscendo, pure, a trovare un virtuosismo impressionante negli impervi nn. 8, 10 e 16. Ma la cosa che lascia senza fiato, è la consapevolezza stilistica e interpretativa di questo poco più che bambino: quel tocco d’intima gentilezza, amorosa e notturna, che regala al n. 15, l’allegria vivace che inserisce nel n. 19 o lo squarcio bucolicamente solare cui accenna nel n. 23, riuscendo a rendere, a modo suo, il giudizio che Liszt diede di queste composizioni, affermando che risultavano «magnifici per la loro diversità, per il lavoro e la sapienza che dimostrano». La seconda parte inizia con l’esecuzione dei Notturni op. 9, capolavori assoluti del genere. Il suo sangue adolescenziale gli fa percepire il n. 1 (si bemolle minore) quasi come una delusione d’amore cui non ci si rassegna: alcuni passaggi hanno un’energia tutta loro, a dispetto delle troppe e piattamente languide esecuzioni correnti (e passate). Il n. 2 (mi bemolle maggiore), il più celebre tra quelli composti da Chopin, con la sua atmosfera selenica, fa commuovere (tiene poco, rispettando lo spartito, il gruppetto di quattro note in trillo che girano sul do bemolle sovracuto). Poi ecco un ciclo della maturità: gli squisiti Valzer op. 64: il primo lo legge spericolato, poi fermandosi a tratti, ma con un’energia danzante smagliante; il secondo, con un gusto più meditativo – con quale grazia esegue il portamento in acuto che conclude il brano; dell’ultimo, il terzo, sa cogliere anche le pennellate più scure. In conclusione, un suo cavallo di battaglia oramai (ci credereste?) da anni, l’Andante Spianato e Grande Polacca Brillante (nella versione, com’è uso, senza l’orchestra): l’esecuzione scorre bene, con il sensuale andante e l’energica polacca.
Un tripudio di applausi, per questo incredibile prodigio. Saluta, con un vocione già da uomo, e annuncia il bis, il delicato Notturno in do diesis minore op. postuma. E proprio alla fine ci si rende conto realmente del suo immenso talento: pacatezza nella percussione dei tasti, parco uso dei pedali, estrema pulizia sonora, freschezza nella lettura dello spartito – frutto di uno studio certosino, critico, ma soprattutto del genio naturale. Sembra quasi dirigere sé stesso alla tastiera, ogni volta che alla fine di un pezzo fa un rapido gesto con la mano, una carezza all’aria, a suggello del pezzo, come un direttore d’orchestra. Un’interpretazione che ha dalla sua lo spirito dell’adolescenza, ma manca, chiaramente, dello scavo psicologico che tanto ha (si sia d’accordo, o meno) caratterizzato l’interpretazione chopinniana, anche degli ultimi anni: Lisiecki ci arriverà, se lo vorrà, quando avrà l’età e l’esperienza per poter tradurre in musica certe tensioni psicosomatiche tipicamente umane. Eppure, rimane il dubbio che proprio la sua possa essere una delle più filologiche letture dei brani giovanili del polacco. Uno Chopin incredibilmente genuino, quello di Lisiecki, in cui ogni nota ha la sua centralità: del resto − si sa − «in fidibus musicorum aures vel minima sentiunt» (Cicerone, De Officiis 1. 146. 41), e Lisiecki percepisce perfino gli atomi della musica di Chopin. Foto Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello