Intervista al mezzosoprano Aya Wakizono

Incontro, ma sarebbe meglio dire ascolto, Aya Wakizono, all’Ex Ansaldo durante alcune prove del Barbiere di Siviglia che la Scala si appresta a riportare in occasione di Milano Expo2015 nel celeberrimo allestimento di Jean Pierre Ponnelle, con la regia originale ripresa da Lorenza Cantini e la direzione d’orchestra di Massimo Zanetti. Resto «freddo ed immobile», rapito dalla sua voce di autentico mezzosoprano rossiniano; conquistato dalla fluidità sopraffina, dal gusto e dalla naturalità con cui sgrana ogni nota delle agilità scritte in partitura; ammirato dalla già matura sensibilità d’interprete e dall’impegno con cui, anche in prova, canta senza mai risparmiarsi; affascinato dall’entusiasmo e dalla serenità con cui si cimenta in un allestimento che ha segnato la storia del Teatro milanese. Aya ha un carattere solare, positivo e sorridente; intervistandola, mi ritrovo contagiato dal suo straordinario entusiasmo per il teatro e per l’opera. Non ama parlare della sua voce, della quale preferisce notare i piccoli difetti, dovuti solo alla giovinezza, piuttosto che i grandi pregi che ho segnalato. Oggi Aya è un giovane fiore all’occhiello dell’Accademia del Teatro alla Scala, ma ho il presentimento che domani mi fermerò ad ammirare il suo nome nei cartelloni di mezzo mondo. Lei sogna di cantare Verdi e Massenet… io, nel mio piccolo, sogno che continui a cantare Rossini… la causa del belcanto italiano ha oggi più che mai bisogno di lei!
Aya, ci racconti qualcosa delle tue origini?
Sono nata e cresciuta a Tokyo. I miei genitori non sono musicisti, né lo sono mai stati, ma a loro modo hanno frequentato il teatro perché sono stati attori di prosa. È da loro che ho ereditato la mia grande passione per il teatro e la recitazione. Anche se in un primo momento ero certissima di voler fare il medico, ad un certo punto ho cambiato idea: avevo capito che fare l’attrice di Musical sarebbe stata la strada giusta per me. Non erano  stati i miei genitori a farmi cambiare idea, semplicemente la mia passione per Julie Andrews e Barbra Streisand: ascoltando le loro splendide voci e vedendo i loro film avevo scoperto un mondo che credevo di fare mio. Nel mentre erano iniziate anche le mie prime frequentazioni con il teatro di prosa e di musical, ma ancora continuavo a rimanere lontana dal mondo dell’opera. Poi sono entrata all’Università musicale di Tokio….
Di questo vorrei parlarne fra poco. Vorrei approfondire un passaggio di quello hai detto: la tua passione per la musica passa per il musical. Ma come sei arrivata all’opera?
Qui entra in gioco un episodio bellissimo, la mia prima vota all’opera. Si trattava della Traviata in una produzione del Metropolitan Opera in tournée in Giappone, con una magnifica Renée Fleming nel ruolo del titolo. Rimasi davvero scioccata da quello che la Fleming riusciva a fare con la voce e quella serata lasciò un segno indelebile dentro di me. Da quel momento decisi di scegliere l’opera lirica, che improvvisamene mi era apparsa come la forma d’arte massima, assoluta.
Veniamo ora ai tuoi studi che si sono conclusi nel 2013 con la laurea. Ci racconti qualcosa di più della tua formazione accademica, che penso sia assai differente da quella italiana?Qui occorre fare un piccolo passo indietro. Ero fermamente convinta che per recitare nei musical sarebbe stata necessaria l’acquisizione di una tecnica corretta e comunque d’impostazione lirica. Sono entrata all’Università delle Arti di Tokyo, una sorta di università musicale giapponese, con questo scopo oltre che perché rimaneva una delle poche alternative possibili per studiare la musica a livello professionale. Il livello della formazione e l’offerta formativa sono altissimi soprattutto per quello che riguarda materie accademiche come solfeggio [Ebbene sì, il solfeggio in Giappone è materia accademica!] e storia della musica. A questa formazione teorica venivano affiancate, una volta a settimana, lezione pratiche, fra cui quelle di canto…
Quindi, per chiarire, tu hai studiato canto in una Università?
Esattamente! Devo dire, però, che studiarlo bene lì in Giappone è davvero difficile in ragione delle nostre origini, della lingua e della cultura. In altre parole, perché siamo giapponesi! Non siamo madre lingua, non siamo italiani! Nelle nostre università, è vero, si insegna canto ma lo stile rimane molto lontano dal vostro; ma questo l’ho capito dopo. In un primo momento ero convinta che lo stile con cui io mi approcciavo al canto fosse corretto. Finché un giorno, avevo 22-23 anni, ho partecipato ad una masterclass con Mariella Devia in Giappone. Ti parlo in tutto di trenta minuti, che però hanno profondamente cambiato il mio modo di intendere il canto. Ricordo che la Devia cantava in maniera incantevole e soprattutto avevo notato che la sua voce, sul piano dell’impostazione e della tecnica, era totalmente diversa da quello che mi avevano insegnato fino ad allora. Avevo ascoltato tante volte le sue interpretazioni discografiche ma dal vivo fu tutta un’altra cosa, un’altra emozione! Ricordo che, meravigliata, le feci questa domanda: «Come si canta un acuto così bello come il suo?», la sua risposta fu: «Un grattacielo non si costruisce mai dalla cima». Da qui ho deciso di studiare dalle “fondamenta” la tecnica italiana, l’unica che secondo me è appropriata all’opera lirica, da allora ho cercato di trasformare la mia voce in una voce italiana, per lo meno da un punto di vista dello stile.
Vorrei restassimo ancora un istante con lo sguardo al 2013, che per te è anche l’anno dell’arrivo in Italia, nella città verdiana per antonomasia, Parma. Che cosa ti ha spinto Italia e a Parma in particolare?
Quando prima ti ho detto che volevo studiare “dalle fondamenta” è perché avevo già deciso dentro di me che per farlo sarei dovuta venire in Italia. La tecnica italiana si studia in Italia, da nessun altra parte al mondo! Per quanto riguarda Parma, la scelta fu dettata sia dalla presenza di altri amici giapponesi sia dal fatto che avevo avuto già occasione di visitare la città. Mi era apparsa da subito incantevole, bellissima e soprattutto tranquillissima; ecco perché è diventata la sede adatta alla mia nuova vita italiana ai miei studi al Conservatorio. E poi, devo confessarti che a spingermi verso l’Italia ha contribuito anche una nuova masterclass con Mariella Devia…
L’hai più incontrata?
Ancora lo scorso gennaio ho partecipato ad un’altra sua masterclass ed ho fatto con lei delle lezioni fantastiche. Ogni tanto, con la scusa di una lezione, vado a trovarla. Sono momenti preziosi!
A Parma la tua voce inizia a maturare e da allora sono passati due anni. Oggi, che cosa ti piace della tua voce?
Devo confessarti che la mia voce non mi piace per niente [ride, n.d.r.] e odio ascoltare le mie registrazioni… trovo sempre motivi validi per criticare il modo in cui canto…
Ho notato infatti che anche durante le prove per questo Barbiere ti videoregistri molto spesso. Mi viene da chiederti: che cosa impara Aya da Aya?
Trovo fondamentale che noi cantanti (e in parte dovrebbe essere così anche per gli attori) troviamo un momento, meglio se quotidiano, per guardarci dal di fuori, per usare i nostri occhi anziché per vedere il pubblico o il direttore, per esaminare noi stessi. Con le registrazioni ho modo di realizzare questo sguardo straniato. Ogni notte, riguardandomi, dico a me stessa: «Aya, ma che movimento è questo?» oppure «Come posso risolvere meglio questo passaggio?». Insomma, siccome so che ogni tanto faccio cose strane, mi controllo e mi esamino.
Come descriveresti la tua voce?
In una parola mi verrebbe da dirti “coloraturosa”. Sono un mezzo-soprano di coloratura, per cui ho delle agilità molto facili, ma questo diventa anche un difetto difficilmente sopportabile specie quando dovrei cantare molti più passaggi in legato, agilità comprese… e devo quindi ancora imparare a cantare bene in legato.
Noto che sei molto brava a sezionare i difetti della tua voce… provo quindi a rigirare la domanda; qual è il pregio maggiore della tua voce?
Posso eseguire le colorature rossiniane e questo mi rende tanto felice e mi fa’ sentire tanto fortunata!    Tanti tuoi colleghi studiano per anni la coloratura rossiniana senza però raggiungere i tuoi medesimi risultati. Vedendoti cantare sembra che a te venga tremendamente facile….  Non è proprio così facile come sembra. Sicuramente sono avvantaggiata perché sono nata con una voce naturalmente adatta a questo tipo di repertorio; già durante i miei studi ero in grado di cantare le agilità. Certamente però il mio percorso alla scoperta di questo stile non può dirsi concluso; devo imparare ancora tanto. Mi sono resa conto però, e qui ritorno a quanto ti accennavo prima, che per cantare queste agilità occorre anche una ottima tecnica del legato. Devo cantare alcuni passaggi in un solo fiato, devo economizzare il fiato e concentrarmi molto sull’impostazione e sulla corretta posizione e proiezione del suono.
Hai già debuttato Marchesa Melibea nel Viaggio a Reims a Pesaro [con l’Accademia rossiniana, n.d.r.]; un ruolo in cui hai un precedente che ha fatto storia, Lucia Valentini Terrani. Quanto influiscono sul tuo studio le grandi interpreti del passato?
Ascolto spesso le incisioni dei grandi cantanti, ma è sempre un passo successivo allo studio e sto sempre ben attenta a non invertire le cose. Prima devo leggere la musica da sola, solo così posso capire come adattare il ruolo alla mia voce. Dato poi che l’italiano non è la mia lingua madre, devo leggere anche il libretto, e leggerlo bene: cerco quindi le parole che non conosco, scrivo gli accenti, le vocali chiuse e aperte e solo una volta che questa operazione è conclusa e mi sento davvero sicura con la lingua, inizio a studiare la musica, a cantare per poi ascoltare chi ha cantato quel ruolo prima di me.
Tra pochissimo parleremo anche del tua Rosina, ma ora vorrei che mi raccontassi qualcosa della tua esperienza nel cast di CO2, l’opera che il Teatro alla Scala ha commissionato a Carlo Battistelli [e rappresentato nel maggio 2015, n.d.r.]
Devo dirti anzitutto che è stata un’esperienza bellissima, sebbene non posso nasconderti che all’inizio avessi molti dubbi sulla adattabilità della mia voce al ruolo per cui ero stata scritturata. Alla fine mi sono fatta coraggio dicendomi «Aya, cantare è infondo sempre la stessa cosa, sia nel caso dell’opera belcantista che di quella moderna, cambia solo lo stile». Mi sono così lanciata in questo progetto ed ho provato ad adattare la tecnica italiana che sto faticosamente imparando alle esigenze di un’opera contemporanea. Di quell’esperienza conservo il ricordo di aver cantato al fianco di colleghi straordinari, di un cast autenticamente internazionale che ha messo perfino in crisi il mio rapporto con l’inglese! E poi l’onore più grande, lavorare con un maestro del calibro di Robert Carsen, che ho sempre ammirato.
Arriviamo alla tua Rosina e soprattutto a questa produzione del Barbiere, che ha segnato la storia del Teatro alla Scala. Anche in questo caso, come sai, hai dei precedenti illustri: Teresa Berganza e ancora la Valentini Terrani, e poi in tempi recenti Vessalina Kasarova e Joyce Di Donato, sono solo alcune delle Rosine che hanno cantato in questa produzione…
[mi interrompe con gli occhi illuminati dalla gioia] Sono cresciuta vedendo il dvd del film del Barbiere di Siviglia con la regia di Jean Pierre Ponnelle dove oltretutto canta magnificamente Teresa Berganza. L’ho visto un’infinità di volte. Quando sono entrata per la prima volta qui in Ansaldo ed ho visto la scenografia montata visto mi sono emozionata come poche altre volte nella mia vita. Questa scenografia è un sogno, il mio sogno e ogni volta che mi muovo nei suoi meandri mi vengono i brividi… la bottega di Figaro, la piazza con quella bellissima fontana, la camera di Rosina, il quadro di Bartolo… un sogno, un sogno che diventa realtà!
Quanto ritrovi di te in questa Rosina rossiniana e ponnelliana?
Mi ci rispecchio tantissimo, anche se penso che lei sia più forte e intelligente di me! Abbiamo tanto in comune, il carattere positivo, la voglia di non smettere mai di sperare, l’aria di sfida verso chi è più potete di noi, verso chi è ingiusto! È un personaggio fantastico, frizzante, affascinante; anche come donna, ha eleganza, classe e guarda sempre avanti, come tutti i grandi! Si è capito che la adoro?  Raccontami qualcosa del lavoro che state portando avanti con Lorenza Cantini sulla regia originale di Jean Pierre Ponnelle.  Come ti trovi con questa regia che sgorga dalla musica?
Benissimo! Grazie sia a Lorenza che al Maestro Massimo Zanetti sto anzitutto imparando a muovermi in scena sentendo dentro di me solo le sollecitazioni della musica e conseguentemente ad asciugare al massimo la gestualità. Tutto dovrà diventare poi ancora più naturale di modo che ogni gesto, anche il più semplice, e l’azione risultino motivate solo dalla musica. In altre parole, gesto e canto sono strettamente collegate. E questo accade in tutte le scene, compresa la mia cavatina, Una voce poco fa. Credo, dopo queste settimane di prova, di aver trovato finalmente il giusto equilibrio fra canto e gesto. Non è stato facile, anche perché occorreva pensare anche alla mia voce e allo stile ed ora che tutto sta felicemente trovando il suo posto posso concentrarmi sul rapporto fra gesto ed emozione.
Ci avviamo alla fine di questa nostra chiacchierata. Prima di salutarci vorrei chiederti ancora che cosa sogni per te, la tua vita e la tua carriera.
Dal punto di vista musicale sogno di cantare i ruoli verdiani, o quelli di Richard Strauss e  Massenet, insomma… ruoli più romantici! Non so quando questo accadrà, ma intanto alcuni miei sogni si sono già avverati: lavorare in teatro, in palcoscenico, dove cioè amo stare e amo vivere e senza il quale non potrei vivere; lavorare al fianco di maestranze e colleghi bravissimi sono diventate realtà bellissime qui al Teatro alla Scala. Poi non ti posso nascondere che mi piace muovermi, spostarmi e viaggiare. Quindi, unendo le due cose, il mio sogno è di cantare in tutto il mondo!
Aya, qual è il tuo saluto ai lettori GBopera?
Per me è un onore aver avuto uno spazio così bello nel vostro sito. Non vedo l’ora, se avremo possibilità, di parlare con ciascuno di voi di musica e della felicità che ci lascia dentro l’opera lirica.