Venezia, Palazzetto Bru Zane: “2 Operette in 1 atto”

Venezia, Palazzetto Bru Zane
“LES DEUX AVEUGLES” (1855)
Buffoneria musicale in un atto, su un libretto di Jules Moinaux
Musica di Jacques Offenbach  
“LE COMPOSITEUR TOQUÉ (1854)
Buffoneria musicale in un atto, testo e musica di Hervé
Patachon / Fignolet  RAPHAËL BRÉMARD
Graffier/ Séraphin FLANNAN OBÉ
Pianoforte Christophe Manien
Regia, scene e costumi Lola Kirchner
Luci Cyril Monteil
Venezia,12 febbraio 2018
Il Palazzetto Bru Zane ha partecipato anche quest’anno all’allegria del Carnevale di Venezia – dopo il successo ottenuto nel 2016 con Les Chevaliers de la Table ronde di Hervé – con uno spettacolo che attinge al microcosmo – surreale e, nel contempo, per tanti aspetti speculare rispetto alla società del proprio tempo – dell’operetta francese, proponendo due pièces in un atto rispettivamente di Offenbach e, ancora, di Hervé, ovvero di coloro che sono ritenuti i padri fondatori di questo genere di teatro musicale, che conobbe tanta fortuna nel corso del XIX secolo e oltre. Con Les deux aveugles – dove si assiste alla lotta feroce tra due falsi ciechi che si contendono l’elemosina dei passanti su un ponte di Parigi – Jacques Offenbach si fa interprete delle istanze del pubblico borghese del Secondo Impero, nel momento in cui – qualche anno prima che iniziassero i lavori per la realizzazione dei grandi boulevards ad opera del barone Haussmann, con lo scopo di fare della capitale francese una grande metropoli, ma anche di facilitare l’intervento delle forze dell’ordine in caso di turbativa dell’ordine pubblico – la mendicità è vissuta come una piaga da debellare. Con questa “bouffonnerie musicale in un atto” Offenbach inaugurò trionfalmente, il 5 luglio 1855, il suo teatro dei Bouffes-Parisiens, nella sede di allora sugli Champs-Élysées.
Secondo titolo in programma era Le compositeur toqué (“Il compositore suonato”) di Hedrvé, altra “bouffonnerie musicale in un atto”, considerata da alcuni come il primo esempio in assoluto di operetta. Il lavoro fu rappresentato con grande successo nell’aprile del 1854 presso le Folies-Concertantes – il teatro di cui Hervé era da qualche mese direttore – avendo come interprete lo stesso autore, a cui ben presto venne affibbiato il soprannome corrispondente al tutt’altro che diplomatico titolo dell’operetta. Peraltro, Le compositeur toqué non è tanto un autoritratto di Hervé quanto piuttosto una parodia di certi musicisti romantici affetti da manie di grandezza. Dunque dietro Fignolet, che decanta – con effetti di indubbia comicità – la sua sinfonia La Prise de Gigomar par les Intrus “in mi diesis” e con “novantanove petardi in chiave” si celerebbe Hector Berlioz o Félicien David. Il successo con cui venne salutato Le compositeur toqué si interruppe drasticamente in seguito alla carcerazione di Hervé per il reato di oltraggio al buon costume. Quando il compositore torna in libertà, alla fine degli anni Sessanta, la sua stella è tramontata: ormai il pubblico preferisce ai suoi atti unici operette di maggiori dimensioni.
Lo spettacolo allestito nella deliziosa sala dei concerti del Palazzetto Bru Zane era decisamente minimalista: la scena era costituita da un semplice struttura, che rappresentava, nella prima “bouffonnerie”, un ponte sulla Senna, per trasformarsi, con estrema semplicità, in un siparietto, nella seconda. L’orchestra era sostituita da un pianoforte verticale. I colorati costumi, così come il trucco marcato degli interpreti, mostravano una vena caricaturale di sapore clownesco. Essenziale l’uso delle luci d’un bianco abbastanza freddo. Notevoli davvero le capacità gestuali dei due interpreti, in linea – secondo le intenzioni della regia – con il più collaudato repertorio dello spettacolo “leggero”, cui si univano una recitazione e una vocalità, anch’esse, tradizionalmente ridondanti: ne risultava una comicità di sicuro effetto, pur senza mai dimenticare il buon gusto, e soprattutto senza cadere nella trappola della solita attualizzazione della vicenda. Ne Les duex aveugles i due tenori hanno soggiogato il pubblico con le loro gag, alcune delle quali derivate proprio dall’essenzialità dei mezzi a disposizione in uno spettacolo destinato ad un piccolo spazio: in mancanza del trombone, previsto in partitura, Patachon usa un piccolo sassofono-giocattolo per punteggiare la sua romanza iniziale – nella quale, tra l’altro, Offenbach sperimenta un procedimento che consiste nel tagliare le frasi in modo incongruo – con interventi a dir poco impertinenti dello strumento, dall’effetto irresistibile. Lo stesso dicasi per il suo antagonista, Graffier, che al posto del mandolino suonava una piccola chitarra elettrica per bambini, con analoghi esiti divertenti. Se Flannan Obé ha sfoggiato le sue straordinarie doti attoriali – l’artista ha una solida formazione in tal senso, precedente rispetto a quella di cantante –, nonché una notevole potenza vocale, mostrandosi completamente versato per il genere dell’operetta, non è stato da meno Raphaël Brémard, sia dal punto di vista vocale che da quello teatrale, partecipando con verve ed intelligenza alle spassose schermaglie, che oppongono i due falsi ciechi, fino all’insinuante bolero, intonato da entrambi, inframezzato da una parodia dal Robert le Diable di Meyerbeer, relativa al finale del primo atto. Determinante per la piena riuscita dello spettacolo l’apporto di Christophe Manien, il quale – forte della sua esperienza come maestro collaboratore e del coro presso il Théatre des Champs-Élysées – ha accompagnato le voci (nascosto dietro la scena), con grande musicalità e autorevolezza.
La trasformazione del semplice apparato scenico per la seconda “bouffonnerie” ha permesso a Christophe Manien di apparire a lato dei cantanti, con cui ha anche interagito. Il pianista ha qui particolarmente brillato nel rendere con le dovute sottolineature, i pretesi sperimentalismi musicali di Fignolet, autore – come si è detto – di una sinfonia descrittiva: La Prise de Gigomar par les Intrus. Nei coloriti dialoghi trai l maestro – impegnato a magnificare, senz’ombra di modestia, la propria composizione – e Séraphin, suo servitore, gli interpreti hanno saputo ancora una volta divertire la platea con giochi di parole, freddure e quant’altro. Successo pieno da parte di un pubblico sinceramente appagato, a dimostrazione del fatto che l’intelligenza e il talento dei responsabili di uno spettacolo possono sopperire ad ogni difficoltà o limitazione per quanto concerne i mezzi a disposizione. Foto Riccardo Pittaluga