Venezia, Palazzetto Bru Zane: Ismaël Margain e Guillaume Bellom, “A quattro mani”

Venezia, Palazzetto Bru Zane-Centre de Musique Romantique Française, Festival “Camille Saint-Saëns tra romanticismo e modernità”
“A quattro mani”
Pianoforte Ismaël Margain,  Guillaume Bellom
Camille Saint-Saëns:  “Le Rouet d’Omphale” op. 31; “Suite algérienne” op. 60
Fernand de La Tombelle: “Orientale ”
Georges Bizet: Jeux d’enfants
Maurice Ravel: Ma Mère l’Oye
Venezia, 7 ottobre 2016   
Prosegue con successo il festival d’autunno del Palazzetto Bru Zane-Centre de Musique Romantique Française, dedicato quest’anno ad un musicista, come Camille Saint-Saëns, famoso, ma anche sconosciuto – se si considera una larga parte della sua produzione uscita da tempo dal repertorio –, avvalendosi, come d’abitudine, dell’apporto di giovani quanto talentuosi interpreti. È il caso del duo pianistico Margain-Bellom, che si è cimentato in una serie di pezzi per pianoforte a quattro mani di Saint-Saëns  e altri autori francesi, rivisitando una modalità esecutiva molto in voga nell’Ottocento, quando, oltre ad una forma di socializzazione, rappresentava anche un mezzo di diffusione della musica – le opere di Wagner si conobbero a Parigi, inizialmente, proprio in questa forma – e di insegnamento, nonché, una cospicua fonte di guadagno per gli editori, che pubblicavano i generi più vari: arrangiamenti operistici, trascrizioni di brani orchestrali, pezzi infantili, musica da ballo, variazioni brillanti, imponenti sonate. I due interpreti, che nell’aspetto avevano l’aria di due studentelli di conservatorio, si sono rivelati – appena messe le mani sulla tastiera – due musicisti di assoluto spessore per l’affiatamento, la sensibilità, la padronanza tecnica, di cui hanno dato prova, tra l’altro in una serie di pezzi dai tratti stilistici anche molto diversi e con diversi gradi di difficoltà tecniche. Ismaël Margain suonava la parte più acuta, Guillaume Bellom quella più grave.
Il concerto è iniziato con un poema sinfonico di  Saint-Saëns. Dopo aver dichiarato, nel 1879, il primato della musica assoluta su quella a programma, l’autore francese, nel 1907, rivede le sue posizioni, esprimendosi a favore dei poemi sinfonici di Liszt, e di conseguenza anche dei propri, per quanto ogni riferimento extramusicale sia da lui considerato solo un pretesto per tentare musicalmente nuove strade, inediti effetti. Di fatto, il vero programma dei poemi sinfonici di Saint-Saëns è la musica stessa. Lo conferma anche Le Rouet d’Omphale – il primo titolo in programma per la serata – nella cui notice l’autore afferma che “il soggetto è la seduzione femminile, la lotta trionfante della debolezza contro la forza”, per poi confessare che il “rouet” (arcolaio) non è che un pretesto per determinare il ritmo e l’andamento generale del pezzo. Questo presenta una struttura ABA’, la cui sezione centrale – “Ercole che geme nei lacci che non può spezzare” e “Onfale che schernisce i vani sforzi dell’eroe” –  ha l’andamento di un climax tra le due sezioni estreme. Grande sicurezza e nitore nel tocco hanno sfoggiato i due esecutori nella prima sezione molto brillante, fatta di trilli e  scalette veloci affidate alla parte acuta; nella sezione centrale dominata dal registro grave e da un procedere con pesantezza, cui si contrappongono trilli nell’acuto; e, infine, nella terza, che si apre con un tema danzante, per poi sfociare nella riproposizione della sezione iniziale. Dopo questo primo pezzo, piuttosto difficile, si è passati ad Orientale di Fernand de La Tombelle – che non presenta particolari difficoltà tecniche – dedicato alla pianista Marguerite Allard, che suonava a quattro mani insieme a sua sorella Aline, esibendosi soprattutto nel salotto della moglie del compositore. Nonostante il titolo, l’orientalismo di questo lavoro – che l’autore ha composto senza mai essere stato in Oriente – è piuttosto discreto: pedali armonici, una formula melodica che stilizza una melopea arabizzante e qualche tocco modale (dato dall’assenza della sensibile) bastano a creare un tenue effetto esotico. Vari nel tocco e attenti alle sfumature, nonché ai diversi caratteri si sono dimostrati i due giovani interpreti in questo pezzo, basato sulla ripetizione, a livelli diversi, di uno schema ritmico, che fa da supporto all’improvvisazione, e nel quale una sognante melodia si sviluppa su un ondeggiare di arpeggi, mentre qualche crescendo anima il clima generale, di carattere intimistico. Il terzo titolo ha riportato sulla scena il musicista dedicatario del festival. Saint-Saëns era solito svernare in Algeria, dove tra l’altro morì. Dopo una Rêverie orientale, ispirata ad un primo soggiorno algerino nell’autunno 1873, il musicista compose una suite orchestrale, la Suite algérienne, eseguita per la prima volta ai Concerts Colonne nel 1880. Di questo lavoro è stata proposta una trascrizione per pianoforte a quattro mani, eseguita dal Duo Margain-Bellom con tale ricchezza di colori e sensibilità per le sfumature, da non aver fatto rimpiangere una grande orchestra, caratterizzando con giusto accento le varie scene in cui si articola: la vista di Algeri e, insieme, l’ascolto dei suoi rumori e delle sue voci dalla nave scossa da un’onda, cui corrispondono musicalmente ondeggianti melismi in 6/8, che gradatamente sfociano in un corale; la descrizione di un caffè arabo dove si danza al suono dei flauti, dei rebab e dei tamburi, che si traduce in un fugato che stilizza quel modo di far musica; l’incanto dell’oasi di Blidah nella notte profumata in cui risuona lontano un canto d’amore, insieme al dolce suono di un flauto; il ritorno ad Algeri, dove si sente il passo raddoppiato di un reggimento francese, il cui ritmo marziale contrasta con i ritmi bizzarri e le languide melodie orientali, a simboleggiare il colonialismo che opprime le culture locali.
Per gli ultimi due pezzi – entrambi evocanti il mondo dell’infanzia – i due musicisti si sono scambiati le parti. Composta da Ravel per i giovanissimi figli dei suoi amici Godebski, la suite Ma mère l’Oye, per pianoforte a quattro mani si ispira a una delle loro favole preferite. Nel 1908,  vide la luce la sola Pavane, pensata per le piccole mani infantili, una pagina che si suona quasi interamente sui tasti bianchi. Gli altri pezzi successivamente aggiunti, sono di più difficile esecuzione – ma comunque relativamente semplici, senza armonie troppo complicate – anche se l’ultimo, Les Entretiens de la Belle et la Bête, è alquanto elementare, costituendo – secondo la definizione dell’autore stesso – la “quarta Gymnopédie”, per l’influenza dell’estetica minimalista di Erik Satie, percepibile già nella Pavane. Anche l’interpretazione di questo pezzo è stata esemplare per la capacità dimostrata dai due pianisti di dare adeguata espressività ad una scrittura che spesso fa uso di mezzi, come si è detto, piuttosto semplici.
Decisamente più difficile è Jeux d’enfants di Georges Bizet, una composizione – terminata nell’autunno 1871 con dedica a due misteriose mesdemoiselles: Marguerite de Beaulieu et Fanny Gouin – che è stata concepita per i bambini in qualità di ascoltatori, ma non di interpreti, come dimostrano le sue difficoltà esecutive. Benché fosse un notevole pianista, apprezzato dallo stesso Liszt, Bizet non ha scritto molto per la tastiera, in ogni caso, Jeux d’enfants, la sua unica partitura per pianoforte a quattro mani, è una tra le sue più celebri composizioni. Il lavoro – come si è detto – richiede due interpreti agguerriti, in grado di affrontare le difficoltà, anche virtuosistiche, racchiuse in questa stupenda suite, in cui Bizet – diversamente da Schumann, che in Kinderszenen idealizza il mondo infantile, e da Ravel, che in Ma Mére l’Oye, ne evoca anche le angosce e i misteri – raffigura con candore e freschezza i divertimenti dei piccoli mediante motivi di icastica evidenza. Va  da sé che il pezzo sembrava composto per Ismaël Margain e Guillaume Bellom, che ne hanno evidenziato tutta la raffinatezza armonica, l’estrosa eleganza dei motivi, la scrittura, ora densa ora lieve, che fa sentire i timbri dell’orchestra. Successo veramente strepitoso confermato dalla concessione di due bis: due brani tratti da Bilder aus Osten, op. 66 di Robert Schumann.