Venezia, Teatro La Fenice: Mario Brunello esegue Schumann

Venezia, Teatro La Fenice, Concerto dell’Orchestra Filarmonica del Teatro La Fenice, Stagione 2016
Orchestra Filarmonica della Fenice
Violoncello e direttore Mario Brunello
Robert Schumann: Concerto per violoncello e orchestra in la minore, op. 129; Sinfonia n. 1 in si bemolle maggiore Frühling, op. 38
Venezia, 13 giugno 2016
Un’altra serata all’insegna della grande musica e della più profonda sensibilità interpretativa ci è stata regalata da Mario Brunello, nella duplice veste di solista al violoncello e di direttore, insieme all’Orchestra Filarmonica della Fenice, eseguendo un programma interamente schumanniano. Completamente rapito dall’afflato romantico che anima il Concerto per violoncello e orchestra –composto quasi di getto a Düsseldorf, nell’ottobre 1850, in un momento di felicità creativa, in cui nacque anche la Sinfonia n. 3, a dispetto delle incalzanti avvisaglie della malattia mentale che avrebbe di lì a poco travolto l’autore – Brunello ha saputo affrontare con gesto pienamente ispirato e assoluta padronanza tecnica la parte solistica di questo pezzo, il cui arduo virtuosismo, lungi dall’essere fine a se stesso, si integra mirabilmente con la vena malinconica delle parti cantabili, conferendo alla composizione un procedere inquieto, che esprime la tipica Sehnsucht dei romantici tedeschi: un dibattersi senza fine alla ricerca dell’Assoluto, che trascende la pur ricorrente propensione alla mestizia. Avvalorando questa interpretazione, il solista ha intonato con virile passione, trovando un colore caldo ed intenso, lo stesso primo tema del movimento iniziale, Nicht zu schnell (Non troppo allegro), il cui carattere patetico non si è mai tradotto in sentimentalismo, preannunciando invece la tensione dei successivi passaggi, costituiti da figurazioni alquanto ardite, prima che l’orchestra si produca in una una transizione che conduce al secondo tema del violoncello, di cui si è messo pienamente in risalto il carattere brillante e solare. Assoluta concentrazione ed intensità emotiva si sono colte nel secondo movimento, Langsam (Adagio), una delle pagine più struggenti di Schumann, nella quale il violoncello solista, da  protagonista assoluto, ha dispiegato il suo canto sulle morbide armonie dell’orchestra. Nel conclusivo Rondò – Sehr lebhaft (Molto vivace) – si è imposto un violoncello pieno d’impeto e brillantezza, ma anche ancora tecnicamente ineccepibile fino alla cadenza finale, scevra da ogni virtuosismo puramente “ornamentale” o “esibizionistico”, totalmente assente in questo sublime concerto, che si è concluso con gioiosa prestanza da parte del solista. Il quale, salutato subito dopo da calorosi, prolungati applausi, ha concesso un prezioso bis bachiano, ma anche schumanniano: una trascrizione per violoncello e orchestra della Sarabanda dalla Suite n. 5 per violoncello solo di J. S. Bach, sulla base dell’armonizzazione realizzata da Schumann, che prevede originariamente l’accompagnamento del pianoforte.
Il secondo titolo in programma corrisponde ad un lavoro, composto circa dieci anni prima rispetto al concerto per violoncello – analogamente in un periodo di particolare fertilità creativa e in poco tempo – a Lipsia, tra il gennaio e il febbraio del 1841, poco dopo il suo matrimonio con Clara Wieck. L’approccio al genere sinfonico si ebbe dopo che il sommo musicista tedesco si era reso conto – come già gli aveva fatto notare la stessa Clara – che molte sue pagine pianistiche rivelano uno spessore sinfonico, al che si aggiunge l’ammirazione verso lavori sinfonici come Sinfonia in do maggiore (La Grande) di Schubert. I riferimenti extramusicali di questa fresca e gaia Frühlingssinfonie (Sinfonia della Primavera), vanno cercati in Frühlingsgedicht (Poesia della Primavera) di Adolf Böttger, cui Schumann si è ispirato, come rivelano i sottotitoli assegnati ai vari movimenti, e successivamente rimossi in odio ad ogni descrittivismo: Risveglio della primavera, Sera, Compagni di lieti giochi, Piena primavera.  Analiticamente approfondita la lettura proposta da Mario Brunello, che davvero ha curato ogni nota, ogni impasto sonoro senza per questo perdere di vista l’architettura portante dell’opera, distillando dall’orchestra un suono di volta in volta morbido o brillante, sempre rotondo, nonché utilizzando la più ampia gamma dinamica ed agogica, senza farsi irretire – da grande interprete qual è – dal moderno demone della stringatezza e della concitazione. Al pari dell’esecuzione del precedente concerto per violoncello, anche quella della sinfonia si è basata su una stretta intesa tra orchestra e direttore, come raramente accade di cogliere: vigoroso e festoso il primo temo, Andante un poco maestoso-Allegro vivace, che si apre con un incisivo motto di trombe e corni – un incipit perentorio degli ottoni ad imitazione della ricordata Grosse Sinfonie dell’amato Schubert –, cui fanno seguito toni tra il festoso e il solenne dell’intera orchestra; delicato il Larghetto, che preannuncia lo Schumann della Renana; vigoroso lo Scherzo di ascendenza schubertiana; meravigliosamente contrastato l’ultimo tempo, Allegro animato e grazioso, basato su un vivace contrappunto di temi a ritmo di danza fino alla breve Coda, che sembra preludere all’esaltante espressività della Seconda sinfonia. Successo assolutamente pieno per Brunello, rivelatosi grande come  solista quanto come direttore, nonché per la validissima Orchestra Filarmonica della Fenice.