Venezia, Teatro Malibran: “Gina”

Venezia, Teatro Malibran, Stagione lirica e balletto del Teatro La Fenice, 2016-2017
“GINA”
Melodramma idillico in tre atti. Libretto di Enrico Golisciani dalla commedia Catberine ou La croix d’or di Nicolas Brazier e Mélesville.
Musica di Francesco Cilea
Gina ARIANNA VENDITTELLI
Giulio ALESSANDRO SCOTTO DI LUZIO
Uberto ARMANDO GABBA
Lilla VALERIA GIRARDELLO
Flamberge CLAUDIO LEVANTINO
Orchestra e coro del Teatro La Fenice
Direttore Francesco Lanzillotta
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Regia Bepi Morassi
Scene e costumi Accademia di Belle Arti di Venezia
Scene  Francesco Cocco
Costumi Francesca Maniscalchi
Costruzioni Marta Zen, Laura Zollo
Luci Vilmo Furlan
Venezia, 12 febbraio 2017
La Fenice riscopre Francesco Cilea – del quale nel 2016 ricorrevano i centocinquant’anni dalla nascita – proponendo Gina, l’opera d’esordio con la quale il compositore calabrese concluse il suo percorso di studi al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli. Qui si era distinto come allievo diligente e dotato, meritando una medaglia d’oro dal Ministero della Pubblica Istruzione e una menzione come “primo alunno maestrino”. La sera del 9 febbraio 1889 Cilea – non ancora ventitreenne –  diresse questo suo primo lavoro operistico, che fu favorevolmente accolto dal pubblico e dalla critica, tanto che venne replicato per più sere. Ma presto cadde nell’oblio: il numero delle rappresentazioni di Gina, dal suo debutto assoluto ad oggi, si contano sulle dita una mano. L’opera fu ripresa solo nel 2000 al Teatro Rendano di Cosenza, in occasione dei cinquant’anni dalla morte del compositore, e poi a Roma l’anno successivo con il medesimo allestimento. Imperdibile, dunque, l’occasione offerta dalla Fenice, di assistere alla rappresentazione di un’opera di tanto rara esecuzione, in un allestimento firmato, per la regia, da Bepi Morassi, che si è valso della collaborazione della Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia nell’ambito del progetto “Atelier della Fenice al Malibran”. Sul podio, Francesco Lanzillotta.
Pur trattandosi della sua prima prova in ambito operistico, Gina lascia intuire le qualità di Cilea, tra cui spiccano la vena melodica e la raffinatezza dell’orchestrazione. Decisamente scialbo il libretto, che il napoletano Enrico Golisciani trasse dalla commedia in due atti Catherine, ou La croix d’or di Nicolas Brazier e Mélesville. Ardua, dunque, la sfida, accettata da Bepi Morassi, di rendere credibile una vicenda che lascia non poco a desiderare dal punto di vista drammaturgico: tutto si svolge in un paesino della Francia, all’epoca di Napoleone, dove inizialmente i fratelli Gina e Uberto, oltre alla fidanzata di quest’ultimo, Lilla, vedono il loro desiderio di continuare nelle loro “aurea mediocritas” campagnola minacciato dall’irrompere dei soldati dell’Imperatore, che chiamano alle armi.
Come spiega lo stesso regista, la scelta principale, per dare sostanza drammaturgica a questa storia – pur mantenendo l’ambientazione originale, cioè l’epoca napoleonica – è stata quella di ampliare la sua dimensione corale: si dà più visibilità ai coscritti, mostrando in palcoscenico i letti delle camerate, ad evocare la promiscua vita militare, mentre all’inizio del terzo atto, la presenza del coro femminile nella scena dell’attesa sconfortata di Uberto da parte di Lilla simboleggia le tante donne che aspettano mariti, figli, fratelli reduci. Interessante ed efficace, a dare una valenza “teatrale” all’opera, la mutazione che subiscono alcuni degli elementi scenici: le lenzuola che inizialmente si vedono stese ad asciugare in un’aia, successivamente riappaiono a rappresentare, nei suoi aspetti meno eroici, la vita in caserma e poi ancora si trasformano in bandiere tricolori francesi, immettendo nello spettacolo anche una certa dose di ironia, che non sfocia però mai nella comicità, inadatta per un dramma tutto sommato di mezzo carattere. Lo spettacolo risulta gradevole, ammirevole lo sforzo di Morassi e i suoi giovani collaboratori di creare qualche timido coup-de-théâtre, ma davvero la storia è strutturalmente troppo debole.
Più confortante la situazione dal punto di vista musicale. Dall’ampia ouverture, basata, secondo il modello del pot-pourri francese, su alcune melodie dell’opera – in particolare quelle più brillanti e militaresche – alle tante melodie affidate alle singole voci o all’insieme canoro, alla sapiente calibratura dei colori orchestrali: tutto lascia intravedere il Cilea più maturo, che guarda all’opera francese per la raffinatezza dell’impianto musicale generale e all’italia per la melodia che arriva schietta, con il suo soffuso lirismo, al cuore dell’ascoltatore. L’unica riserva, che ci permettiamo di avanzare riguardo a quest’opera giovanile, riguarda il piano della prosodìa, cioè degli accenti che scandiscono un verso, non sempre rispettati, creando qualche cesura inopportuna soprattutto nel declamato, che attraversa la partitura. Comunque, trattandosi di un compositore alle prime armi la prova resta senz’altro incoraggiante.
Meritevole di lode la prestazione del cast sia vocalmente che per quanto riguarda il comportamento sulla scena. Arianna Vendittelli, nel ruolo del titolo, sfoggia un  voce cristallina ed omogenea, a delineare, anche gestualmente, un personaggio nel contempo dolce e combattivo. Armando Gabba dà voce – dal bel timbro brunito – e gesto – contenuto ma efficace – ad un Uberto oscillante tra le sue aspirazioni pantofolaie e (improbabili) slanci patriottici. Autorevole Valeria Girardello, che con la sua vocalità dal colore non troppo scuro, puro ed omogeneo, offre una Lilla fondamentalmente saggia ed equilibrata. Una bella voce tenorile è quella di  Alessandro Scotto di Luzio, che con timbro chiaro ma non femmineo delinea un Giulio languido e innamorato. Divertente ma senza eccessi inopportuni il Flamberge di Claudio Levantino, che esibisce i suoi pingui fianchi alla Sir John Falstaff, e si muove efficacemente sulla scena. Si fa onore, come sempre, il coro, preparato, per l’occasione, da Ulisse Trabacchin. Ineccepibile l’orchestra, che segue – al pari delle voci – il gesto chiaro e autorevole di Francesco Lanzillotta, che restituisce pienamente la freschezza vaudevillière di questa partitura. Successo e applausi per tutti. Foto Michele Crosera