Venezia,Teatro Malibran:”Acis and Galatea”

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Lirica 2011
“ACIS AND GALATEA”
(Aci e Galatea)
Masque in un atto HWV 49a su libretto di John Gay, Alexander Pope e John Hughes dal tredicesimo libro delle Metamorfosi di Ovidio
musica di Georg Friedrich Handel
Galatea JULIE  FUCHS
Acis JULIEN BEHR
Damon RUPERT CHARLESWORTH
Coridon ZACHARY WILDER
Polypheme JOSEPH BARRON
Coro Magali Arnault Stanczak, Christopher Lowrey, Zachary Wilder, Rupert Charlesworth, Grigory Soloviov
Orchestra del Teatro La Fenice
Continuo: Marco Giani fagotto, Alessandro Zanardi violoncello, Josep-Maria Martí Duran liuto, tiorba e chitarra, Lionel Desmeules organo, Jacopo Raffaele clavicembalo, Leonardo García Alarcón spinetta
Direttore Leonardo García Alarcón
Regia, scene, costumi, luci e coreografia Saburo Teshigawara
Venezia, 29 ottobre 2011
Un altro allestimento d’opera barocca affidato a Saburo Teshigawara. Fascinosa e creativa, nel rispetto della musica e dell’azione, la regia che il geniale giapponese ha realizzato per questo Acis and Galatea, curando anche tutti gli altri aspetti visivi e gestuali. Prosegue, dunque, la sua fortunata collaborazione con il Teatro La Fenice, per il quale nelle scorsa stagione lirica aveva creato l’allestimento del Dido and Aeneas di Purcell.
La scenografia essenziale è composta di masse geometriche scure a delimitare lo spazio centrale fiocamente  illuminato, in cui si svolge in prevalenza l’azione scenica: sul fondo un grande schermo luminoso che mostra di volta in volta  immagini silvestri d’acqua e di piante, per terra un tappeto verde, su cui appaiono a tratti fitti cespugli di giunchi. Il panismo domina  in questa mise-en-scène, nella quale i personaggi risultano come sottoposti ad un processo di arborizzazione, testimoniato in modo più o meno evidente dal loro abbigliamento e soprattutto dalle loro movenze, che spesso imitano quelle di piante che giocano mollemente con il vento, ma talora si alterano convulsamente, in una suggestiva continua azione coreografica che si intona con i vari momenti di questo masque, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio.
Grande rilievo nella partitura viene assegnato al coro, baroccamente lussureggiante di linee polifoniche e colorature: i giovani solisti dell’Académie européenne de musique legata al Festival d’Aix-en-Provence – Magali Arnault Stanczak, Christopher Lowrey, Zachary Wilder, Rupert Charlesworth, Grigory Soloviov –  si dimostrano davvero all’altezza sia nella tecnica che nell’espressione. Analogamente rigorosa e convincente l’interpretazione dei ruoli dell’opera: da quello dei due protagonisti, nei cui panni Julie Fuchs e Julien Behr sanno esprimere la tenerezza e la passione, la  gioia e la mestizia che segnano le loro contrastate vicende amorose (si può senz’altro perdonare al soprano qualche piccola incertezza nell’intonazione, che non pregiudica la sua complessivamente buona prestazione); al Damon di Rupert Charlesworth, che con pregevole timbro trova i giusti accenti per rendere la pacata saggezza delle sue ammonizioni, agile o meditativo quando occorre; al Polifemo di  Joseph Barron, terrifico nelle colorature e nelle progressioni che agitano le sue minacciose profferte d’amore; al Coridon, che Zachary Wilder interpreta con adeguata languida passione.
Autorevole e precisa la direzione del direttore argentino Leonardo García Alarcón che – avvalendosi di un ensemble di eccellenza –  assicura una perfetta corrispondenza tra ciò che giunge dall’orchestra e quello che si vede sulla scena, dando vita ad uno spettacolo agile e serrato, senza tuttavia perdere il lirismo e la sottile sensualità che pervade la partitura händeliana, né tantomeno la bellezza del suono. Tra i momenti più significativi sotto il profilo visivo e interpretativo, il duetto dei due protagonisti che giocano tra i giunchi, «Happy we», seguito dal coro, sempre più concitato, «Wretched lovers», dopodiché compare Polifemo che sembra un Papageno dark (costume in pelle nera e nero mantello vagamente piumato); oltre al finale, quando dalle dita delle mani di Acis, ormai ruscello,  zampilla dell’acqua con cui Galatea si disseta, lasciandosi poi voluttuosamente intridere. Al termine, tutti gli interpreti sono stati salutati con prolungati, scroscianti applausi.
Foto Michele Crosera – Teatro La Fenice di Venezia