Zubin Mehta ritorna al San Carlo di Napoli con l’ “energia morale” di Beethoven.

Napoli, Teatro di San Carlo, Stagione sinfonica 2017 /18
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Zubin Mehta
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Soprano Federica Lombardi
Mezzosoprano Veronica Simeoni
Tenore Saimir Pirgu
Basso Goran Jurić
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n.9 in re minore, Op. 125 “Corale”
Napoli, 2 settembre 2018
Ritorna, dopo lunga convalescenza, al Teatro San Carlo di Napoli, il Maestro Zubin Mehta con la Sinfonia n. 9 in re minore di Beethoven. Il canuto guerriero, che strenuamente lotta contro la sua malattia, ci ha messo tutti in un sacco, catapultandoci e scaraventandoci poi nell’eterno sogno della costruzione del regno della fratellanza umana. Una strabiliante cura dei dettagli, una portentosa restituzione, quasi cromatica, della complessa partitura beethoveniana, hanno incantato un pubblico che generalmente si presenta ora clemente, ora severo, ora fintamente tale, e che s’è sciolto quando s’è visto piombare addosso il Finale “Alla gioia”. Il talento di Mehta ha sfondato persino la quarta parete del teatro, costruendo un ponte tra i professori d’orchestra, i cantanti e l’esterrefatto pubblico napoletano. Un ponte semplice, fatto di legname: un’apparente semplicità sotto la quale si cela la genialità incandescente di Beethoven, che si proponeva la formazione d’un mondo veramente umano.
Il Primo movimento (Allegro ma non troppo, un poco maestoso) viene restituito strepitosamente: le prime battute, indefinite e misteriose, emergono lentamente e si spargono adagio adagio, rischiarando un silenzio assordante, tombale. Perfetta l’esplosione in “fortissimo”. Dell’esecuzione del Secondo movimento (Molto vivace) ha toccato tutti noi soprattutto la possente cura dei timpani solisti, la cui incisività viene quasi restituita come una romantica sequela d’effetti temporaleschi. Il Maestro s’allontana dunque da tutte quelle esecuzioni sgonfie e stanche che conferiscono poca dignità alla strabiliante novità del movimento. Il Terzo movimento (Adagio molto e cantabile) si propone come un lungo respiro rilasciato da sanissimi polmoni: la romantica profondità dei fraseggi viene investigata e scandagliata con intensa espressività. Mehta sembra spazzar via quella ricerca ragionata e ragionante dell’espressione, fortemente paralizzante, operando soprattutto con le viscere, col cuore. Ben inteso: l’ingegno e l’intelletto vi sono sempre, ma arricchite da una passionale espressività. Per quanto riguarda il Quarto movimento, risulta eccellente la restituzione dell’incisivo discorso tra violoncelli e contrabbassi del Presto. Passando al coro, esecuzione davvero folgorante! Preparato magistralmente dal Maestro Gea Garatti Ansini, s’è sempre espresso con consapevolezza ed autorevolezza, con durevole e perpetua potenza! Un puzzle vocale perfetto. Dal canto suo, l’orchestra, è apparsa sempre lucente e trasparente. Una mescolanza netta tra pathos e scorrevolezza, tra abbondanza espressiva e sublime brevità. Il soprano Federica Lombardi s’è espressa con assoluta nitidezza, esibendo una voce chiara e sicura. Buona anche la voce del mezzosoprano Veronica Simeoni, soprattutto per la regolare e rotonda cura con la quale ha trattato i fraseggi. Il tenore Saimir Pirgu con voce particolarmente scorrevole, ha cantato con sentita espressività. Un po’ soffocata, ma comunque buona, è apparsa la voce del basso Goran Juric che, con scioltezza, ha esordito col celebre recitativo “O Freunde, nicht diese Töne!”. Con accuratezza e toccante convinzione viene poi eseguita la marcia “alla turca” (triangolo, grancassa e piatti). Dopo breve momento meditativo, piomba, quasi gettato con la fonda, su un pubblico ormai incantato, un Prestissimo veemente. Dunque, un’esecuzione animata da un pathos accecante, però a tratti asciutta e sintetica, come nel Primo movimento: fraseggi trattati come sferzate staccate. Una scultura eseguita con mano ferma e sapiente: un perfetto e desto ritratto della “insonne energia morale” che Schumann ci esortava a venerare in Beethoven.