Napoli, Teatro di San Carlo:Omaggio a Mario Pistoni

Napoli, Teatro di San Carlo, Ottobre danza 2011
“IL MANDARINO MERAVIGLIOSO”

Musica di Bela Bartók
Coreografia e Regia Mario Pistoni
Ripresa di
Guido Pistoni
II Mandarino EdmondoTucci
Lei EdmondoTucci
Tre Ladroni Fabio Gison, Marco Spizzica, Vito Lorusso
II Vecchio Francesco Imperatore
Produzione del Teatro di San Carlo
LA STRADA”
Musica di Nino Rota
Coreografia e Regia Mario Pistoni
Ripresa di Guido Pistoni
Scene e Costumi Luciano Damiani
Gelsomina Giovanna Spalice
II Matto Alessandro Macario
Zampanò Luigi Ferrone
Corpo di ballo del Teatro di San Carlo di Napoli e Allievi della Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Anna Razzi
Assistente alla Coreografia Liliana Gaza
Maitre de Ballet
Marco Pierin
Allestimento del Teatro alla Scala di Milano
Napoli, 22 ottobre 2011
Al Teatro San Carlo, prima rappresentazione del dittico dedicato al coreografo Mario Pistoni (1932 – 1992), importante figura del panorama coreografico italiano. Formatosi alla Scuola di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma sotto la guida di Ettore Caorsi e dell’ultima grande maestra della “Scuola italiana”, Teresa Battaggi, solista nel corpo di ballo del Massimo romano, nel 1953 Pistoni fu primo ballerino del Teatro alla Scala, dove interpretò i ruoli principali del repertorio classico e di creazioni di Maestri quali Aurél Milloss e Léonide Massine. Presto assunse importanti incarichi coreografici per il Corpo di ballo scaligero, riscuotendo grande successo. Dal 1978 al 1981 fu direttore del Corpo di Ballo del Teatro San Carlo.
L’omaggio che la Direttrice Alessandra Panzavolta ha voluto tributare a Mario Pistoni ha visto la messa in scena del Mandarino Meraviglioso, “dramma coreografico” in un solo quadro, su musica di Béla Bartók, che il coreografo portò in scena nel 1967, consacrando la giovanissima Luciana Savignano. Un omaggio al Maestro Aurél Milloss, che il 12 ottobre del 1942 aveva curato la realizzazione coreografica dell’azione pantomimica andata in scena con scarso successo (la critica gridò allo scandalo) per la prima volta il 28 novembre 1926. È il dramma di una vita che può dirsi tale solamente se vissuta come la natura umana impone: il Mandarino è condannato a non poter morire finché non possiede la ragazza, ma solo allora le sue ferite cominciano a sanguinare e trova liberazione nella morte. Un vero e proprio dramma esistenziale che emerge dalla partitura musicale, di cui la coreografia è traduzione visiva, e che troverebbe le sue radici in un momento di grave crisi politica tra l’avvicinarsi della caduta dell’Impero Austro – Ungarico e l’incombere della rivoluzione successiva. Definito un “classico” del balletto moderno, l’opera presenta indubbie difficoltà nella resa espressiva che il Corpo di ballo del Massimo napoletano non è in grado di sostenere. Edmondo Tucci, nel ruolo del Mandarino, sembra il solo a convincere un po’ più degli altri il pubblico (scarsissimo per un sabato sera), palesemente annoiato e distratto.
Il secondo momento della serata ripropone uno dei lavori più famosi di Pistoni, La strada, ispirato al capolavoro di Federico Fellini, vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 1957. Prima rappresentazione alla Scala nel 1966, con Carla Fracci nel ruolo di Gelsomina e lo stesso Pistoni in quello di Zampanò. Indubbiamente un capolavoro di umanità neorealistica, in cui il coreografo ha tracciato la psicologia dei personaggi principali con il tocco poetico e fortemente malinconico di un mondo reale – e al contempo quasi fantastico – dei poveracci di strada, in cui i sentimenti più veri affiorano solo nel momento della tragedia, come quando Zampanò, dopo averla abbandonata perché malata, piange la morte di Gelsomina. Un legame fra due individui così diversi che la durezza della vita aveva, a loro insaputa, saldato. Un lirismo che deve emergere non dalla tecnica, quanto piuttosto dalla immedesimazione profonda nelle tristezze dei mendicanti, che la compagnia non ha saputo cogliere, neanche sulla splendida ed eloquente colonna sonora di Nino Rota.
Dispiace a una napoletana come me battere sempre sullo stesso tasto, ma ancora una volta lo spettacolo offerto dai “padroni di casa” è stato deludente. Fisici disomogenei, talvolta ai limiti dei canoni estetici necessari per un danzatore, tecnica debole e assoluta mancanza di presenza scenica sono i denominatori comuni di una compagnia che “vanta”, fra primi ballerini e solisti, danzatori ultraquarantenni alla soglia della pensione. Paradossale trovare proprio in uno di questi ultimi, Luigi Ferrone, l’unica presenza scenica più forte (al di là del fisico a mala pena mantenuto), se non altro un dono di natura che chi non ha non può certo imparare, ma che fa meraviglia non trovare affatto in un ensemble di un Ente lirico come il San Carlo. Lo stesso Alessandro Macario, di formazione napoletana e primo ballerino internazionale, che per le sue alte doti tecniche indubbiamente si erge al di sopra della massa, fatica a convincere nel ruolo del Matto, proprio per la mancanza di quel carisma innato che calamita gli sguardi del pubblico e lo tiene in pugno, laddove non è la tecnica a dover predominare. Ben calata nel ruolo di Gelsomina l’étoile Giovanna Spalice, che con i guizzi del suo fisico minuto ha soddisfatto più di tutti la caratterizzazione emotiva del personaggio.
La debolezza degli applausi mi ha francamente avvilito, nonostante l’evidenza della cosa, poiché il confronto con gli spettacoli precedentemente andati in scena nell’ambito di Ottobre danza è stato schiacciante. Ancora una volta, alla fine dello spettacolo, espressioni di scoramento sui visi di addetti ai lavori e non. Molti avranno pensato che sarebbe stata meglio una serata al cinema o in pizzeria, quanto meno più economica rispetto a una poltrona di platea (diciamo che a Napoli la spesa è pari o spesso doppia, rispetto a quella pagata al Teatro dell’Opera di Roma per vedere Svetlana Zacharova o Polina Semionova nella Bayadére di questi giorni!). Tristissima conclusione per quanti si nutrono di arte. Tuttavia, finché il lassismo non abbandonerà le fila del corpo di ballo napoletano e gli organi competenti, saremo costretti ad applaudire la vera Danza solo di rado e grazie a ospiti esterni. Basterebbe davvero poco per sradicare le malsane consuetudini partenopee e dare spazio ai veri talenti, che non solo si formano ogni anno nella fucina del Teatro – mi riferisco soprattutto all’elemento maschile, fiore all’occhiello della Scuola di Ballo -, ma a tutti i giovani che affollano le audizioni, nella speranza che tanto sudore versato su quelle tavole di legno trovi la giusta ricompensa.
Foto di Francesco Squeglia – Teatro di San Carlo di Napoli