Padova, Teatro Verdi:”La Traviata”

Padova, Teatro Verdi, Stagione Lirica 2012
“LA TRAVIATA”

Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, dal romanzo La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry
NATHALIE MANFRINO
Annina MICHELA BRAGANTIN
Alfredo Germont FRANCESCO DEMURO
Giorgio Germont  ELIA FABBIAN
Gastone de Letorieres ORFEO ZANETTI

Barone Douphol JAKY JURGEC
Marchese d’Obigny
GABRIELE NANI
Dottor Grenvil VALENTIN PIVORAVOV
Giuseppe ANDREA CAPOVILLA
Un commissionario ANTONIO BORTOLAMI
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro Nazionale di Maribor (Slovenia)
Direttore Steven Mercurio
Maestro del Coro Zsusza Budavari-Novak
Regia, Scene e costumi Hugo De Hana
ripresa da Filippo Tonon
Coreografia Leda Lojodice
Coproduzione Comune di Padova e Teatro Nazionale di Maribor
Padova, 21 ottobre 2012

L’edizione dell’annuale Stagione Lirica della Città di Padova, presso il Teatro Comunale G. Verdi, ha offerto in tre date (19, 20 e 21 ottobre) l’opera che rimane da decenni la più significativa e romantica della trilogia popolare di Giuseppe Verdi: La Traviata. La formazione del cast è avvenuta in collaborazione tra il Teatro di Padova e il Teatro Nazionale di Maribor, Capitale Europea della Cultura nel 2012.  Una regia tradizionale, e di certo apprezzata, quella di Hugo De Ana ancora una volta a Padova.
Dopo il Preludio iniziale a luci soffuse con l’irruzione di Violetta dal fondo della scena buia, quasi a vivere in anticipo sulla musica l’amore e la sofferenza della sua triste vicenda, lo scenario muta sembianze nell’affollato e fastoso salone in casa di Violetta. Piacevolissimo il contrasto di colori creato tra quelli pacati del sontuoso mobilio e la vivacità degli abiti, dei monili, degli ornamenti e dagli ampi movimenti scenici della folla.
Lineare la direzione di Steven Mercurio per il quale è difficile spendere parole di particolare elogio se non per essersi attenuto alle richieste della partitura e per aver evocato qua e là intime atmosfere e buona sintonia con gli interpreti. Non che tutto ciò vada sottovalutato, dunque.
Chissà se è da ritenersi oramai scontato, però, che le benché insidiose parti corali -pure aggravate da esigenze sceniche- risultassero in lieve dissesto con l’orchestra. Diciamo “scontato” poiché raramente si avverte precisione laddove la massa imponente di suono e coristi è necessaria o richiesta. Ma siccome si sa che in queste circostanze -cioè di fronte a pagine musicali impegnative- è sempre d’uopo, nonché intelligente, trovare il compromesso tra il gesto del direttore e l’ambizione registica, rimane sempre vivo l’interrogativo rispetto al termine su cui debba ricadere la scure del giudizio a ragione del “sangue” sofferto dalle orecchie di noi ascoltatori. Nel complesso, tuttavia, belle le voci, omogenee ed equilibrate.
Anche la Violetta di Nathalie Manfrino qualche volta ha messo alla prova le più buone intenzioni critiche a causa di un’intonazione oscillante o calante. La voce piacevole ed estesa, udibile in tutta la gamma che il ruolo richiede, non sembra aver risentito, almeno sulla qualità, dell’indisposizione annunciata prima dell’inizio dello spettacolo. Convincente l’interpretazione, e sicuramente in grado di sopperire a quei lievi deficit di intonazione, soprattutto per la buona parte del pubblico intervenuto più volte con applausi e affezionato alla vicenda di Violetta.
Apprezzatissimo anche Alfredo Germont di Francesco Demuro. Tenero e passionale, a seconda dell’estremità del momento, ha tratteggiato un amante convincente e deciso. La voce piacevole veniva talvolta soverchiata dall’orchestra soprattutto nella tessitura medio grave. Sicuro il registro medio acuto, anche se, in tessitura estrema, pareva a momenti fortunosamente sorretto.  Elia Fabbian, nei panni di Germont padre, ha riscosso, come già abbiamo potuto rilevare in altri contesti, un enorme consenso. Lo spessore vocale che la natura gli concede è sicuramente ben attivato; l’omogeneità del suo registro baritonale difficilmente viene sottomessa a strumenti e colleghi. La sapiente musicalità lo rende sempre trionfante.  Sul piano scenico-visivo sarebbe stata necessaria una maggiore attenzione ai dettagli che in questi casi occorrono a rendere verosimile un rapporto generazionale tra padre e figlio: Fabbian e Demuro sono quasi coetanei e ciò era alquanto evidente.
Di poca verve la Flora di Irena Petkova; interessante, invece, il ruolo affidato ad Annina (Michela Bregantin) presente silenziosamente in vari momenti dell’opera, offrendo con gesti e sguardi, quasi materni, i tratti di una donna consapevole dell’inesorabilità e crudezza della malattia.
Un appunto pignolo va sulla scelta dei comprimari, non tanto quelli principali (per i quali il livello era pressoché equivalente al resto del cast), quanto piuttosto sui piccoli ruoli del Commissionario e di Giuseppe. In questi ultimi anni sembra che la direzione artistica del Teatro di Padova non sia ben consapevole di come questi benché “insignificanti” interventi di spartito richiedano invece le medesime qualità vocali e musicali degli altri artisti impegnati nella rappresentazione. Ridurre queste poche battute ad un mero solfeggio, tra l’altro impreciso, di voci spaventate, spoggiate e prive di un benché elementare fraseggio, mostra un abbassamento qualitativo oltre che uno scarso interesse per il dettaglio. Auspichiamo una maggiore futura dedizione in questo senso, poiché, com’è risaputo, il prodotto finale risente sempre della qualità complessiva degli “ingredienti”. Generosi applausi e consensi hanno chiuso questo secondo appuntamento della Stagione operistica patavina. Il prossimo appuntamento sarà il 23 dicembre con Nabucco. Foto Michele Giotto