Napoli, Teatro San Carlo:”Lo Schiaccianoci”

Napoli, Teatro di San Carlo, Stagione Lirica 2012/2013
“LO SCHIACCIANOCI”
Balletto in due atti. Libretto di LE.T.A. Hoffmann
Coreografia originale M. Petipa-L. Ivanov
Ripresa coreografica  Luciano Cannito
Musica Piotr Iljic Cajkovskij
Principe Schiaccianoci ALESSANDRO MACARIO
Principessa Confetto  AMBRA VALLO
Clara CANDIDA SORRENTINO
Drosselmayer FRANCESCO VOLPE
La regina della Neve ALESSANDRA VERONETTI
Primi Ballerini, Solisti, Corpo di Ballo,  Orchestra e Coro di Voci bianche e
Allievi della Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo.
Direttore Giuseppe Finzi
Scene Nicola Rubertelli
Costumi Giusi Giustino
Luci Claudio Schmid
Napoli, 28 dicembre 2012
La Stagione di balletto del Teatro di San Carlo di Napoli si apre col classico natalizio per eccellenza, Lo Schiaccianoci di Tcjiajkovskij – Petipa/Ivanov, irrinunciabile spettacolo in cartellone pressoché in tutti i teatri lirici del pianeta in questo periodo. Balletto in due atti, veloce e piacevole nel susseguirsi delle scene, conserva intatto la magia della fiaba che ammalia i bambini e coccola gli adulti. Tratto dal racconto di Nussknacker und Mauseköning, ovvero Lo Schiaccianoci e il re dei topi, scritto nel 1816 da e. T. A. Hoffmann e pubblicato nel 18169 nella raccolta I fratelli di San Serapione, il balletto non fa diretto riferimento alla novella originaria, popolata di fantasmi inquietanti, bensì a una versione di Alexandre Dumas, più gradita a un pubblico “familiare” per la sua serena semplicità. Un’atmosfera onirica sulla quale insiste la versione di Luciano Cannito, aderente alla semplicità della partitura e alla centenaria tradizione teatrale della coreografia originaria.  Il balletto di Cannito scorre agevolmente, rivelandosi apprezzabile soprattutto nei primi quadri. Un Drosselmeyer diverso dal solito (in genere una maschera talvolta tenebrosa e inquietante, talaltra grottesca), qui interpretato da un Luigi Ferrone adatto alla parte, soprattutto nell’idea che Drosselmeyer  potesse essere il lato reale tangibile dei desideri adolescenziali di Clara, laddove il principe Schiaccianoci ne rappresenterebbe, di contro, la proiezione immaginifica in un universo incantato. Una sorta di «fatina buona al maschile» – per usare le parole dello stesso Cannito – che ripaga la generosità della piccola Clara nei confronti di un vecchio mendicante, al quale offre un dono natalizio, regalandole una notte di magia. La Clara di Candida Sorrentino, probabilmente l’elemento più grazioso del corpo di ballo sancarliano, che nelle sue minute proporzioni e la delicatezza dei tratti ben si adatta al ruolo, pur mancando ancora di definizione nel port de bras nel lavoro par terre. La giovane danzatrice risulta comunque molto piacevole e sa condurre il filo della storia con la sua costante presenza in scena. Interessante anche l’importanza conferita alle marionette di Arlecchino e Colombina, quest’ultima assai poco convincente, mentre brilla per tecnica e stile il giovane Salvatore Manzo, che ha saputo conquistarsi gli applausi più convinti per le sue pirouettes e per le belle linee di cui la natura lo ha dotato, destinandolo, però, a ruoli secondari a causa di un’altezza troppo ridotta. Un vero peccato. Tutto fila liscio fino all’avvento delle malefiche schiere di topi (veramente assai grottesche), in cui il corpo di ballo negligentemente mima una battaglia poco convincente. Un momento di risalita si ha nel Passo a tre  “bianco”, in cui Clara, La Fata Confetto e il Principe Schiaccianoci danzano in una scena di grande effetto. Ben calato nei panni del protagonista del titolo, Alessandro Macario si alterna a Giuseppe Picone (del quale appare superfluo ribadire le lodi) in un ruolo che ben si addice alla tecnica e allo stile del danzatore napoletano, che deve ancora maturare dal punto di vista artistico, con una espressività che sembra aver difficoltà a emergere. Sopra tutti emerge Ambra Vallo, stella internazionale del balletto classico e neoclassico, che ha saputo costruire una solida carriera sull’intelligenza e sull’umiltà di una costante ricerca della perfezione. Questa, si sa, non esiste o, se esiste, non è detto che desti necessariamente grandi emozioni, ma la Fata Vallo (o Principessa Confetto) con le sue sicure e fluide pirouettes, con la morbidezza delle sue braccia e una presenza scenica accattivante, sveglia il pubblico nei momenti in cui è in scena. Napoletana, all’età di dodici anni è notata nel corso di uno stage a Venezia da Rita Poolword, Étoile di Maurice Béjart, che la presenta alla Royal Ballet School of Flanders, dove conseguirà il Diploma. Nel 1993 entra a far parte dell’English National Ballet, dove è subito promossa Senior Soloist ed è nominata Prima Ballerina sul palcoscenico, dopo l’interpretazione della Giulietta di Nureyev. Beniamina del pubblico inglese, è stata definita dal Times “Diamante” e da The Stage “Ballerina di Prima Classe”, ricevendo numerosi premi e riconoscimenti internazionali. Carattere deciso e intelligenza consapevole, Ambra Vallo, appassionata di Yoga (di cui è anche istruttrice) e non solo, dimostra un sensibilità e una varietà di interessi non comuni nel mondo del balletto, se si pensa che sta per laurearsi in Psicologia dello sport.
Il Passo a due conclusivo, quello tra la Fata e il Principe, emerge per qualità al di sopra degli altri momenti dello spettacolo. Esso diviene una sorta di momento “distaccato”. Non è Clara a danzare col principe – come avviene ad esempio nella versione di Yuri Grigorovich, in cui la bambina è diventata  donna e la drammaticità della musica di Caikovskij, che in alcuni punti emerge chiara e vibrante precipitando in discese cromatiche inconsuete per un duetto d’amore, un amore che in realtà ha lati “oscuri” perché non può realizzarsi – ma la Fata, in un cammeo prezioso, quale proiezione dei sogni adolescenziali di Clara.
Nei solisti, qualche emozione per il giovane Alessandro Staiano nel Passo a due della Danza araba, infarcita, come anche la danza russa, di forzature “aeree” un po’ troppo televisive che hanno palesemente infranto la magia della musica, mentre si è potuta piacevolmente notare la partecipazione di alcuni dei neodiplomati della Scuola di Ballo dei Teatro, chiaramente riconoscibili dalla voglia di danzare bene e dalla partecipazione emotiva.
Povere le parti di insieme, con danzatori disomogenei e quasi mai all’unisono, soprattutto nella danza dei Fiocchi di Neve, in cui la semplicità estrema e quasi scolastica dell’impianto coreografico non ha tuttavia agevolato il corpo di ballo. Anche la Regina della Neve, interpretata da Alessandra Veronetti, è apparsa imprecisa e tesa in scena. Il Valzer di fiori (di fiori, in vero, ce ne erano solo tre, avvolti in costumi meravigliosi) è apparso un po’ frettoloso nella sistemazione, affidato alle coppie di solisti dei divertissements; siamo ancora lontani dalle masse di ballerine cui la tradizione russa ci ha abituati. Ma, si sa, in tempi di crisi ci sono i tagli. Il teatro era tuttavia al completo e tante persone vorrebbero forse vedere sul palco anche tanti danzatori. Sarebbe davvero un bel sogno anche questo.
Molto belli i costumi e la scenografia, fatta eccezione per la stonatura inflitta alla scena della foresta incantata, in cui lo splendido fondale di rami imbiancati ha dovuto subìre l’intromissione di una tremenda sagoma di abete luminescente, a mo’ di insegna pubblicitaria. L’orchestra del Teatro di San Carlo ha ben eseguito la partitura caikovskiana, sotto la direzione del Mestro Giuseppe Finzi.Uno spettacolo di immediata e facile comprensione per tutti i tipi di pubblico, perché, si sa, Lo Schiaccianoci a Natale non può proprio mancare.