Verdi Opera.Prières

Roberto Scandiuzzi (basso), Mara Bezzi (soprano), Andrea Stefenell (pianoforte). Giuseppe Verdi, Nabucco, «Vieni, o Levita!… Il santo / codice reca»; I Due Foscari, «Tu al cui sguardo onnipossente […] La clemenza?… s’aggiunge lo scherno!…»; Giovanna d’Arco, «Sempre all’alba ed alla sera»; La Forza del Destino, duetto «- Or siam soli… […] – Se voi scacciate questa pentita»; I Lombardi alla prima Crociata, «Te, Vergin santa, invoco!», «Oh madre, dal cielo soccorri al mio pianto»; Jérusalem, «Grâce, mon Dieu!»; La Traviata, «“Teneste la promessa…” […] Addio del passato bei sogni ridenti»; Otello, «Ave Maria, piena di grazia»; Il Trovatore, «D’amor sull’ali rosee […] Tu vedrai che amore in terra»; I Masnadieri, duetto «- Mio Carlo… – Ei sogna». Registrazione: Teatro Alfieri di Asti, settembre 2012. 1 CD Peacock Classic Record.
Le sicure note del pianoforte di Andrea Stefenell introducono la scena terza della seconda parte di Nabucco (L’empio) con una cadenza ieratica; quindi sgorga la voce, altrettanto sicura, sacrale, forte, di Roberto Scandiuzzi quale Zaccaria. Non potrebbe inaugurarsi in modo più appropriato una novità discografica centrata sulle scene di preghiera individuale dei melodrammi verdiani, in cui trova comunque spazio qualche brano fuori programma, non strettamente riconducibile alla tipologia indicata dal titolo. Non si tratta però di una rassegna di duetti, e neppure dell’alternarsi di arie per basso o per soprano, perché Scandiuzzi compare soltanto in quattro brani (da Nabucco e da Jérusalem in qualità di solista, dalla Forza del destino e dai Masnadieri a due con il soprano), mentre gli altri sono affidati alla voce sola di Mara Bezzi, giovane e promettente allieva dello stesso Scandiuzzi (e impegnata con il maestro, tra luglio e agosto 2013, in una tournée piemontese che ripropone il concerto ora consegnato alla registrazione discografica).
La cantante si cimenta in una serie di personaggi verdiani che attraversano tutta la produzione del compositore: dalla Lucrezia Contarini dei Due Foscari alla Violetta di Traviata, da Giovanna d’Arco alla Desdemona di Otello. La prova è certamente ardua, ma resa omogenea e persuasiva dalla scelta dei brani, poiché – come il titolo precisa – l’antologia contempla un tipo preciso di numero musicale, la preghiera, alla divinità o ad altra entità religiosa oppure simbolica. La selezione permette quindi di comprendere come in Verdi tale ritrovato scenico non si riduca mai a schema predefinito (l’enunciazione della preghiera, secondo una struttura metrico-ritmica uniforme, come nell’inno cletico della tradizione letteraria); fin dai Due Foscari, per esempio, al tono accorato e disperato della preghiera seguono lo slancio ribelle dell’invettiva, lo scatto contro un destino malevolo e dispotico, per lo più nato dalla malvagità dell’intrigo politico (ed è, dopo il recitativo che segue la romanza, la cabaletta, agile e virtuosistica). Ma esiste anche una preghiera trapuntata dallo slancio e dall’ardore della fede, che si traduce in puntature acute e agilità vocali, come quella della Giovanna d’Arco.

La voce di Mara Bezzi è ricca, pastosa, capace di alternare momenti di meditazione ad altri più concitati; per questo si staglia paradigmatica la prima scena presente nel cd, quella dai già ricordati Due Foscari, articolata in due blocchi musicali non propriamente consecutivi nella partitura originale, che l’esecuzione accosta a fini drammaturgici. Nella sezione recitativa il soprano s’impone con marcata autorevolezza (anche se l’emissione di certe note acute non è ancora del tutto sicura), ma offre il meglio mentre porge la preghiera, soprattutto nella seconda parte («Per difesa all’innocente», al cui centro le messe di voce, le note acute, opportunamente preparate, e la cadenza finale sono encomiabili). Grandissima la difficoltà degli incipit verdiani, soprattutto in occasione di momenti di disperazione femminile: l’attacco forse più bello e vibrante dell’intero recital è quello della preghiera dell’Otello, in cui la Bezzi esegue magistralmente il recitativo, per collegarlo con naturalezza al primo verso della preghiera vera e propria. Ma il punto di forza del soprano, in questo brano specifico, è la capacità di intendere alla perfezione la “parola scenica” verdiana, che ora diviene “parola liturgica” autentica, senza che sia necessario distinguere tra recitativo e romanza; anche grazie alla perfetta sonorità del pianoforte di Stefenell, il canto è armonico ed equilibrato in ogni momento, il fraseggio accurato e meditato su ogni sillaba.

Completamente diverso, invece, è il modo in cui la Bezzi modula il recitativo di Traviata, con la difficilissima lettura della lettera di Giorgio Germont: il soprano compie una scelta opportuna, evitando di sovraccaricare il testo di effetti drammatici sopra le righe (e l’esito quasi allucinato delle prime frasi è molto interessante), anche se forse esclamazione «È tardi!…», nella sua semplicità, non è abbastanza desolata come la didascalia di Piave e di Verdi richiederebbe. Le due strofi dell’«Addio del passato» sono cantate molto bene, ed è sicuramente un merito della Bezzi averle riportate alla cifra della preghiera (da cui la scelta di inserimento del numero all’interno del cd), come l’invocazione «A lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio, / or tutto finì» rende pienamente giustificabile.
Anche «D’amor sull’ali rosee» del Trovatore è una preghiera, o meglio una surreale invocazione, rivolta alla «Gemente / aura che intorno spiri», che dovrà raggiungere il carcere dove Manrico è rinchiuso. La voce della Bezzi rende la dolorosa apostrofe di Leonora in modo appropriato, ma – tutto sommato – la sua prerogativa vocale sembra più consona alle eroine del primo Verdi: Giselda, Lucrezia Contarini, Giovanna d’Arco. D’altra parte, l’inevitabile taglio del concertato «Miserere d’un alma già vicina» non giova, come al solito in sede concertistica, all’effetto drammatico complessivo e alla resa della parte conclusiva della scena, che pare banalmente giustapposta all’aria iniziale. La cabaletta «Tu vedrai che amore in terra», pur cantata in maniera corretta, non rende appieno giustizia alla vocalità di Leonora. Mara Bezzi riesce ancora un po’ acerba negli acuti e in taluni passaggi, anche se la cantante – che ha voluto coraggiosamente cimentarsi nella scena sopranile forse più impervia di tutta la scrittura verdiana – potrà certamente costruire un percorso di studio che sappia giungere gradatamente a risultati ancora più lusinghieri di quelli già ottenuti finora.
Nel duetto della Forza del destino Scandiuzzi orienta la sua interpretazione sull’emissione in piano e pianissimo, leggera e soffusa, sul sussurro, in un’atmosfera che è tra il mistero e, appunto, la preghiera; al contrario, la Bezzi insiste su un’emissione robusta, che non sempre persuade (anche perché non sempre negli acuti la voce risuona ben timbrata e omogenea). Al termine del brano l’ascoltatore resta inoltre un po’ deluso, perché la preghiera che dovrebbe concludere la grande scena («La Vergine degli Angeli») non è contemplata nell’esecuzione; come, nelle batture precedenti, mancava la parte di Melitone (ma il bravissimo pianista Stefenell ne accennava il tema ironicamente aggrottato), così la Bezzi avrebbe potuto cantare a solo l’invocazione con cui il II atto dell’opera si chiude.

La sezione più interessante è quella centrale nel cd, con i tre brani relativi in pratica alla stessa opera: le due arie di Giselda dai Lombardi alla prima crociata e quella di Roger dalla versione francese degli stessi, Jérusalem. La tessitura delle due preghiere della figlia di Arvino si adatta infatti molto bene alla voce del soprano, che ha modo di far risplendere le sue note centrali, particolarmente belle e ricche di armonici. Molto apprezzabili anche le messe di voce, specialmente nel finale di «Se vano è il pregare che a me tu ritorni». Scandiuzzi sa differenziare con grande raffinatezza l’emissione e il fiato nell’invocazione di Roger, ma soprattutto sa cantare “sul fiato” in modo veramente pregevole ed elegante; in più, ed è precisazione importante dal momento che si parla d una realizzazione discografica, il basso ha una voce a tutti gli effetti fonogenica. Non è affatto un dettaglio trascurabile: a differenza di molti cantanti, anche validissimi, Scandiuzzi conserva nella registrazione i suoi armonici naturali e la propria, costante “personalità vocale”.
Il recital si conclude degnamente con un secondo e breve duetto, dai Masnadieri, tra Massimiliano e Amalia: non è una preghiera, ma un bellissimo, e tipico, duetto verdiano padre/figlia, doloroso e tutto giocato sulle modulazioni patetiche (analogo, per esempio, a quello della Luisa Miller, anche se meno articolato), in cui le voci del basso e del soprano si abbinano perfettamente. L’ultimo accordo di note congiunte, sulle parole non casuali piangerà / eternità, non ha nulla di reboante, ma lascia anzi nell’ascoltatore quell’aura di sofferenza, di passione domata, di remissione religiosa che caratterizza gli altri brani del programma: una conclusione mesta, perfettamente attendibile ed efficace.