L’Otello di Fabrizio Monteverde al San Carlo di Napoli

Napoli, Teatrino di Corte di Palazzo Reale, stagione di balletto 2014-2015
“OTELLO”
Coreografia Fabrizio Monteverde
Musica Antonĺn Dvořák
Otello ERTUGREL GJONI / ALESSANDRO STAIANO
Desdemona ROBERTA DE INTINIS / LUISA IELUZZI
Jago EDMONDO TUCCI / ERTRUGEL GJONI
Emilia ANNALINA NUZZO
Cassio STANISLAO CAPISSI
Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo di Napoli
Maître de Ballet e Assistente alla Coreografia  Lienz Chang
Scene Fabrizio Monteverde
Costumi Santi Rinciari
Disegno Luci Emanuele De Maria
12 e 14 febbraio 2015
Conosco bene gli usi del nostro paese: /A Venezia confessano a Dio le magagne / Che non osano mostrare ai mariti. Per loro, / La virtù non sta nel non fare le cose / Ma nel non rivelarle (Otello, III.3, 199-204). L’apologia del sospetto nei confronti delle donne e della promiscuità, nelle parole di Iago, annuncia la rilettura dell’Otello di Shakespeare da parte di Fabrizio Monteverde, uno dei coreografi italiani maggiormente apprezzati anche all’estero e portato in scena al Teatrino di Corte di Palazzo Reale di Napoli dalla Compagnia del Teatro di San Carlo. Già creato nel 1994 per il balletto di Toscana, arriva per la prima volta a Napoli nella versione realizzata per il Balletto di Roma nel 2009.
Se, nella tragedia originale del 1604 (siamo nel culmine del fervore creativo di Shakespeare), «la parola diventa destino … e offre il suo più straordinario contributo nel proporre una nuova, moderna immagine di eroe tragico. Un eroe che cade perché non riesce a leggere il mondo e perciò a conoscerlo» ‒ come scriveva Agostino Lombardo ‒, nel dramma trasposto in danza da Monteverde non può più esserci l’elemento principale che conduce l’azione attraverso il racconto, ossia l’uso strumentale della “parola”, il mezzo più sottile del perfido Iago, colui che Otello ritiene “onesto” amico e consigliere.
Nel testo sono le tecniche retoriche abilmente padroneggiate dall’invidioso Iago (negazioni, sospensioni di senso, meccanismi litotici, metafore dal mondo animale, etc.) a connotare con violenza il personaggio malefico (veramente “onesto” solo quando si rivolge al pubblico) e a condurre nel dubbio e nell’abisso Otello, eroe il cui stile è invece dotato di ampio respiro metrico, il Moro che si eleva per il suo linguaggio dalla cadenza ipnotica e seduce Desdemona con assonanze e allitterazioni, iperboli e introduzioni seducenti. Tutto questo, apparentemente impossibile da tradurre in un altro tipo di comunicazione, è traslato in danza attraverso la sapiente scelta musicale, operata da Monteverde con Antonín Dvořák, e attraverso il chiaro intento di sottolineare l’aspetto più forte del contrasto uomo-donna e uomo-uomo.
Non c’è più il mare di Venezia o di Cipro sullo sfondo ma la scena dello stesso Monteverde, una banchina qualsiasi di un porto indefinito, è il terreno più fertile per incontri anonimi dove la specificità della razza si perde nella violenza comune alla mischia, immagine ispirata al coreografo da Querelle de Brest del regista tedesco Rainer Werner Fassbinder.
Otello può essere nero e bianco, perché la sua reale diversità sta nel non comprendere ciò che tutti vedono o sanno. L’errore fatale della tragedia shakespeariana, quello che deriva dalla classica “mancanza di conoscenza”, si trasforma qui nell’esito di un conflitto perenne tra i due sessi. Otello uccide l’oggetto del suo amore così come fanno anche gli altri uomini con le rispettive donne. Un esercito di anime senza nome che vivono la violenza e pagano le conseguenze di un amore sbagliato. Una insistenza sulla volontà di sedurre a tutti i costi, proprio perché La virtù non sta nel non fare le cose / Ma nel non rivelarle.
Attuale nel richiamo a tanti tragici eventi di cronaca nera, Monteverde scava nelle passioni più torbide costruendo una riuscita analisi della psicologia umana attraverso un linguaggio ricco e articolato, libero e neoclassico, con leitmotiv coreutici e musicali che caratterizzano il singolo personaggio o la coppia, conducendo la mente dello spettatore a penetrare i sentimenti dei protagonisti. A partire dall’Othello, Ouverture, op. 93: l’ergersi della figura del Moro sulla banchina lo isola dal contesto, già segno di un suo “osservare” le cose dal di fuori, con movimenti e atteggiamenti che fanno riferimento alla potenza virile che diverrà forza bruta. E qui la dissonanza principale con la tragedia, perché nel dramma di Monteverde Otello è già immerso nella diffidenza. Come in Shakespeare, a un certo punto, egli assume la violenza verbale di Iago, a mano a mano che la gelosia lo acceca, così nella coreografia di Monteverde danza in duetto con Iago assimilandone i tratti caratteristici.
Molto ben sviluppati appaiono i personaggi di Iago e Cassio, mentre per Desdemona si sceglie di mettere in risalto quello spirito seduttivo al quale in Shakespeare allude Iago per provocare Otello, senza che ve ne sia manifestazione reale. Una visione provocatoria tutta al maschile, insomma. Le donne sono “proprietà” dell’uomo, che veste e sveste l’oggetto del desiderio alternando il nero al rosso, due colori che sono a loro volta il leitmotiv cromatico del lavoro di Monteverde. Alla fine, il rosso sangue di Desdemona invaderà il suolo e, sulle note della Danza slava n. 2 in Mi minore dell’op. 72 – Allegretto grazioso, Otello ricorderà il duetto d’amore sul corpo che ha privato della vita. È rimasto a mani vuote, preda del rimorso e del rimpianto.
Ma ora veniamo agli interpreti: abbiamo scelto di seguire i cast “di casa”, peraltro neanche annunciati come si sarebbe dovuto. Gli ospiti di cartellone, ovvero Anbeta Toromani (presenza ormai costante al San Carlo) e il bel Josè Perez, oltre al Primo Ballerino Ospite Alessandro Macario, sono stati i nomi sui quali il Teatro ha ritenuto di puntare, artisti di chiara fama e dei quali per lo più hanno scritto (giustamente) le altre testate. La nostra scelta di seguire le matinée va controcorrente, perché non si è trattato di novizi da “rodare”, come il più delle volte si fa nelle recite mattutine, ma di giovani talenti affermati che già abbiamo avuto modo di apprezzare nei serali anche in ruoli principali, senza dimenticare la presenza dei primi ballerini del Massimo napoletano. E dunque, perché tacerne completamente?
La prima coppia ha visto in scena Ertugrel Gjoni e Roberta De Intinis nei panni rispettivamente di Otello e Desdemona. Ottimo interprete e particolarmente adatto ai ruoli drammatici di “eroe negativo”, forse per le caratteristiche dure dei tratti somatici, Ertugrel Gjoni ha convinto proprio tutti per sicurezza tecnica e carisma scenico. L’esperienza della prima ballerina Roberta De Intinis, una Desdemona dalla sensualità non eccessiva ma fluida nei movimenti calibrati con accortezza, ha addolcito la durezza dell’interprete maschile in un convincente contrasto.
La seconda e applauditissima coppia di protagonisti è stata invece affidata ad Alessandro Staiano e Luisa Ieluzzi, dei quali ribadiamo il valore. Sicuro, intenso, guizzante e al contempo felpato come un gatto nei potenti salti lui, seducente e veloce nei passaggi più complicati lei, dotata di linee lunghe e sinuose molto adatte al soggetto costruito da Monteverde. Entrambi interpreti interessanti e convincenti, padroni della tecnica e del linguaggio tecnico-espressivo a loro affidato dal coreografo. Una vera calamita per gli occhi del pubblico.
Il personaggio chiave di Iago è stato affidato, in alternanza, a Edmondo Tucci, Primo ballerino e artista consumato che sa sempre infondere al personaggio la giusta enfasi espressiva, e ad Ertugrel Gjoni, uno Jago ancora più crudo e crudele, ben calato anche in questo ruolo.
Per Cassio la scelta è caduta su Stanislao Capissi (interpretato da Carlo De Martino nel primo cast), altro dotatissimo talento emerso dalla Scuola di Ballo del Massimo napoletano diretta da Anna Razzi (come già Gjoni, Staiano e Ieluzzi), dalle linee lunghe e dalle proporzioni eleganti, che ha portato in scena il personaggio con grande forza espressiva e tecnica pulita e precisa. L’elegante Annalina Nuzzo ha ricoperto il ruolo di Emilia (nel primo cast affidato alla Prima ballerina di casa Alessandra Veronetti). Molto buona la risposta del corpo di ballo, soprattutto maschile.
Una bella prova dei giovani di casa, che il San Carlo, il un momento di importante cambiamento, dovrebbe valorizzare molto di più e convincere il pubblico nostrano che non bisogna attendere l’ospite per colmare il teatro. Nella speranza, però, che questo non avvenga troppo tardi, quando i migliori di loro potrebbero essere già volati via. Foto © Francesco Squeglia