GBOpera per l’8 marzo: Intervista a Luisa Ieluzzi, nuova stella del San Carlo di Napoli

Giovane, bella, solare e simpatica, con tanta voglia di chiacchierare e raccontare la sua gioia in un momento che la vede protagonista, insieme ad altri giovani di valore, nella ridefinizione del Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo di Napoli. Originaria di Afragola, una cittadina della provincia partenopea, Luisa Ieluzzi ha debuttato come protagonista in una delle recite del classico natalizio per eccellenza, Lo Schiaccianoci, all’inizio di quest’anno. Diplomatasi alla Scuola di Ballo del Massimo napoletano diretta da Anna Razzi, dotata di linee lunghe e sinuose, di tecnica precisa e sicura, Luisa ci parla di sé in una lunga e piacevole conversazione, che declina ogni tanto un po’ – diciamo così – “al femminile”…
Iniziamo dalla tua formazione e dalle prime esperienze lavorative                      
Sono un prodotto della Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo, dove sono entrata piccolissima, ad otto anni, quando ancora non era stato istituito il corso di propedeutica. Per questo sono stata ammessa subito al primo corso e, a quindici anni, ero già al settimo; benché risultassi troppo giovane, la mia tecnica agli esami finali era sempre valutata con i voti più alti della classe, ma ero troppo piccola per diplomarmi (in Italia non si può essere ammessi in Compagnie se non si è maggiorenni), per cui ho frequentato due volte il settimo e due volte l’ottavo corso. Dopo il diploma sono stata ferma per due anni. Finita la scuola, dopo le vacanze estive mi sono trovata di fronte al classico dilemma sul cosa fare. Feci una prima audizione alla Scala e non fui presa. Così a Firenze. Non avevo una grande autostima, uscita dalla Scuola. Arrivavo alla fine dell’audizione con l’idea di non essere scelta: trovavo tutte le altre fantastiche, avevano più esperienza di me, che invece ero ancora molto scolastica nell’esecuzione delle variazioni. Quello stesso anno tentai al San Carlo e non superai neanche lì (un anno particolare, perché quell’anno lavorò solo la prima in graduatoria fra le ammesse). Per non rimanere a casa senza far nulla ‒ abituata com’ero a giornate pienissime – mi iscrissi alla facoltà di Scienze della Formazione Primaria a Napoli, perché adoro i bambini e l’insegnamento è una cosa che mi piace molto. Superati i test di ingresso, trascorsi due anni da universitaria. Avevo cambiato ambiente ed ero felice, perché fino al diploma non avevo una vita di relazione, al di fuori del teatro. Ma quando, per problemi di polizze assicurative, non ebbi più la possibilità di frequentare le lezioni al San Carlo e mi trovai a dover pagare la classe mattutina in altri luoghi, sentii la necessità di trovare un lavoro. Insegnando in una scuola del mio paese non riuscivo a farlo e non potevo sopportare di gravare ancora sui miei, che già sostenevano le spese universitarie.
Qual è la tua visione della danza come arte e il suo rapporto con la cultura? Com’è “recepita”?
È difficile far comprendere il valore della danza come arte ed espressione di cultura. Ho capito questo ai tempi del liceo, a causa del comportamento delle professoresse (i docenti uomini non sono così ostinati al riguardo…), che nel mio studio quotidiano al San Carlo vedevano solo un impedimento nei confronti della scuola e mi interrogavano ogni giorno. Cambiando tipo di scuola ritrovai la serenità nello studio. Mi sono sempre chiesta il motivo e lo attribuivo a una sorta di conflittualità, tipicamente femminile, di donne frustrate per le proprie esperienze o per quelle delle loro figlie. La danza è troppo assimilata alla passeggiata pomeridiana in palestra e il grande sacrificio che richiede non è per nulla compreso. Soprattutto se sei una donna. Per gli uomini è diverso: loro sono più fortunati, perché è come se fosse un valore aggiunto. C’è molta ignoranza e questo anche perché i giovani non si avvicinano al teatro. Se già nella scuola ordinaria la danza è considerata come ginnastica, non ci sarà mai un avvicinamento serio e un progresso culturale. Anche gli adulti identificano la danza classica con i format televisivi come finalità principale della carriera di un ballerino.
Vedi solo Napoli nel tuo futuro?
Sono felicissima di lavorare a Napoli. All’estero non ho mai fatto audizioni, perché sono molto legata alla mia famiglia e questo, dal punto di vista lavorativo, è un grande problema. Sono anche poco ambiziosa. Dopo i due anni di “pausa” feci di nuovo l’audizione alla Scala e fui presa. Per sei mesi lavorai in tournée con l’Excelsior. Un lavoro magnifico: cento persone in sala a provare! Un’esperienza bellissima. Non nascondo che sono molto felice, ora, di lavorare in casa mia. Naturalmente l’ideale sarebbe poter danzare anche fuori come ospite; trasferirmi e cambiare vita credo di no. Quella è una cosa che si deve fare subito dopo il diploma. Ma, ripeto, per me è soprattutto un fatto caratteriale. A breve sarò ospite, insieme ad Alessandro Staiano, Candida Sorrentino ed Ertrugrel Gjoni, di un gala in Colombia. Purtroppo in passato ci sono state un po’ di resistenze a farci uscire. Invece è solo un vanto che i danzatori di un Teatro vengano applauditi fuori. In questo il Maestro Lienz Chang sta lavorando con noi e per noi giovani, offrendoci belle opportunità.
Qual è il tuo “tipo teatrale”?
Di certo amo i ruoli di forte impatto. Nello scorso Don Chisciotte, dove interpretavo una delle amiche di Kitri, non vedevo l’ora di entrare in scena. Molte mie colleghe erano un po’ intimidite dalla presenza di Svetlana Zakharova, io invece non vedevo l’ora di ballare. Amo la grinta. E così è stato anche nel mio primo ruolo da protagonista, quello di Clara.
Quale personaggio sogni di interpretare?
Non c’è un ruolo preciso, ma mi piacerebbe Kitri per una questione di carattere. Ora sto provando Diana e Atteone per la Colombia, ma mi sento versatile: mi piace la passione di Giulietta ma sono anche romantica. La Carmen di Roland Petit è il mio sogno. Amo il neoclassico come il contemporaneo; insomma, scoprire cose sempre nuove. Quello di Giselle, ad esempio, penso sia un ruolo da danzare con una certa maturità, perché richiede un’interpretazione molto sottile che i giovanissimi non possono rendere, proprio per la mancanza di certe esperienze di vita, ma anche di esperienze interpretative che arricchiscono l’interiorità e aprono la mente.
Linee moderne e sinuose: come dovrebbe essere l’immagine della danzatrice oggi?
Manca la cultura artistica in generale. Ecco perciò che, se ci si guarda intorno, si vedono centinaia di ragazze (e anche ragazzi…) competere nell’estensione delle gambe o nella tecnica più assurda. A questo punto basterebbe guardare le ginnaste e capire che quelle cose le fanno meglio loro. Manca una profonda coscienza artistica della danza oggi, quella dell’approfondimento del ruolo, dello studio del personaggio per entrare nell’interpretazione. Naturalmente c’è l’evoluzione dell’estetica corporea: i danzatori e le danzatrici sono più alti e slanciati. E questi sono canoni indispensabili, oggi, per lavorare nelle compagnie europee.
Definisci te stessa nelle linee essenziali del tuo carattere
È difficile, perché in genere sono gli altri a dare un giudizio su di me. Senza dubbio sono timida nella vita reale; sulla scena sogno, amo trasformarmi in tanti personaggi diversi, sono davvero in uno stato di trans! Non ho ancora una definizione di me stessa, ma mi ritengo umile e dovrei avere un po’ più di autostima. Tendo a essere molto ingenua, soprattutto nelle amicizie, ma, come si dice, ci sto lavorando… Io sto bene con tutti e cerco di darmi agli altri con sincerità. Ora, però, mi sto abituando alle false amicizie, purtroppo. Non riesco a odiare nessuno, ma forse devo rassegnarmi al fatto che non sono tutti come vorrei. Non comprendo la competizione insana.
Il tuo rapporto con la critica?
Un danzatore dovrebbe avere l’intelligenza di saper cogliere le critiche obiettive per migliorare. Tutti i giorni ci critichiamo davanti a uno specchio, proprio per correggerci. E così dovrebbe essere interpretata ogni cosa. Senza progressi un corpo di ballo affonda e la gente non va più a vedere spettacoli di danza in teatro.
Credi nel futuro della danza a Napoli?
Se si comprende il valore della danza come cultura, allora sì.
E che si comprenda davvero al più presto, aggiungiamo noi, perché non c’è proprio il tempo di attendere oltre.