A Roma La Danza va al Museo. Discorso tra Arti Visive alla Galleria Nazionale di Arte Moderna

La Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma e l’Accademia Nazionale di Danza firmano un “patto ” per la valorizzazione e il recupero del patrimonio storico dell’arte coreutica: in una cornice di sculture neoclassiche si incontrano arti visive solo apparentemente diverse tra loro, perché sorelle nella ricerca di armonia e plasticità. Se l’estetica della danza classica deve molto alle figurazioni di pittori e scultori neoclassici, le giornate promosse alla GNAM non potrebbero trovare collocazione migliore. L’iniziativa è curata da Francesca Falcone (studiosa di Teoria della Danza e docente dell’Accademia Nazionale di Danza), Elena Viti (docente di Metodologia all’Accademia Nazionale di Danza) ed Emanuela Garrone (Teorica dell’arte della Galleria).
Come sottolinea il comunicato stampa ufficiale dell’evento, «la danza nelle sue diverse espressioni ha una storia importante presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Fu Palma Bucarelli a immaginare in questo luogo suggestivo una possibile integrazione tra arti della visione e arti della danza e del movimento. La collaborazione, nel 1949, con Jia Ruskaja, l’allora direttrice dell’Accademia Nazionale di Danza, si inseriva in questo solco. Con La danza va al Museo. Discorso tra arti visive le due storiche istituzioni ricominciano a dialogare, grazie all’impegno di Maria Vittoria Marini Clarelli, soprintendente della GNAM e di Giovanna Cassese, Commissario straordinario dell’AND. Il progetto è articolato in due sezioni: la prima è dedicata alla danza classica e la seconda alla danza moderna e contemporanea. Ogni incontro è articolato in due parti: una conferenza teorica, in cui due esperti di storia della danza illustreranno il periodo storico in esame, e una parte dimostrativa, in cui gli allievi di danza si esibiranno in una lezione di danza realizzata secondo i canoni dell’epoca trattata».
Il primo incontro, tenutosi il 1 marzo scorso, si è aperto con una conferenza-dimostrazione di Flemming Ryberg, uno dei più autorevoli custodi della tecnica e della pantomima bournonvilliana, e di Francesca Falcone, studiosa  del balletto danese. Una ricca documentazione video attestante la tradizione “vivente” del balletto di August Bournonville, il celebre coreografo di creazioni immortali quali La Sylphide (1836) e Napoli (1842), pervenuti sino ai nostri giorni grazie all’amorevole cura di generazioni di ballerini e maestri danesi, ha permesso di immergere il pubblico nell’atmosfera romantica. Come parte dimostrativa, la Master class di Flemming Ryberg ‒ con i giovani allievi del V VI e VII corso dell’Accademia Nazionale di Danza ‒ ha permesso di visualizzare una ricostruzione della tradizione ballettistica in oggetto».
Il secondo appuntamento di domenica 12 aprile, al quale abbiamo avuto il privilegio di assistere, ha illustrato la tradizione di una delle pietre miliari del balletto, ossia la Scuola di Enrico Cecchetti (1850-1928),  il “Maestro dei Maestri”, che con la sua grande esperienza di palcoscenico, la sua intelligenza didattica e artistica ha reso grande la tradizione italiana e ha formato i più grandi danzatori della prima metà del secolo, lavorando instancabilmente fino all’ultimo giorno di vita. Un’esistenza che si apre e chiude in un teatro (nato in un camerino del Teatro Apollo di Roma durante uno spettacolo dei genitori, è colto dal malore fatale durante una lezione al Teatro alla Scala di Milano). Danzatore di grande virtuosismo e  mimo eccezionale, Cecchetti   ‒ già figlio d’arte – si era formato a Firenze alla scuola di Giovanni Lepri,  allievo del grande Carlo Blasis. Seppe elaborare un metodo di insegnamento che, oltre a garantire solida formazione al danzatore, ne sosteneva l’integrità fisica grazie a un’oculata articolazione settimanale della lezione, così che non ne affaticasse il fisico. La scansione settimanale delle lezioni era organizzata in maniera tale che ad ogni singolo giorno corrispondesse un particolare gruppo di esercizi per lavorare su una determinata parte della muscolatura (alla base vi era una profonda conoscenza dell’anatomia). E fu per questo che Djaigilev volle Cecchetti come Maître per i suoi Ballet Russes, nonostante l’anziano Maestro non si identificasse nelle novità dei nuovi spettacoli promossi dall’abile impresario. Ma il suo lavoro garantiva qualità e longevità ai danzatori, preservandoli dagli infortuni.
Quest’affascinante figura della nostra storia culturale, ben valorizzata all’estero (soprattutto in Inghilterra), trova oggi in Italia studiosi attenti al recupero e alla valorizzazione del patrimonio coreutico nazionale. Decana degli storici della danza e docente emerito di Teoria ed Estetica della Danza presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma, Flavia Pappacena introduce la figura di Cecchetti per il pubblico presente alla GNAM, focalizzando con abile sintesi  la relazione sulle caratteristiche principali dello stile cecchettiano e della tradizione italiana, per lasciare più ampio spazio alla ricostruzione pratica della “lezione”, tenuta da Alessandra Alberti, docente di tecnica Cecchetti abilitata all‘ISTD (Imperial Society of Teachers of Dancing), con gli allievi del V e VI corso dell’AND e Tania Pallabazzer al pianoforte. Tra i brani musicali dell’epoca, anche qualcuno composto dallo stesso Cecchetti per accompagnare le lezioni.
Il felice esito dell’iniziativa risiede soprattutto in quest’ultima modalità di presentazione dell’argomento. La ricostruzione di elementi in disuso permette di visualizzare, rendendolo “concreto”, un aspetto di cui per lo più si ignora l’esistenza, ovvero della possibilità  di rendere tangibile la caducità della danza. Quello che si pensa sia perduto per sempre  o sia destinato a rimanere annotato in un manuale prende vita attraverso i corpi “moderni” dei danzatori, che diventano lo strumento portatore di un documento storico, il cui supporto non è la carta ma il corpo stesso. La mente di chi ricorda, gli scritti d’autore e le immagini costituiscono gli elementi base per “trascrivere” un’eredità solo apparentemente intangibile. Un tipo di lavoro, questo, di grande difficoltà, che dimostra la validità dell’arte della danza come patrimonio storico da preservare e recuperare con tutti gli strumenti a disposizione degli studiosi. Perché si tratta di un’opera d’arte. E se il gruppo scultoreo di Ercole e Lica di Antonio Canova, splendido sfondo della performance “filologica” offerta al pubblico da Alessandra Alberti, avesse potuto parlare o muoversi, sarebbe sceso dal piedistallo per ammirare la plasticità degli adagi o il brio delle batterie e avrebbe probabilmente interrogato con noi i protagonisti della giornata.

Accontentiamo, perciò, anche Ercole e Lica e rivolgiamo qualche domanda ad Alessandra Alberti, che ha condotto il pubblico e gli allievi dell’AND (che utilizzano un metodo di studio completamente diverso, ma che sono stati molto bravi ad appropriarsi di nuove coordinazioni e dinamiche in pochissimo tempo) in questo viaggio nel passato.
Signora Alberti, cosa significa oggi studiare i Maestri del passato, che hanno posto le basi  della tecnica moderna? Quanto è stato fatto e si può ancora fare?
La ringrazio per questa domanda, che mi dà modo di illustrare brevemente quale sia a mio parere lo scopo dell’insegnamento della danza classica nel nostro tempo. Tutti gli esercizi che si praticano in sala, dal primo all’ultimo, sono stati già sperimentati ed eseguiti dai maestri che ci hanno preceduto, non c’è nulla che si possa inventare al giorno d’oggi nella tecnica della danza classica. Quelle che ci sembrano  delle novità, in realtà non sono altro che acrobazie tecniche, anche quelle già note, e spesso rifiutate a suo tempo dai grandi maestri del passato che, all’epoca, espressamente le tacciarono come volgarità ereditate dai circensi. Che si studi Vaganova, Cecchetti, Bournonville, o quant’altro vogliamo etichettare, il fine ultimo è uno solo: la danza, il movimento espressivo finalizzato a trasmettere emozioni. Spesso purtroppo si dimentica questo fine ultimo per concentrarsi solo sulle “bravate” tecniche atte a strabilare il pubblico. Ma quella non è la danza, la danza si trova nascosta, sta nei passi di collegamento, nell’energia delle dinamiche, nei momenti di sospensione, nei ports de bras, nei movimenti della testa, nell’épaulement. In particolare, ricostruire gli enchâinements del Maestro Cecchetti a mio avviso serve a far capire che, dietro questi passi che troviamo scritti in libri polverosi e antichi, c’erano delle persone in carne e ossa, danzatori paragonabili in tutto e per tutto a quelli dei nostri giorni, con abilità tecniche ed espressive simili, se non addirittura superiori. C’è ancora molto da fare, non solo per quel che riguarda Cecchetti, ma anche e soprattutto per i maestri che lo hanno preceduto, e che hanno lasciato molto materiale scritto. Si pensi soltanto alla Sténochorégraphie di Arthur Saint-Léon, pubblicata nel 1852, che potrebbe essere perfettamente ricostruita. La prof.ssa Flavia Pappacena, che ne ha curato la traduzione italiana, ha iniziato questa impresa titanica usando il software di animazione LifeForms.

Quanto è grande la difficoltà di questo tipo di esercizi per un giovane allievo “addestrato” secondo le metodologie di oggi?

La particolarità di questi esercizi risiede soprattutto nella coordinazione delle braccia, nella loro altezza, e nell’uso della testa, che non è girata ma quasi sempre inclinata. Dunque parliamo di dettagli stilistici e metodologici. Lo stile è ciò che contraddistingue le varie scuole di danza classica, ed è un po’ come il “dialetto” della lingua madre, che è la stessa per tutti. Ci sono molte scuole nel mondo che continuano ad insegnare gli esercizi del Maestro Cecchetti e a formare danzatori in questo metodo. Naturalmente questi allievi non incontreranno nessuna difficoltà, perché sono “nati” parlando quel dialetto. Chi ha imparato un altro dialetto, naturalmente farà un po’ di fatica all’inizio ma, come per tutte le cose, con la pratica capirà la coordinazione e le diverse leggi, così imparerà. D’altronde, il mestiere del danzatore richiede che si sia in grado di interpretare coreografie e stili diversi, e tutti nel modo più fedele alle richieste del coreografo. Dunque imparare un’altra coordinazione, un altro stile, un altro modo di danzare la tecnica classica non può che far bene a un allievo.
Quali sono, a Suo avviso, i principali pregi e limiti di questo tipo di tecnica?     
Più che di “tecnica” io parlerei di “metodo”. La tecnica classica è uguale per tutti: due pirouettes eseguite bene sono uguali in tutto il mondo! Come con tutti i “metodi”, ci sono pregi e limiti. Per questo, in un mondo ideale, bisognerebbe poterli studiare tutti. Il pregio è di poter formare organicamente e coerentemente un danzatore dall’inizio fino al livello professionale, secondo un sistema collaudato ed efficiente, che proviene da una tradizione centenaria che ha dato frutti illustri. Il suo limite invece risiede nella ripetitività delle combinazioni, che se da un lato contribuiscono a rinforzare muscolarmente il danzatore grazie all’allenamento intensivo e quasi “ginnico” (le combinazioni sono già conosciute, non si perde tempo a spiegarle, dunque in una lezione se ne possono fare moltissime, sviluppando la resistenza fisica), dall’altro limitano la reattività dell’allievo e il suo vocabolario. Cosciente di questo problema, lo stesso Maestro Cecchetti raccomandava di inserire in ogni lezione nuovi enchâinements, ideati dall’insegnante stesso, per sviluppare e accelerare la capacità di analisi e di assimilazione dell’allievo.
Siamo davanti a un prodotto cristallizzato, perché, si sa, le metodologie e gli stili evolvono, e lo stesso Cecchetti avrebbe continuato a modificare se stesso. Ma, alla luce dell’ampio utilizzo della didattica cecchettiana in Russia e nelle successive elaborazioni di Agrippina Vaganova, quanto è ancora funzionale un tipo di studio che insiste sulla linea dettata da Cecchetti?
Nella mia modesta esperienza sia di danzatrice che di insegnante, ho potuto notare che i danzatori professionisti formatisi nel metodo Cecchetti hanno un notevole controllo del loro corpo, e sono (questo può sembrare paradossale) molto versatili, meno affettati, meno ancorati ad abitudini di movimento difficili da sradicare. Ad esempio il metodo Cecchetti è molto apprezzato dai danzatori della compagnia di Pina Bausch, i cui maestri ospiti provengono spesso da questa tradizione. Le linee sono pure, non manierate, essenziali, gli esercizi sono semplici e piazzati, i passi di elevazione e di collegamento estremamente variati, mossi e con veloci cambiamenti sia di direzione che di peso. Tutto questo è estremamente interessante per dei danzatori contemporanei. C’è da aggiungere anche che in tutte le scuole Cecchetti di tutto il mondo, gli allievi studiano regolarmente anche altri metodi, a differenza di quello che invece si fa nelle altre scuole o accademie, dove si studia solo un metodo. Forse l’attualità della linea di Cecchetti sta proprio qui: nell’apertura ad altri stili, nella versatilità, nella flessibilità.
Quali sono state le difficoltà principali nell’insegnare in pochissimo tempo a giovani allievi, che sono abituati a coordinazioni e tipi di esercizi diversi, queste sequenze ricostruite?
Come giustamente ha notato anche lei, i ragazzi dell’Accademia Nazionale di Danza a cui ho fatto lezione (allievi del V e del VI corso) sono stati bravissimi, dei veri professionisti. Hanno davvero cercato di applicare le sfumature stilistiche della testa, delle braccia, dell’épaulement che ho cercato di insegnare loro in questi due giorni. Certamente il tempo era poco, ma ho visto che la loro disponibilità e interesse erano enormi. Hanno davvero sete di cose nuove, di imparare linguaggi nuovi, di misurarsi con sfide diverse. E i risultati sono stati fantastici. Sono riusciti ad inclinare dolcemente la linea del collo, ad abbassare l’altezza delle loro braccia, ad ammorbidire le loro posizioni, e mi hanno seguito lungo linee diverse e inusuali per loro, nonché nel lavoro di batteria terre à terre a loro completamente sconosciuto, che tra l’altro li ha molto divertiti.
Quali sono i prossimi progetti in merito?
A maggio alla Scuola Hamlyn di Firenze (che co-dirigo insieme alle mie colleghe Nicoletta Santoro ed Elisa Corsini) si terranno gli esami di livello Advanced 2 Cecchetti ISTD, con un’esaminatrice proveniente dall’Inghilterra. L’Advanced 2 è un livello di difficoltà superiore a quello che ho insegnato in occasione di questa Master Class, e poche scuole nel mondo riescono a preparare allievi per questo esame, molto impegnativo tecnicamente. Inoltre stiamo collaborando con la Société Auguste Vestris, e in particolare con le sue fondatrici Katherine Kanter e Julie Cronshaw, per l’imponente progetto della ricostruzione completa di tutti gli esercizi della settimana di Cecchetti, che verrà filmata e messa in rete pubblicamente nei prossimi due anni. Parte di questo materiale verrà girato anche alla Scuola Hamlyn, prima scuola in Italia ad introdurre il metodo Cecchetti ISTD, grazie alla sua fondatrice Brenda Hamlyn.

Gli incontri con la danza alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma proseguiranno, a partire dal 25 ottobre, con Doug Fullington, Assistant director del Pacific Nordwest Ballet per ricostruire alcune sequenze di repertorio  di Petipa tratte dalla notazione Stepanov, che saranno messe in relazione con quanto i ragazzi dell’AND studiano attualmente: un confronto fra tradizione orale e notazione.  Si proseguirà poi con Martha Graham, José Limón, Merce Cunningham e Pina Bausch. Foto di Andrea Toschi – Il Teatro della Memoria.

Iniziativa curata da Francesca Falcone ed Emanuela Garrone.
Organizzazione a cura di Elena Viti
Ufficio stampa Gnam
Laura Campanelli      

Ufficio Arti Performative
Emanuela Garrone
con Linda Sorrenti e Lilith Zulli
06-32298328
s-gnam.uffstampa@beniculturali.it