Addio a Maya Plisetskaya (1925-2015)

Lutto nel mondo della danza. Lo scorso 2 maggio si è spenta  a Monaco di Baviera, colta da infarto, la grande Maya Plisetskaya. Aveva 89 anni e il suo nome splende nel firmamento delle stelle di epoca sovietica, perché  ha lasciato una grande eredità nella Storia della danza. Entrata bambina alla Scuola di Ballo del Teatro Bolshoj di Mosca, ebbe alle spalle spalle un’infanzia difficile a causa della fucilazione del padre Michail, ingegnere fatto arrestare e fucilare da Stalin negli anni Trenta, mentre  la madre, Ra Messerer, fu confinata in un “campo di lavoro” nell’Asia Centrale. Il tutto per le ascendenze ebraiche di famiglia.
Nata a Mosca il 20 novembre 1925, aveva studiato con Elizaveta Gerdt, figlia del grande Pavel Gerdt. Diplomatasi nel 1943, le sue straordinarie doti la imposero immediatamente come solista e poi prima ballerina, già a diciotto anni, senza passare per le fila del Corpo di ballo. Nel 1960 fu proclamata Prima ballerina assoluta, onore conferito solo a Galina Ulanova. Se l’appartenenza a una genìa ebrea ne penalizzò l’immediata fama internazionale, quando ebbe la possibilità di farsi conoscere in Occidente (grazie  a Krusciov, nel 1959) la sua ascesa non ebbe fine. Danzò fino a età avanzatissima (a ottant’anni al Teatro del Cremlino in “Ave Maja”, in una coreografia creata per lei da Maurice Béjart) e ricoprì i ruoli principali del repertorio classico, legandosi in particolar modo a quelli drammatici. Fu una grandissima tragedienne e una potente saltatrice (intere generazioni si sono ispirate ai suoi ballons, rarissimi in una donna).

La generazione di chi scrive, per fare un esempio,  ha potuto nutrirsi – sia pure a distanza – dei suoi insegnamenti grazie allo studio del suo movimento, con particolare riferimento alle braccia. La sua Morte del Cigno, immortalata in un noto film/omaggio circolante anche in Italia (Ballerina), è ancora oggi un magistrale esempio di arte poetica che parla attraverso il corpo. Il fluttuare delle braccia che sembravano prive sostanza ossea, la fierezza della sua Raymonda, il lirismo da vestale in Prélude e il fuoco della passione della sua Carmen – sempre nello stesso film che omaggiava la grande danzatrice raccogliendo alcuni dei suoi caratteri scenici più peculiari ‒ sono solo alcune tessere di quel mosaico policromo e affascinante che fu la sua carriera.
Sposata con il musicista Rodion Shchedrin, del quale aveva interpretato anche balletti quali Anna Karenina e Carmen, fu molto ben voluta dal regime negli anni dell’Urss per  non essere mai fuggita dal suo paese, come avevano fatto i suoi illustri colleghi in cerca di libertà artistica. Le condoglianze espresse Vladimir Putin anche a nome di tutto il popolo russo sono la dimostrazione di un affetto “nazionale” verso il mito di Maya Plisetskaya.