Il mito moderno di “Zorba il greco” al San Carlo di Napoli: incontro di polarità e culture.

ZORBA IL GRECO © foto Luciano Romano/Teatro di San Carlo

Napoli, Teatro di San Carlo, San Carlo Opera Festival 2017
“ZORBA IL GRECO”
Musica Mikis Theodorakis
Coreografia Lorca Massine
Zorba DAVID KHOZASHVILI
John ALESSANDRO STAIANO
Marina ANNA CHIARA AMIRANTE
Manolis ERTUGREL GJONI
Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo 
Direttore del Corpo di Ballo Giuseppe Picone
Napoli, 12 settembre 2017
 

Zorba torna al San Carlo di Napoli (in scena fino al 17 settembre il il San Carlo Opera Festival) nel famoso allestimento di Lorca Massine, su musica di Mikis Theodorakis, un “mito moderno” (come lo definisce lo stesso compositore) che, dal 1988, ha acquisito la veste coreografica dopo il successo del film di Michalis Cacoyannis del 1964 con Antony Queen, Alan Bates e Irene Papas nei ruoli principali. Divenuto internazionalmente simbolo di liberazione, il personaggio originale nato dalla penna dello scrittore neogreco accoglie in sé non poche riflessioni di natura filosofica. Fin dal prologo la danza assume grande rilievo, perché in grado di comunicare quello che l’uomo non riesce a esprimere con le parole. La trasposizione del romanzo in coreografia, andata in scena in prima assoluta – come noi lo conosciamo – nel 1988 all’Arena di Verona con Vladimir Vassiliev nel ruolo di Zorba, Gheorghe Iancu in quello di John, Luciana Savignano in quello della vedova (ma una primissima versione, con alcune differenze, risale al 1987) ha semplificato la complessità ideologica del testo letterario, ringiovanendo il mondo antico descritto da Kazantzakis. In essa il contrasto apollineo/dionisiaco è affidato allo stile dei protagonisti, imponendo come nuova tradizione una danza appositamente creata per il film diretto da Cacoyannis nel 1964: il Syrtaki. Questa nuova tradizione danzante nasce dal film e si basa su reminiscenze antiche e popolari, un fenomeno sociale rilevante. Manca, tuttavia, la consapevolezza di quanto profondo fosse il significato attribuito all’atto del danzare, nel testo originale. Spesso Kazantzakis descrive nei dettagli lo sviluppo delle condizioni psicologiche che rendono la musica e la danza un imperativo necessario, in quanto attività rappresentative della rivelazione e della liberazione dell’eroe. I riferimenti alla danza sono costanti nel romanzo; scompaiono progressivamente nella trasposizione cinematografica, cambiano aspetto nella coreografia. Zorba è stato rappresentato in tutto il mondo e il pubblico ne ha decretato la trasformazione in mito dei nostri giorni; l’accento è posto sulla libertà che la danza offre all’uomo, sulla gioia di vivere, sulla celebrazione dell’amicizia e dell’amore.
Se Zorba ha molte cose da dire ma preferisce danzarle è perché, attraverso il linguaggio del corpo, i Greci creano un dialogo fra lo spirito occidentale-apollineo e quello orientale-dionisiaco, collocando sempre al centro del loro mondo l’essere umano. A questo proposito la visione di un cretese appare interessante: l’elemento greco e quello orientale si giustappongono senza fondersi del tutto, creando un terzo luogo, secondo la visione di Kazantzakis.
Nel balletto di Lorca Massine la musica della partitura, spesso rinforzata dalle voci, è l’elemento fondamentale della

narrazione. La musica è il punto in comune più evidente con la versione cinematografica e sembra molto più adatta all’introspezione psicologica dei personaggi, vista la felice sintesi dei tre elementi suddetti di cui lo stesso Theodorakis è portatore: identità europea (musica sinfonica), greca e cretese. In proposito, è bene dire subito che in questo allestimento sancarliano l’aspetto più penalizzante è stato proprio la mancanza dell’orchestra e del coro, vista la pessima qualità dell’amplificazione: benché creata dalla giustapposizione di molti brani già composti in precedenza, lo score musicale costituisce  il punto di forza dello spettacolo e la disomogeneità dei livelli acustici, oltre che la cattiva qualità del suono, sono ingiustificabili al San Carlo, data l’acustica che normalmente il Massimo partenopeo vanta senza amplificazione. Il lavoro di gestione dei suoni artificiali è indubbiamente complesso in un teatro all’italiana, ma esiste il personale specializzato in merito.
Il romanzo di Kazantzakis, scritto durante l’occupazione tedesca, esplorava il «Greek people’s remarkable powers of endurance despite repeated disaster». E la danza è un rimedio a diversi tipi di disastri, perché il suo impiego, inconscio e creativo, è mezzo terapeutico di analisi del sé e della propria psiche.
Nel balletto l’elemento femminile acquista grande libertà, perché finalmente può danzare come gli uomini. L’amore e la morte, temi cruciali della vita dell’uomo, sono espressi in maniera differente da Massine. La coreografia dà voce all’amore visto anche da un punto di vista femminile; questo elemento manca nel romanzo, con la sola  eccezione del patetico personaggio di Madame Hortense, descritta, però, da un punto di vista strettamente maschile. A questo personaggio è affidata la melodia più poetica, piena di nostalgia e di rammarico per i tempi e della giovinezza che non sono più. Suggestiva la scena del matrimonio che si avvera solo nella mente della donna e che il coreografo mostra al pubblico, grazie a un lunghissimo velo e alla pantomima dell’imeneo nuziale, con tanto di velo e taedae, sottolineato musicalmente dal coro di voci femminili e doppiato in scena dalle danzatrici. Candida Sorrentino ne dà un’interpretazione aggraziata e convincente, benché si tratti di un ruolo da tersicorea matura.
La donna è l’oggetto intorno al quale ruota il soggetto del romanzo: amore/odio, compassione/disprezzo, inutilità/necessità sono le coppie antitetiche relative alla caratterizzazione dell’elemento femminile, nel testo originale. Qui la donna non danza mai, così come non danza nel film,  dove l’asciutta recitazione di Irene Papas traduce in gesti il senso di emarginazione secolare della donna greca ivi rappresentata.
Nella prima scena dell’allestimento coreografico di Massine gli uomini sono in evidenza e le donne, in abbigliamento moderno, camminano sui praticabili; la musica, grave per uomini, cambia nel timbro e negli strumenti per le donne.
Elemento maschile e femminile, in eterno conflitto, si contrappongono nei blocchi coreografici di massa e danzano insieme in un’apparente schermaglia amorosa. Nel romanzo sembrano eterni nemici, mentre nel film le popolane sono spesso scenografia silente, ieratiche lungo i muri delle case, in una staticità che sembra evocare la statuaria arcaica. La vedova nel film pronuncia due battute, mentre nel romanzo cinque o sei, silenziosa e casta. Nel balletto, fin dalla prima entrata in scena, c’è qualcosa di sensuale e deciso nei suoi movimenti; come la puledra che nitrisce nel romanzo, così l’erotismo intrinseco della donna affiora nella messa in scena coreografica. E qui c’è il contatto con l’elemento maschile, nel primo Passo a due, ben interpretato da Alessandro Staiano, vigoroso e dinamico nel ruolo di John, e Anna Chiara Amirante, una Marina tecnicamente impeccabile, probabilmente troppo elegante e aerea nello stile per questo personaggio, alla cui morte, in verità, la coreografia stessa concede poca importanza emotiva.
La semplificazione della complessità della danza di Zorba a favore di una più immediata comprensibilità della storia allontana il pubblico dal reale sentimento che lui stesso intende esprimere grazie al movimento: il dolore. In Massine, che opera una scelta radicalmente diversa nella caratterizzazione della storia e del personaggio, un momento di dolore è quello di John dopo la morte di Marina: è affidato a un duo privato con Zorba, sulle note del famosissimo (in Grecia) Make your bed for two/Strose to stroma sou, di Theodorakis-Gounaris, simbolo della Resistenza greca, come un sorta di secondo inno nazionale.
È interessante notare come i momenti lirici affidati al Pas de deux siano stati costruiti anche su corali, come se gli strumenti e le voci raddoppiassero il sentimento dei singoli e rendessero i due protagonisti espressione dei sentimenti di un popolo.
Prestando attenzione alle sequenze coreografiche proposte è inoltre possibile notare come la danza iniziale delle donne abbia un sapore orgiastico, accompagnata da un’ostinata introduzione degli archi. La musica è come un fuoco e  richiama alla mente il fraseggio del Confutatis dal Requiem mozartiano: proprio il fuoco di Dioniso è

originariamente affidato alle donne del suo corteo, perché l’elemento maschile si aggregherà al Dio solo dopo l’episodio dei pirati di cui ci parla l’inno omerico al dio. Il corpo della donna è ancora una volta veicolo di messaggi che, nel romanzo, non possono associarsi a un genere che non ha libertà di espressione in senso assoluto; esso è oggetto e non soggetto, è causa-preda-vittima. E il balletto terminerà, in ogni caso, senza le due protagoniste femminili. Non è trascurabile, in merito, la citazione sonora della danza dei cavalieri dal Romeo e Giulietta di Prokof’ev, nei momenti in cui le fazioni avversarie sottolineano l’impossibilità dell’unione di John e Marina. Il terzo solista maschile è invece introdotto attraverso la figura di Manolis, interpretato con sicurezza e perizia tecnica da Ertugrel Gjoni, particolarmente adatto ai ruoli di carattere.
La danza è accompagnata dal canto, nel solo della vedova, per dar voce a chi voce non aveva, con citazioni da I ragazzi del Pireo  – Ta pedià tou Pireà, nota canzone di Manos Hatzidakis tratta dal film Mai di domenica diretto da Jules Dassin. Il brano contribuì a far conoscere, con larghissimo anticipo su Zorba il greco, le musiche del più noto Mikis Theodorakis oltre i confini della Grecia.
Il linguaggio di base, per il quale la danza accademica costituisce un insostituibile vocabolario di base, è intriso di citazioni folkloristiche balcaniche affidate per la maggior parte agli uomini. In Zorba si è potuto ascoltare il riferimento ai tre ritmi principali ancora oggi al cento della musica greca: lo zeimbekiko, il cui andamento più lento e altalenante richiama il momento conviviale, impossibile da non citare in ambito cretese; lo tzifteteli delle donne turche, che irretiscono allegramente Alexis Zorbas; il novello syrtaki della parte finale, erede del syrtòs e dell’hasapiko (e syrtaki non significa altro che “piccolo syrtòs”) vero simbolo della moderna nazione greca che John Basil chiede a Zorba di imparare, prima di andare via da Creta. La vera danza del romanzo sarebbe stato proprio lo zeimbekiko (“ballo dell’ubriaco” o “ballo di Zeus”), ma la difficoltà di una serie di movimenti molto personali risultò troppo difficile per essere insegnata ad Anthony Queen e si optò per gli altri due.
Se i motivi politici della scelta musicale e coreografica miravano alla costruzione di un prodotto “bandiera” che mescolasse ascendenze orientali con un’immagine occidentale per esportare una nuova realtà greca, l’intento è riuscito con successo. Il viaggio mediatico di Zorba procede in questo modo: da coreografia e musica di un prodotto commerciale, nella pellicola cinematografica, a partitura musicale e coreografica di un “coreodramma”. Le braccia tese tra i danzatori del Syrtaki sono il simbolo dell’unione che nasce dal convivio coreografico, un ritrovarsi nella cultura originaria di John, ma anche un incontro con il nuovo che ha radici comuni. Un esito che nasce dall’unione di antico e moderno, di greco e non greco. Se la trama originale non si evince dal balletto poco importa, perché l’amicizia l’amore e la morte sono i momenti salienti dell’esperienza umana.
Prestazione molto buona da parte del Corpo di Ballo diretto da Giuseppe Picone, in crescita costante per produzioni e rendimento, in un allestimento in cui le scene sono state sostituite da proiezioni ben adattate, per cromatismi, allo stato d’animo dei protagonisti, fatta eccezione per le bianche colombe dell’ultima scena: una simbologia di pace che richiama in maniera troppo esplicita le celebrazioni pasquali e che hanno distolto l’attenzione dal crescendo finale. Il pubblico, con gli immancabili applausi ritmati, ha decretato il proprio gradimento e la partecipazione attiva alla danza di Zorba. Una danza che unisce quello che molti vorrebbero dividere: Oriente e Occidente. (foto Luciano Romano).