Verona, 89° Festival 2011:”Il Barbiere di Siviglia”

Fondazione Arena di Verona – 89° Festival 2011
“IL BARBIERE DI SIVIGLIA, ossia l’inutile precauzione”

Melodramma buffo in due atti su libretto di Cesare Sterbini dalla commedia “Le barbier de Séville ou La precaution inutile” di P. A. de Beaumachais
Musica di Gioachino Rossini 
Il conte d’Almaviva  ANTONINO SIRAGUSA
Don Bartolo  BRUNO  DE SIMONE
Rosina  ROCIO IGNACIO
Figaro DALIBOR JENIS
Don Basilio MARCO  VINCO
Fiorello/Ambrogio  DARIO  GIORGELE’
Berta FRANCESCA  FRANCI
Un ufficiale  VICTOR GARCIA SIERRA
Orchestra e Coro e Corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore  Andrea Battistoni
Maestro del coro  Giovanni Andreoli
Regia, scene, costumi e luci di Hugo de Ana
Coreografia di Leda Lojodice
Produzione Arena di Verona 2007
Verona, 22 luglio 2011
Dopo La Traviata inaugurale, Hugo de Hana ritorna con la riproposta de Il Barbiere di Siviglia, spettacolo creato nel 2007. La cifra di de Hana è quella di decontestualizzare la vicenda da quello che dovrebbe essere il suo, chiamiamolo “alveo naturale”, ossia Siviglia che, in questa sua lettura, praticamente non esiste se non in riferimento pittorico di un quadro posto alla sinistra del palco. L’impostazione, se vogliamo è la stessa di Traviata, ossia tre spazi, uno più ampio centrale, nel quale si svolge principalmente la vicenda e due laterali nei quali agiscono principalmente i danzatori e i figuranti. Eccoci dunque in un giardino-labirinto di fantasia, con grandi rose e farfalle, un misto tra Alice nel paese delle meraviglie e una Versailles di Maria Antonietta, visto che i sontuosi costumi sono settecenteschi. Un impianto scenico fisso di bell’effetto anche se,  ancor più che per Traviata, si ha a che fare con una partitura ancor meno adatta agli spazi areniani. La spettacolarizzazione del Barbiere nell’ottica di de Hana ha comportato un pressoché continuo movimento di personaggi in scena, ballerini, mimi, figuranti. Un susseguirsi un po’ nevrotico di siparietti che, uniti a quelli già piuttosto eccessivi dei cantanti che si atteggiano in mossette e gags, portano un eccesso di comicità che, alla fine risulta stucchevole e nemmeno tanto divertente. Siamo comunque in Arena dove, è un dato di fatto, buona parte del pubblico non è composto da melomani e di conseguenza è quasi lecito giocare su questi espedienti.
Sul versante musicale si fa apprezzare la concertazione di Andrea Battistoni arguta, compatta e asciutta nella visione della partitura. Antonino Siragusa, non in serata (non ha esguito il Cessa di più resistere da lui introdotto nel secondo atto), ha comunque fatto sfoggio di una bella linea di canto, un ottimo uso del canto a fior di labbro e di acuti luminosi. Il Bartolo di Bruno De Simone qua e là è caricato e, vocalmente, non è certo aiutato dagli spazi areniani di conseguenza i suoi limiti vocali sono ben evidenti: parla, sillaba, introduce facezie e, ogni tanto, canta. In quanto alla Rosina del soprano spagnolo Rocio Ignacio si ha l’impressione che la sua unica preoccupazione sia quela  di dimostrare quanto può essere brava. “Può essere”, perchè, in realtà non è nemmeno un mostro di virtuosismo. Per essere una  “virtuosa”  bisogna avere una tecnica che rasenta la perfezione. Questo non è il suo caso, perchè gli acuti sono stridulini e le “fioriture” poco fluide. Consigliabile  fare di meno e farlo meglio, ad esempio avere un fraseggio più nitido di quello che sfoggia, oscuro perchè  compromesso da una emissione nella zona centrale della voce intubata in modo innaturale. Dalibor Jenis sarebbe dotato di una voce ragguardevole, acuti fluidi e timbrati, peccato che lo stile rossiniano sia alquanto latente. Jenis canta Rossini come lo si cantava negli anni ‘4o e ’50, ossia quando Figaro era il cugino spagnolo del siciliano compare Turiddu. Marco Vinco non ha certo un “vocione”, utilizza la sua vocalità in modo intelligente e così il suo Basilio è contrassegnato da un fraseggio vivace e colorito, unito a una emissione morbida e omogenea.  Nel doppio ruolo di Fiorello e Ambrogio, Dario Giorgelè, spicca per vivacità scenica. Francesca Franci, piuttosto eccessiva scenicamente, è stata una Berta vocalmente in miglior stato di altre sue precedenti prestazioni in questo ruolo. Corretto il sergente di Victor Garcia Sierra. Un’Arena, non particolarmente gremita,  ha comunque salutato con calorosi applausi tutti gli interpreti.
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona