Novara, Teatro Coccia: “Rigoletto”

Novara, Teatro Coccia, Stagione d’Opera 2018-19
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti, su libretto di Francesco Maria Piave.
Musica di Giuseppe Verdi
Rigoletto ROBERTO DE CANDIA
Duca di Mantova STEFAN POP
Gilda ALEKSANDRA KUBAS-KRUK
Sparafucile ANDREA COMELLI
Maddalena SOFIA JANELIDZE
Giovanna/ Contessa di Ceprano SERENA MUSCARIELLO
Conte di Monterone FULVIO FONZI
Marullo/ Un usciere di corte STEFANO MARCHISIO
Conte di Ceprano ARIOL XHAFERI
Borsa DIDIER PIERI
Un paggio della Duchessa VALENTINA GARAVAGLIA
Orchestra Conservatorio “Cantelli” di Novara
Coro dei Conservatori “Cantelli” di Novara e “Vivaldi” di Alessandria
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del Coro Marco Berrini
Regia Paolo Gavazzeni, Piero Maranghi
Scene Leila Fteita
Costumi Nicoletta Ceccolini
Luci Emiliano Pascucci
Coproduzione Fondazione Teatro Coccia e Teatro Comunale di Sassari – Ente Concerti Marialisa de Carolis
Novara, 05 ottobre 2018
L’apertura di stagione del Teatro Coccia di Novara è stata affidata a un titolo di sicuro impatto sul pubblico, “Rigoletto” di Verdi, su cui si è cercato di lavorare con la massima attenzione, sia scenica che musicale. La prova si può definire superata a pieni voti, con poche trascurabili distrazioni. In primo luogo si riconferma la cura che la fondazione novarese presta alla scelta degli artisti, che, anche stavolta, convincono pienamente: Roberto De Candia è un Rigoletto di tutto rispetto, con qualche venatura più introspettiva del solito e contraddistinto vocalmente da un preciso fraseggio e una solida tecnica, che sostiene una vocalità ben calibrata. La scena “Cortigiani, vil razza dannata” è uno dei punti più alti della serata, ben scandita, interpretata in maniera coinvolgente, precisissima; altre vette della serata sono i duetti con Gilda (da “Figlia! Mio padre!” a “Ah! Solo per me l’infamia”), una Aleksandra Kubas-Kruk in stato di grazia: le voci dei due cantanti sembrano fatte l’una per l’altra, entrambe di un lirismo struggente. Ma la prova della Kubas-Kruk si può definire complessivamente ottima: l’interpretazione di “Caro nome” o di “Tutte le feste al tempio” sono di altissimo livello: dall’intonazione praticamente perfetta, l’emissione pulita e controllata, le cadenze e le agilità aeree e precise. Da tempo non si sentiva una soprano lirica non solo di questo livello vocale, ma anche scenicamente preparata e disinvolta. Terzo elemento molto positivo del cast è Stefan Pop, che nel ruolo del Duca di Mantova si riconferma cantante di solida levatura: dotato di una voce dalle venature metalliche, dai centri robusti e dagli acuti squillanti, si percepisce qua e la qualche imprecisione (è evidentemente emozionato) che non vanno a inficiare le qualità vocali  che gestisce con i giusti volumi sia i momenti lirici, sia quelli più irruenti. Una prova pienamente soddisfacente. Anche gli interpreti dei ruoli secondari si sono dimostrati all’altezza: lo Sparafucile di Andrea Comelli è cavernoso, potente, sufficientemente preciso; la Maddalena di Sofia Janelidze ha il giusto peso vocale adeguato al ruolo e dà il suo buon apporto al quartetto del terzo atto (ove spesso, invece, la voce di Maddalena scompare); vibrante e corposa anche l’interpretazione di Fulvio Fonzi nel ruolo di Monterone; corrette anche le prove di Serena Muscariello (nel doppio ruolo di Giovanna e della Contessa di Ceprano), Stefano Marchisio (anch’egli sia Marullo che l’Usciere di Corte) e Didier Pieri (Borsa). La regia di Paolo Gavazzeni Piero Maranghi è dichiaratamente tradizionale, come mostrano soprattutto i bei costumi di Nicoletta Ceccolini: non manca di fascino la cornice lignea che corre lungo il boccascena, così come sorprende piacevolmente l’inizio a tableau vivant (anche per merito della suggestiva illuminazione di Emiliano Pascucci, per tutto il dramma attento alle ombre tanto quanto alle luci); sembra meno riuscita la scenografia di Leila Fteita, troppo scarna, e a tratti troppo moderna per un’ambientazione cinquecentesca – delude, ad esempio, nel terzo atto, dove ci si aspetterebbe qualcosa di più grottesco, di più gotico, e invece tutto si risolve in un tavolo, due sedie e una scaletta. Il punto più incerto di questa godibile performance rimane, tuttavia, l’orchestra: il Maestro Marco Beltrami, che generalmente dà buona prova di sé, stavolta ha fornito una direzione disomogenea, con la prima scena del primo atto rubatissima (ne è riprova la difficoltà di tutti i cantanti nel mantenere quel ritmo, specie nella già mossa “Questa o quella, per me pari sono”), mentre più morbida è stata la gestione del resto dell’opera, con un chiaro picco nell’attenzione riservata ai colori lugubri ed evocativi del terzo atto. A parte questa direzione un po’ troppo “emotiva”, alcuni suoni tra gli archi sono apparsi mal controllati, mentre l’apparato di legni e ottoni ha fornito una valida prova d’insieme. A coronare la piena riuscita della serata, anche la prova del Coro dei Conservatori “Cantelli” di Novara e “Vivaldi” di Alessandria, sotto la guida del Maestro Marco Berrini
, attento alla resa scenica oltre che agli esiti musicali. Il pubblico al termine dell’esecuzione regala lunghi minuti di applausi a tutti gli interpreti, con chiare e giuste ovazioni a De Candia e alla Kubas-Kruk.