Antonio Sacchini (1730 – 1786): “Renaud” (1783)

Tragédie-lyrique in tre atti su libretto di Simon Joseph de Pellegrin nella revisione di Jean Joseph Lebœf. Marie Kalinine (Armide), Julien Dran (Renaud), Jean-Sébastien Bou (Hidraot), Pierrick Boisseau (Adraste, Arcas, Tissapherne, Mégère), Julie Fuchs (Une Coryphée, Mélisse), Katia Velletz (Doris, Une Coryphée), Chantal Santon (Antiope), Jennifer Borghi (Iphise), Cyrille Dubois (Tisiphone, Une Chevalier), Pascal Bourgeois (Alecton), Les Chantres du Centre de musique baroque de Versailles. Olivier Schneebeli (Maestro del coro), Les Talens lyriques, Christophe Rousset (direttore). Registrazine: Metz, ottobre 2012. 2 CD Ediciones Singulares, ES 1012,  Palazzetto Bru collezione “Opéra francais”
 
I soggetti cavallereschi godettero di un particolare interesse nella Francia degli ultimi decenni pre-rivoluzionari; se, infatti, il genere era sempre stato frequentato in ambito italiano – basti ricordare i titoli ariosteschi di Vivaldi ed Händel per farsene un’idea –, in Francia l’assoluta prevalenza di soggetti tratti dalla mitologia classica aveva posto quelli cavallereschi in una posizione di marginalità così che la loro riscoperta sembrò a molti la via principale per rinnovare il repertorio nazionale in antitesi a quello della nostra nazione dove apparirono soggetti più compromessi con l’estetica barocca cui si contrappose il rigore del nuovo classicismo arcaizzante.
Ed è un soggetto cavalleresco quello che segna nel 1783 il debutto parigino di Antonio Sacchini, il compositore fiorentino – ma di formazione napoletana – che, pur essendo stato trionfatore della scena londinese, fu costretto a lasciare la capitale britannica travolto dai debiti e da intemperanze caratteriali. A portarlo a Parigi era stato l’amico Framey che, ben introdotto negli ambienti musicali della capitale francese, aveva ottenuto per lui un incarico all’Accademie Royale de Musiques che, secondo una prassi frequente al tempo, gli affidò un vecchio libretto, per l’esattezza quello che nel 1722 Jean Joseph Lebœf aveva molto liberamente tratto da Tasso – tramite l’omonima tragedia di Simon-Joseph de Pellerin – per Henri Desmarets come ideale seguito dell’”Armide” di Lully/Quinault. Il tema non era nuovo per Sacchini che già nel 1772 aveva scritto un’”Armida” per il Teatro Ducale di Milano poi riadattata con il titolo “Rinaldo” per il King’s Theatre di Londra nel 1780; una curiosità riguarda i primi interpreti del ruolo di Rinaldo a Milano e a Parigi, rispettivamente, il castrato Millico, e  il tenore Legros, il primo Orfeo italiano – che sostituì Guadagni a Parma nel 1769 – e il creatore del ruolo nella versione francese della stessa opera.
Andata in scena il 28 febbraio 1783, l’opera fu vittima del fuoco incrociato dei contrapposti partiti culturali del tempo; fu, infatti, attaccata al contempo sia dai partigiani di Gluck per l’eccessivo compiacimento nei confronti del virtuosismo e della facilità melodica sia dagli italianisti che la bollarono di gluckismo – quanto è difficile pensare ad universi espressivi molto diversi dall’eroico rigore del tedesco e dal morbido e sensuale melodismo del fiorentino. Il tiepido risultato della prima segnò una scarsa diffusione dell’opera finché il trionfo postumo dell’”Oedipe a Colone” produsse un ritorno di interesse anche per il “Renaud” che venne a contare 156 rappresentazioni fino al 1815.
Meritati il fiasco o il trionfo? All’ascolto si direbbe una giusta via di mezzo; l’opera ha palesemente delle debolezze soprattutto sul piano drammaturgico dove il libretto mostra tutta la sua inconsistenza fino a quel lieto fine già forzato e posticcio nel 1722 e decisamente duro da accettare per il pubblico degli anni 80 ormai avvezzo a ben altro rigore teatrale. Inoltre la tematica eroica e marziale non era di certo particolarmente consona alle corde di Sacchini così che può ritrovarsi una scissione fra testo e musica che in quegli anni doveva essere molto sentita. Di contro la musica in sé è di notevole fascino, in quanto Sacchini dispone di una vena melodica naturale e di un altrettanto spiccata propensione alla cantabilità e di una straordinaria capacità di integrare un declamato melodico libero ed espressivo di derivazione gluckiana con riprese di un virtuosismo di tradizione italiana fusi fra loro in modo perfettamente compiuto. Nella versione di Sacchini la storia di Rinaldo e Armida si spoglia della dimensione magica ed eroica e viene ricondotta ad una vicenda di passioni e affetti; Renaud, più che un eroe, è un cavaliere galante e raffinato ed Armide anche nei suoi furori vede prevalere la donna delusa – ma sempre con un sottofondo di amore emergente – alla maga infernale. Un’altissima ispirazione caratterizza i momenti più lirici come i duetti fra gli amanti intrisi di una melanconica sensualità di sapore quasi mozartiano. Un’opera quindi forse teatralmente debole ma di gradevolissimo ascolto discografico specie se eseguito con questa qualità musicale.
Questa incisione  punta sull’interpretazione ideale di Christophe Rousset alla guida dei suoi Les Talents lyrique che trovano in un’opera come questa il terreno ideale per esaltare i loro meriti avendo sempre fatto proprio vanto della cantabilità, della morbidezza del suono e dei timbri perfetti per le seriche e sensuali melodie di Sacchini. Inoltre Rousset è sempre quel prodigio di pulizia, rigore e senso dello stile che ben si conosce, così che è difficile pensare ad un’esecuzione più convincente di questa sul piano orchestrale. Il cast è inoltre molto buono.
Marie Kalinine è ormai una specialista del ruolo della maga avendolo cantato anche nell’opera di Niquet e vocalmente è perfetta per il ruolo, essendo soprano corto o mezzosoprano chiaro dalla voce morbida capace non solo di dare la giusta suggestione alla sublime “Et comment veux-tu”, forse il momento di più alta ispirazione dell’opera, ma di reggere bene anche la scena di furore “O disgrace cruelle”, interessante nella ripresa dei modi dell’aria di furore come purificati di certi eccessi vocali alla luce dell’intimismo generale. Julien Dran coglie subito la natura lirica e galante di Renaud che già nell’aria di sortita rinuncia a toni stentorei o drammatici per un lirismo luminoso e cavalleresco in cui la voce del tenore si trova particolarmente bene con il suo timbro chiaro e l’eccellente musicalità che gli consentono di risolvere l’impervia e quasi händeliana aria con tromba “Deja la trompette”. Jean-Sébastien Bou canta molto bene e ha un innegabile senso dello stile ma la voce è forse troppo chiara, troppo baritonale per Hidraot la cui scrittura sembrerebbe richiedere un basso anche se con buona facilità in acuto. Molto brava Julie Fuchs, chiamata a cimentarsi nell’impervia aria di chiusura della Corifea dove dimostra ottima tecnica nella coloratura e facilità nel sostenere l’impervia tessitura. Chantal Santon (Antiope) con la sua voce chiara e luminosa di soprano lirico crea un efficace contrasto con Armide. Tra le parti di fianco si segnala l’intensa espressività di Pierrick Boisseau nell’intenso recitativo della morte di Adraste, mentre nei ruoli delle compagne di Armide ritroviamo alcune abituali presenze di queste incisioni come Kathia Velletaz (Doris) e Jennifer Borghi (Iphise), assolute specialiste di questo repertorio così che il brillante terzetto che apre il terzo atto riesce al meglio. Completano il cast Cyrille Dubois (Tisiphone) e Pascal Bourgeois (Alecton) che insieme a Boisseau formano il terzetto delle furie affidato come da tradizione francese a tre voci maschili.