Al San Carlo di Napoli risorge “Giselle”

Napoli, Teatro di San Carlo, Stagione di Balletto 2014 – 2015 
“GISELLE”
Balletto in due atti di Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges da Théophile Gautier
Musica Adolphe Adam
Coreografia Jean Coralli – Jules Perrot
Ripresa coreografica Ljudmila Semenjaka
Giselle SVETLANA ZAKHAROVA / ANNA CHIARA AMIRAMTE (matinée)
Il Principe Albrecht RUSLAN SKVORCOV / ALESSANDRO STAIANO (matinée)
La Principessa Bathilde  ANNALINA NUZZO
La madre di Giselle ALESSANDRA VERONETTI / NATALIA MELE (matinée)
Hilarion EDMONDO TUCCI /ERTRUGREL GJONI (matinée)
Wilfried MASSIMO SORRENTINO
Passo a due contadini  CLAUDIA D’ANTONIO, SALVATORE MANZO
Myrtha, Regina delle Willi LUISA IELUZZI
Due Willi ANNA CHIARA AMIRANTE, ANNALINA NUZZO
Corpo di Ballo e Orchestra del Teatro di San Carlo
Direttore Aleksej Baklan
Maître de Ballet e Assistente alla Coreografia Lienz Chang
Scene Raffaele Del Savio 
Costumi Mario Giorsi e Giusi Giustino
Napoli, 15 aprile 2015 (matinée) e 17 aprile 2015        

Giselle torna al San Carlo e risorge. Siamo in pieno periodo di Willi, nei teatri italiani, e vista la possibilità di approfondimento sul balletto più studiato in assoluto al nostro link (sempre a firma di chi scrive), ci concediamo il lusso di prendere subito in dettagliato esame questo allestimento della Fondazione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino messo in scena al Teatro di san Carlo di Napoli, nella versione di Ljudmila Semenjaka. Senza dubbio un successo. Senza dubbio un fertile terreno di riflessione per un’analisi del modo di danzare un classico oggi, della sua ricezione e di come lo affronta una compagnia finalmente ringiovanita e rigenerata quasi del tutto. Ospite attesissima è la diva assoluta del balletto mondiale, Svetlana Zakharova. Accolta a Napoli sempre con grande calore ed entusiasmo (ha dedicato un incontro ai fans nel Foyer del Teatro fra la prima e la seconda recita), acceca il pubblico con la sua bellezza, con le sue proporzioni gentili e perfette, con la sua tecnica impeccabile e infallibile. Sa essere “trasparente” come un fantasma, ma è meno convincente come contadina. E su questo pare ci sia una certa unanimità di giudizio, da parte della critica. Ma è il “perché” che non viene quasi mai fuori. Tralasciando la sette-ottocentesca (se pur valida) regola delle proporzioni previste per il carattere di campagna, il punto è l’utilizzo della tecnica in maniera strumentale per la definizione del soggetto. Ne diamo un facile esempio ricordando la “coda” del Passo a Due finale del secondo atto. Più che i critici, gli storici della danza e i musicologi avranno avuto un sobbalzo al momento dei temps levé sostenuti da Albrecht, quelli che dovrebbero sospingere, impalpabili, Giselle da una parte all’altra del palcoscenico. Proprio lì, sui tempi così ben scanditi dalla partitura di Adam come il battito di un cuore, la zarina della danza procede con ampi e brillanti grand jetés  tenuti per due tempi ciascuno, noncurante della tipologia di ritmo. Poco prima, alla stessa maniera, nella diagonale finale dell’assolo dei fiori (nello stesso Passo a Due) la nostra beniamina non si prende la briga di procedere gradualmente nell’apertura dei soliti grand jejés e va quasi subito alla grandissima. Il punto è sempre lo stesso: non è guardare il pelo nell’uovo o voler trovare qualcosa da dire a tutti costi. È un’evidenza forte a un livello così alto. E questo è l’esito di un certo appiattimento derivato dalle evoluzioni tecniche che tutta la gioventù senza un retroterra culturale adeguato si aspetta. Si dice questo in continuazione, ma non si spiega ai giovani ‒ sempre più fanatici di extra-estensioni ‒ il motivo. Perché Giselle è un balletto di anima. E non aggiungiamo altro, perché siamo già oltre la lunghezza di una normale recensione (ma non ce ne facciamo un cruccio). Se non si conosce l’essenza del balletto non si può leggere Giselle in una maniera che non sia superficiale.
Ma la grandezza di Svetlana Zakharova non verrà meno per questo motivo. Il pubblico in delirio l’ha omaggiata con entusiasmo e calore, perché è così che si accoglie una Star. Il suo meritatissimo successo planetario risiede nella sua persona. Sembra un paradosso, ma appare quasi più bella nelle pose par terre o nelle arabesques sospese a quarantacinque gradi. Anche se, quando danza Giselle, noi vediamo Odette. Perché lei è nata Cigno. E questo per parlare solo dell’atto bianco, in cui Zakharova esprime al meglio le proprie qualità. Suo partner, un tiepidissimo Ruslan Skvorcov, del Balletto del Bol’ŝoi di Mosca. E qui casca l’asino, per dirla in maniera colloquiale, perché dobbiamo porci alcune domande. Indipendentemente dallo spessore del ruolo, la prima cosa che ci sarebbe da obiettare è che la presenza di un ospite così apparirebbe superflua, quando il primo ballerino del Teatro di San Carlo, Alessandro Macario – peraltro al culmine della sua carriera ‒ avrebbe potuto tranquillamente affiancare la splendida Étoile ospite senza nulla invidiare al Guest. Le dinamiche di queste cose, si sa, sono spesso controverse, ma crescita del Corpo di Ballo di un Teatro si misura anche in questi esiti.  Ognuno ha il suo modo di interpretare, ma ci si aspetterebbe che l’ospite superi i padroni di casa. Sul versante maschile così non è stato. E non per chissà quali pecche sfolgoranti: abbiamo potuto ammirare potenza nel salto e fisicità tipicamente russe, ma nessun guizzo artistico. La stessa pantomima aveva un sapore arcaico (il gesto della fanciulla che è “al bacio” parlava da sé) e la scena finale  – in cui addirittura dopo tutto quello che è successo Albrecht si preoccupa di recuperare il mantello – è stata a dir poco anonima. A causa di un infortunio, Ruslan Skvrcov è stato sostituito da Sergei Polunin, venticinquenne ucraino  con un passato al Royal Ballet e attualmente Primo ballerino allo Stanislavsky Music Theatre di Mosca, nell’ultima recita del 18 aprile. Se il Principal di casa è terzo cast, forse c’è un problema. Con tutto il rispetto per i grandissimi artisti invitati senza i quali non sarebbe possibile uno scambio artistico stimolante e proficuo, ma, relegando le punte (valide) della nostra piramide ufficiale alle pomeridiane, il San Carlo non troverà riscontro da parte del grande pubblico per gli artisti di casa.
Qui si potrebbe aprire un altro importante discorso, perché, oltre al primo cast, abbiamo seguito quello che gerarchicamente è agli antipodi, e cioè i giovani delle matinée. Precisamente la coppia Anna Chiara Amirante – Alessandro Staiano. Eh già, è proprio lui il vincitore del nostro Oscar come miglior talento emergente ma, per tutta risposta, non si è visto in nessun serale in ruoli da solista e ha interpretato Albrecht per una sola matinée (primo atto). Le recite sono state indubbiamente poche e non è stato possibile far danzare tutti i giovani meritevoli (e ce ne sono), ma questo “occultamento” momentaneo di un giovane promettente ci mette sull’allerta, perché il passato è dietro l’angolo e si spera che non si torni indietro in nessun modo. A buon intenditor poche parole. In quanto a presenza scenica, nonostante l’inesperienza su un ruolo nuovo che necessita ancora di studio e approfondimento, possiamo dire senza troppi timori che anche Staiano avrebbe potuto far da cavaliere a Svetlana Zakharova senza invidiare nulla all’ospite russo. A dimostrazione della Scuola maschile partenopea. La “promiscuità” giovane promessa/stella affermata – si sa – è in genere  solo proficua. Nureyev ebbe la possibilità di crescere artisticamente con la grandissima “Mamma Margot” (Fonteyn); Roberto Bolle deve molto ad Alessandra Ferri. Affiancare un nostro giovane a una stella o una nostra promettente danzatrice a un partner con esperienza sarebbe il massimo (anche gli incassi potrebbero giovarne, perché ci sarebbe costantemente un nome in cartellone). Ammesso che le stelle scendano dal piedistallo e si prodighino in tal senso. Anna Chiara Amirante è stata una Giselle molto piacevole. Formatasi alla Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo diretta da Anna Razzi, semplice e delicata, per corporatura e finezza tecnica è apparsa ben adatta al ruolo, nonostante l’inevitabile difficoltà legata alla scena della pazzia, che necessita ancora di approfondito studio. Ma è solo una questione di tempo. Se ragazzi così non troveranno presto la possibilità di danzare per il grande pubblico in pomeridiane o serali a versione integrale, difficilmente potranno far sbocciare il loro talento. Ritornando al primo cast, Edmondo Tucci, primo ballerino del Teatro, ha portato in scena il personaggio più convincente della serata. Il suo Hilarion ha avuto la giusta intensità emotiva e musicale, la pantomima più corretta. E qui si aprirebbe un altro lungo capitolo, che sintetizziamo. L’aspetto pantomimico è apparso quello più debole perché  ‒ come accade spesso in molte produzioni di Giselle – si trascura il dettato musicale. Statico e fiacco l’insieme nella scena della follia, ma anche al principio: alla fine della scena della margherita, solo l’Hilarion di Tucci è stato impetuoso come di dovere, mentre i due protagonisti sembravano emotivamente assenti.
Il Passo a Due dei contadini, gioiello di virtuosismo e vetrina per i più giovani,  è stato eseguito alla perfezione da Claudia D’Antonio, perfetta nelle pirouettes e nei passaggi più difficili, e Salvatore Manzo, che ha “ricamato” ogni momento tecnico con precisione e sicurezza. Una menzione particolare merita Luisa Ieluzzi, molto brava nel ruolo di Myrtha. Con sicurezza e precisione non ha fatto una piega, reggendo al meglio il confronto immediato con un mostro sacro come Zakharova. Degna di nota la Bathilde di Annalina Nuzzo: personaggio mai menzionato perché comparsa di pantomima, è apparsa in questo allestimento particolarmente avvenente (complici il meraviglioso costume).
Il corpo di ballo, sempre più in forma grazie alle cure del Maître de  Ballet e Assistente alla Coreografia Lienz Chang, è apparso compatto e musicale e nel secondo atto ha strappato un grande applauso nel famoso incrocio di arabesques glissé. Erano decenni che non si vedeva un atto bianco così a Napoli. Se non si sfrutta questo momento ci si dà letteralmente la zappa sui piedi. Le difficoltà ci sono sempre, ma la qualità è fonte certa di successo (e di incassi). Bellissime le scene di Raffaele De Savio, come i costumi di Mario Giorsi e Giusi Giustino. Un decor raffinato e ricco. L’orchestra, diretta da Aleksej Baklan, ha eseguito con delicatezza la partitura di Adolphe Adam. Tutte le recite hanno visto alternarsi, oltre al primo cast, gli artisti cubani Yolanda Correa e Yoel Carreňo e la coppia Anbeta Toromani (al suo debutto nel ruolo) e Alessandro Macario.
Se la riuscita di uno spettacolo è un lavoro di equipe (e Giselle docet), è doverosa un’ultima nota sui programmi di sala. Importante corredo agli spettacoli di balletto nel corso dei secoli, sono stati per anni fonte di importanti notizie per gli studiosi. In epoca contemporanea hanno accolto i contributi di storici e musicologi, tanto da essere citati nelle bibliografie di studi scientifici (i programmi di sala del Teatro La Fenice di Venezia ne sono un bell’esempio). Questo si sta purtroppo perdendo e le notevoli spese tipografiche per la stampa di tante meravigliose foto non trovano corrispondenza nelle scritture proposte, che invece di guidare lo spettatore (competente o meno) e approfondire aspetti importanti di un’arte non solo visiva, stanno perdendo in qualità e consistenza.
Peccato per noi, che dopo questa fugace apparizione di un allestimento del grande repertorio classico non avremo, in questa stagione, altri grandi titoli da ammirare nello Teatro che tutto il mondo ci invidia. Foto Francesco Squeglia