Ho appeso l’ugola al chiodo: intervista al tenore William Matteuzzi

Intervista a uno dei più autorevoli interpreti del grande repertorio belcantista italiano: il tenore di origini emiliane William Matteuzzi.
Allora William, hai appeso “l’ugola al chiodo”?
Direi di si, con il teatro penso proprio di avere chiuso. Nel 2001 ho cantato “Il cappello di paglia di Firenze” ad Atene, poi ho registrato l’”Orfeo” e “L’incoronazione di Poppea” di Monteverdi e stop alle opere. Potrei tornare a cantare ma solo in disco.
A proposito del tuo Orfeo devo dire che hai fatto un lavoro pregevolissimo:un equilibrio pressoché perfetto tra espressività e virtuosismo…

Ti ringrazio. Sono partito dall’idea che questa registrazione di “Orfeo” potesse essere la mia ultima incisione. Volevo ancora di più dare il meglio di me.Ho studiato la parte dal gennaio fino all’inizio delle registrazioni, nell’ottobre 2006.
Credo proprio che, con questo “Orfeo”, hai rotto quella sorta di barriera invalicabile tra il cantante d’opera tradizionale e i cosiddetti “specialisti del barocco”…

Credo che nel canto barocco si stia facendo un po’ troppo dell’esercizio di stile, perdendo di vista la componente teatrale. Un po’ d’anima anche nelle opere barocche non guasterebbe! Certi “specialisti” spesso sono inerti e con fraseggio incomprensibile, eludendo quelle che sono le regole primarie del “recitar cantando”. Sono altresì convinto che, qualsiasi voce duttile possa cantare il repertorio antico.
Tornando a te. Quali sono state le ragioni che ti hanno spinto ad abbandonare le scene?
Sono molteplici. La prima è legata al fatto che ho sentito il bisogno di riprendere in mano la mia vita. Al teatro ho dato praticamente tutta la mia giovinezza. Ho iniziato a cantare che non avevo ancora 18 anni e sulle scene ho interpretato più di un centinaio di ruoli. A questo aggiungi dei problemi fisici che hanno trasformato il piacere del cantare in una vera e propria sofferenza.
Problemi fisici dovuti a?…

A ben 4 interventi chirurgici al naso, uno più disastroso dell’altro: il primo per aggiustarmi il naso che mi ero rotto ancora da ragazzino. Da questa operazione, che avrebbe dovuto essere risolutiva, sono scaturite altre problematiche, mai risolte, che mi hanno portato sotto ai ferri per essere sempre nelle stesse condizioni, con riniti e altri problemi legati alla respirazione.
Immagino come sia stato difficile cantare…

Puoi ben dirlo. Dopo ogni intervento subito, ho dovuto reinventarmi una tecnica di emissione. Condannato all’areosol, mi ci dovevo attaccare a ogni intervallo tra un atto e l’altro di un opera. Capisci che, a un certo punto, non ne puoi proprio più!
Pensa che, sul web, è apparsa anche l’ipotesi che ti sei fatto operare alle corde vocali per avere una maggiore estensione nel registro acuto…

Certo che su internet ne girano di cazzate!
Certo, comprensibilissimo, e sei così passato ad insegnare canto…

Avevo iniziato a insegnare quando ero in carriera. A poco a poco mi sono trovato sempre più coinvolto in questa attività. Così la scelta di abbandonare le scene è stata quasi un obbligo. Se decidi di prendere degli allievi li devi seguire, non puoi lasciarli dei periodi, a volte anche piuttosto lunghi per andare a cantare.
Certo. Senti, parliamo un po’ di te. Qual è il tratto principale del tuo carattere?
Credo la determinazione.
Il tuo principale difetto?
Avevo l’esplosione facile. Da quando insegno sono riuscito a sviluppare un maggiore autocontrollo, ma ogni tanto capita che perdo le staffe e maltratto gli allievi, non senza una ragione però.

Quali sono i limiti delle nuove generazioni di cantanti?…
Le voci non mancano, se mai manca un approccio serio allo studio, il rigore. Spesso e volentieri studiano le arie ascoltando le registrazioni di altri cantanti e non al pianoforte, nota per nota.Si è anche radicata l’idea che avere prestanza fisica sia la carta vincente per la carriera. Davanti a questi atteggiamenti esplodo!
Hai ragione. Torniamo a te. Segno zodiacale?
Sagittario.
Superstizioso?
Direi proprio di no.
Cosa volevi fare da grande?
Non saprei cosa risponderti. Sono sempre stato un sognatore ma con i piedi ben piazzati a terra. Sono cresciuto nella campagna bolognese, nella casa dei miei nonni. Ero una specie di selvaggio,scorazzavo per i campi e non dicevo una parola in italiano, solo in dialetto bolognese. Ti lascio immaginare il trauma al mio ritorno in città!
La tua famiglia ha influenzato le tue scelte ?
No. Non sono stato influenzato dalla mia famiglia. Certo, quando vivi in una situazione dove la preoccupazione principale era quella di riuscire a fare due pasti al giorno, decidere di fare il cantante non è stata accettata con grande entusiasmo, però non venni nemmeno ostacolato.Ovviamente ho dovuto lavorare per pagarmi le lezioni di canto. 
La musica è stata una vocazione?

Si può dire che sono stato “folgorato”. Da ragazzino ho sempre avuto il pallino per le imitazioni…
Vero, ricordo che imitavi la Callas…
Si, ma prima di imitare Maria, mi dedicavo molto più banalmente ai cantanti di Sanremo, fino al momento in cui non mi capitò tra le mani un disco di arie d’opera interpretate da Virginia Zeani e da Nicola Rossi Lemeni. 
E cominciasti a cantare l’opera…

Si. Ero un adolescente nel momento della muta vocale e. cosa incredibile, cantavo in ruoli da basso, come il Filippo II del “Don Carlo”,per poi lanciarmi nel “Sempre libera” dalla “Traviata”. Fu comunque da qui che partì la mia passione per l’opera, poi venne lo studio, la carriera ed eccomi qua, a chiudere il cerchio. 
Rimpianti?

Assolutamente no. Aldilà delle problematiche fisiche che ti ho detto, è cresciuto in me il disagio nei confronti dell’ambiente teatrale e dei suoi meccanismi.
Cioè?
Non sono mai stato un “mondano”. Raramente andavo ai ricevimenti dopo una “prima”. Non mi sono mai messo in mostra o frequentato gli ambienti “che contano” ai fini della carriera. In parole povere non sono mai stato capace di “vendermi”, provando invece una grande irritazione nei confronti di chi,soprattutto gli agenti, mi rimproveravano questo mio essere “poco visibile”. 

Ma sei una persona molto cordiale e che ama la compagnia, o almeno dai questa impressione…
Amo stare con pochi amici, cucinare per loro e trascorrere una serata, conversando e anche divertendosi.
I tuoi rapporti con il mondo gay?
Direi nulli.Non mi ritrovo nemmeno nella parola “gay”. Non ho mai frequentato “locali”, ho pochissimi amici gay e rifiuto lo stile di vita tendenzialmente “puttaniero” della maggior parte dei gay.
Ok. Ma non ti senti un po’ isolato?
Assolutamente no. Se poi fai riferimento al sesso, ti dico in tutta sincerità che Dio,o chi per lui, mi ha fornito di due mani:una per il telecomando e l’altra per…le seghe!
Ti sei mai preso qualche rivincita?
Se intendi in campo professionale, direi di no. Certo non dimentico chi mi ha fatto delle cattiverie. Meglio che mi eviti.
Il libro che ti ha segnato?
Sono un lettore disordinato, istintivo.Riesco a leggere solo quando sono in vacanza, in completo relax.
Che importanza dai al denaro?
Credo di avere un rapporto equilibrato con il denaro Non sono uno sprecone e nemmeno mi privo delle cose che mi interessano, soprattutto oggetti per la casa. Non ho mai avuto nessun interesse per gli abiti “griffati”.
Raccontami un tuo sogno ricorrente?

Dormo troppo poco per avere un’attività onirica. Il mio, più che dormire è un dormiveglia.
Di che cosa hai paura?

Basta guardarsi intorno e non c’è da stare molto allegri: il genere umano mi sembra più indifferente ed egoista.
La situazione più rilassante?
Una passeggiata in campagna a contatto con la natura, circondato dal silenzio.
Materia scolastica preferita?
Premettendo che non sono mai stato un gran studioso, amavo la mitologia e la storia antica.
Città preferita?
Amo molto la tranquilla bellezza di certe città di provincia. In Italia ci sono tantissimi i luoghi straordinari, dai paesini dell’Umbria a città come Viterbo o Treviso. Fuori dai nostri confini, trovo bellissime Toledo e Siviglia. Non ho mai amato molto l’America, a parte San Francisco, collocata in una posizione splendida.
Colore preferito?
Il blu in tutte le sue sfumature.
Fiore preferito?
Le “peonie arbustive”. In giardino ne ho delle piante splendide, con fiori di una tale bellezza da sembrare finti.
Vacanza ideale?
Nella tranquillità di un centro termale e poter gironzolare nei dintorni.

Giorno o notte?
Non sono un animale notturno, quindi, il giorno.
Il film più amato?
Grandi classici, da “Via col vento” a “Che fine ha fatto Baby Jane” o ancora “Alta tensione” di Mel Brooks o “Dimenticare Venezia”.
Attrici e attori preferiti?
Sono decisamente retrò:Barbara Steinwick, Bette Davis,sono tra i primi nomi che mi vengono in mente. Tra gli uomini, Gregory Peck e, l’attore preferito della mia mamma: William Golden. Ne ho ereditato il nome, giusto quello, per il resto non sono propriamente uguale!
La stagione dell’anno?
La primavera.
Il posto dove si mangia peggio?
Ho sofferto a Malaga. Io non mangio pesce e lì non c’era alternativa. Ho rischiato di morire di fame.
Il tuo rapporto con il cibo?
Da buon emiliano.
Piatto preferito?
Il risotto o la pasta con i funghi porcini.
Vino rosso o bianco?
Non è molto tempo che bevo vino e solo a pasto e opto per il rosso.
Il cantante o la cantante preferiti?
Non sono obbligato a parlare di lirica, vero?
Certo che no…
Allora metto al primo posto Shirley Bassey, una cantante e soprattutto un’interprete straordinaria. Ho avuto la fortuna di poterla ascoltare a Londra. Cantava senza microfono con una potenza vocale eccezionale. Aggiungiamoci poi Edith Piaf e un “pizzico” di Billie Holliday, giusto un tocco, perché questa cantante ha anche la forza di…deprimermi.

Anche in questo caso, come nel cinema, hai puntato su interpreti di forte personalità…
Credo che avere una personalità interpretativa sia la chiave di volta di un artista, quella che ti rende unico. E’ un aspetto fondamentale anche nell’opera, trasformare le note in emozione è una delle cose più difficili.
A chi non conoscesse la tua voce, cosa le faresti ascoltare?
Credo che farei ascoltare un mio recital di musica antica intitolato “Dolci miei sospiri”.
Hai scelto un disco decisamente “cameristico”, un po’ per sfatare la tua leggendaria estensione vocale. Personalmente trovo che un altro tuo disco, quello che hai inciso per la “Bongiovanni” , rappresenti bene la dimensione sostanzialmente lirica ed espressiva delle tue interpretazioni…
Si, certo, ho sempre cercato di essere me stesso e seguire l’evoluzione della mia voce. A costo di ripetermi, per me è sempre stato fondamentale dare il giusto colore ed espressione a quello che cantavo. In tal senso, ho potuto fare un ottimo lavoro con Gloria Banditelli e Alfonso Antoniozzi, nell’incisione del “matrimonio segreto” o ancora nel “Barbiere di Siviglia”. Non sarò un Almaviva ideale, ma, anche in questo caso ho cercato di essere sempre espressivo e curato negli accenti.
A proposito di Rossini. Forse saprai che noi inseriamo un momento video che ti riguarda, pescando dal grande archivio di “You Tube”. La mia scelta è caduta su un tuo duetto con Lucia Valentini Terrani, da “Il viaggio a Reims”…
Mi fa piacere, in particolare per la presenza di Lucia alla quale sono stato molto legato. Un’artista straordinaria. Cantare con lei era elettrizzante, un’incredibile sferzata di energia.
Lucia Valentini Terrani, Marilyn Horne, Lella Cuberli, Martine Dupuy, Rockwell Blake, Chris Merritt, Samuel Ramey. Sono stati i grandi nomi della cosiddetta “Rossini renaissance”. Gli anni d’oro del ROF di Pesaro al quale anche tu hai dato un contributo notevole…
Dopo gli anni d’oro, ora si è arrivati a quelli “di piombo”.Che dire di quel periodo? Non si può che rimpiangerlo. Cantare, ma anche essere presente a quelle serate, era entusiasmante, galvanizzante. Gli applausi erano un’autentica esplosione con ovazioni da stadio. Oggi accade molto raramente.

Rossini è stato uno dei tuoi autori preferiti…
E’ stato uno degli autori che ho cantato di più, in particolare “Le Comte Ory”. Mi dispiace di non avere avuto l’occasione di registrarla in video nel fortunato allestimento firmato da Pizzi.
Il tuo repertorio ha sempre compreso ruoli tutt’altro che facili, compreso il temibile Arturo dei “Puritani” di Bellini. Quasi certamente sei stato uno dei pochi tenori che ha affrontato questo ruolo senza scendere a compromessi vocali…
Per me il problema nell’affrontare Arturo non è stato vocale, ma legato a una sorta di sudditanza psicologica. Proporre un Arturo “filologico” come il mio mi poneva in un confronto diretto con tutti i “tenoroni” che avevano cantato “I Puritani”.
Ti ricordi il primo disco che hai comprato?

Sinceramente no. Avevo chi me li prestava, perché non avevo molti soldi che giravano per le tasche. Ricordo che mi prestarono “La Gioconda” con la Callas e in pochi giorni cantavo tutti i ruoli. Quando cominciai ad avere qualche soldo compravo sempre dischi di voci “storiche” dei primi del Novecento. Mi hanno sempre affascinato,aldilà di aspetti tecnici che adesso possiamo anche mettere in discussione, la passione e la dedizione al canto che emergeva da quegli artisti.

Il tuo rapporto con la televisione?
Guardo qualche documentario, qualche film, se decente e poco altro.
C’è un orrore in tv?

Guardavo con occhio sadico la serata conclusiva del “Grande Fratello” per vedere la disperazione da “minorati mentali”, degli eliminati, o di chi attende l’esito del televoto! Veramente terribile!

William Matteuzzi è nato a Bologna. Ha iniziato lo studio del canto a diciassette anni con il tenore P. Venturi; si è quindi perfezionato con R. Celletti che lo ha avviato al repertorio belcantista, Rossini in particolare. Vincitore dei Concorsi ENAL e ASLICO (1979), ha esordito come Des Grieux nella Manon di Massenet. Nel 1980 ha vinto la prima edizione del Concorso biennale “Enrico Caruso” per soli tenori che gli ha consentito di essere ammesso al Centro di perfezionamento del Teatro alla Scala. Da allora ha affrontato un vastissimo repertorio che va da Vivaldi (Orlando Furioso) a Mozart (Cosí fan tutte, Don Giovanni, Idomeneo, ecc.) a Bellini (La sonnambula, I puritani), a Donizetti, La fille du régiment (La figlia del reggimento), a Offenbach, a Stravinskij (Mavra), ecc. La sua voce di tenore lirico leggero, estesissima (fino al fa e al sol sopracuto), agguerrita nel canto di agilità, di grande espressività, musicalissima e sempre attenta al fraseggio, lo ha fatto entrare a pieno titolo in quella ristretta cerchia di interpreti della “Rossini Renaissance”, sia nel repertorio buffo (La Cenerentola, La scala di seta, L’occasione fa il ladro, ecc.) sia in quello serio (Ermione, Zelmira, Armida, Otello, Ricciardo e Zoraide, ecc…). In tale repertorio si è esibito sui maggiori palcoscenici internazionali. Dopo aver cantato nell’ Agrippina di Handel (Lecce, 2000) e ne Il cappello di paglia di Firenze di Rota (Atene, 2001), si è esibito solo in sede concertistica e si dedica all’insegnamento.