Milano, Teatro alla Scala: “Il prigioniero”, “Il castello del duca Barbablù”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’Opera 2007-2008
“IL PRIGIONIERO”
Opera in un atto. Libretto e musica di Luigi Dallapiccola
La madre PAOLETTA MARROCU
Il prigioniero VITO PRIANTE
Il carceriere/Il grande Inquisitore KIM BEGLEY
Due sacerdoti GREGORY BONFATTI, DAVIDE PELLISSIERO
Scene Ferdinand Wogerbauer
“IL CASTELLO DEL DUCA BARBABLU'”
(A kékszakállú herceg vára)
Opera in un atto. Libretto di Béla Balász
Musica di  Béla Bartók
Il duca GABOR BRETZ
Judit ELENA ZHIDKOVA
Prologo EORS KISFALUDY
Scene Gaini Dessì
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
M.o del coro Bruno Casoni
Direttore Daniel Harding
Regia Peter Stein
Costumi AnnaMaria Heinreich
Milano, 20 maggio 2008
L’interesse di questa inusuale accoppiata, Dallapiccola e Bartok, erano il debutto del regista Peter Stein alla Scala e la bacchetta del giovane Harding con due lavori del ‘900 musicalmente opposti. Dallapiccola compone l’opera durante la Seconda guerra mondiale, traendola dal racconto “La torture par l’espérance” di Villiers de l’Isle-Adam con l’apporto di altre fonti tra cui “La rose de l’infante” di Victor Hugo e “La legende d’Ulenspiel” di Charles de Coster. Libretto dello stesso musicista, l’opera è prerogativa di proprie esperienze personali che mescolate alle fonti evidenziano l’angoscia e l’ansia di liberazione del protagonista, qui nelle mani dell’Inquisizione spagnola. Il linguaggio musicale rasente alla via della dodecafonia, si intrinseca di un canto lirico, spesso non compatibile, ma di sicuro effetto nel dramma di disperazione ed inquietudine. Efficaci e decisamente teatrali i tre protagonisti, pur con qualche riserva sul registro acuto della Marrocu e sullo spessore vocale di Priante.
Il Castello del Duca Barbablúè l’unica opera di Bartok fu paragonata da Kodaly come il Pelleas ungherese. Sicuramente l’aspetto dei miti e delle favole tanto in voga agli inizi del ‘900 tentarono anche il compositore, nella stesura di un’opera dall’atmosfera simbolica ed espressionismo musicale di forte contrasto ma di altrettante bellezza sonora. A fianco di un corretto ma poco incisivo protagonista, Gabor Bretz, troviamo una straordinaria Judit in Elena Zhidkova sia per efficacia interpretativa e temperamento sia per musicalità e vocalità. Daniel Harding concerta l’opera italiana con enfasi e precisa scansione, mentre a modo di esprimersi in modo magico nella partitura ungherese cogliendo appieno i contrasti timbrici con l’armonia di stampo lirico sconfinato: una grande prova del direttore inglese! Infine Peter Stein, il regista, non per ultimo semmai primo, che firma una doppia regia di memorabile bellezza. Nel Prigioniero sceglie una lettura dichiaratamente anticlericale e fa agire il protagonista in una claustrofobica prigione tetra, cogliendo nel finale un grande colpo di teatro: rogo del supplizio rappresentato da un fuoco quasi vero con i gli schiocchi a musica finita che ti inchioda sulla poltrona. Nel Castello invece si addentra nella narrazione quasi fantastica, favolistica, i protagonisti entrano in scena scendendo una scala, e sviluppa una chiave quasi introspettiva sul personaggio di Judit, che nell’aprire le porte apprende il triste vero del suo sposo attraverso l’elemento luminoso ad ogni apertura di porta, bellissima da dischiusa della quarta, il tesoro, con i giochi di laser, ma memorabile quella del giardino di una sofisticata e languida poesia.