Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’Opera e Balletto 2008/2009
“L’AFFARE MAKROPULOS” (Věc Makropulos)
Opera in tre atti.
Libretto e musica di Leoš Janáček
Emilia Marty ANGELA DENOKE
Albert Gregor MIRO DVORSKY
Conte Hauk-Sendorf PETER BRONDER
Dr. Kolenaty ALAN OPIE
Jaroslav Prus MARK STEVEN DOSS
Janek ERIC STOKLASSA
Vitek DAVID KUEBLER
Kristina JOLANDA FOGAS
Un macchinista ERNESTO PANARIELLO
Un’inserviente PAOLA GARDINA
Una cameriera ANNAMARIA POPESCU
Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Marko Letonja
Regia di Luca Ronconi
Scene Margherita Palli
Costumi Carlo Diappi
Milano, 20 gennaio 2009
Il Teatro alla Scala nell’interessante percorso di proporre i lavori teatrali di Leoš Janáček, dopo La piccola volpe astuta, Jenufa, Kata Kabanova, nell’attuale stagione allestisce L’affare Makropulos, novità per Milano non essendovi mai stata rappresentata. Janáček non è autore facile, ma le sue opere e la sua musica sono tra le più accattivanti del panorama novecentesco letterario, come il caso dell’Affare Makropulos, che debuttò a Brno nel 1926 e fu tratto da una commedia di Karel Capek, dove si evidenzia il mito della diva (cantante d’opera,in questo caso) un frequente cambiamento nella scrittura teatrale. La vicenda narra l’epilogo della lunghissima vita di Emilia Marty (337 anni) fascinosa cantante attrice nonché seduttrice, vissuta tanto grazie ad una pozione magica creata dal padre, ella pertanto avrà nel corso degli anni cinque vite differenti con altrettanti nomi le cui iniziali saranno sempre E.M. Ella cerca ora la “ricetta” della pozione incontrando antichi amori, o un giovane scapestrato innamorato, un notaio intraprendente, un’eredità contesa, in una vicenda che si intreccia di giallo; solo alla fine tutte le caselle tornano al proprio posto quando Emilia rivela la sua identità e darà le risposte a tutti i protagonisti. Il racconto è sviluppato dal compositore con musica nervosa ed energica, il canto è al limite del declamato quasi dodecafonico e sicuramente non siamo in presenza di un romanticismo come in Kata Kabanova, o di un “verismo” dell’est come in Jenufa, ma possiamo individuare uno spessore duro di armonia lucida guizzante scultorea. Opera che per la sua peculiarità,senza ariosi, melodie, ma canto di conversazione spesso sovrapposto, è costituita da temi brevissimi ed incisivi che tiene il passo ad una drammaturgia originalissima che inchioda lo spettatore nella continua ricerca della verità, del perché, del che cosa.Il bellissimo allestimento di Luca Ronconi spezzava nettamente tutto questo essendo in tre parti con due pause, quando si poteva svolgere il tutto in un atto unico (l’opera dura circa un ora e quaranta minuti). Si tratta comunque di un bellissimo spettacolo già collaudato anni fa sia a Torino sia Bologna: elegante , talvolta cupo, funereo, nel quale la recitazione domina sulla scena asciutta e inclinata (Margherita Palli), abbinata a costumi sontuosi (Carlo Diappi) espressione di un decadentismo sociale anni ‘20. Emilia era la brava Angela Denoke, incisiva e penetrante, forse a tratti poco sensuale, con lei il valido e impetuoso Miro Dvorsky, l’ottimo e mefistofelico Steven Mark Doss, Alan Opie un Dr. Kolenaty di grande spessore. Un lusso la presenza di Peter Bronder, eccellente attore e cantante, come per Eric Stoklossa simpatico e timido Janek, ma tutta l’intera compagnia si è mostrata eccellente. Ha concertato Marko Letonja, con braccio valoroso, ma a tratti anche pesante, con sezioni dell’orchestra non ben controllate, ma pur sempre nell’efficacia i una partitura di difficile interpretazione. Teatro non gremito con molte “fughe”negli intervalli. I pochi rimasti, alla fine hanno tributato un meritato successo a tutti.