Teatro Alla Scala di Milano – Stagione d’Opera e Balletto 2009/2010
“Da UNA CASA DI MORTI” – (Z mrtvÉho domu)
Opera in tre atti.
Libretto e musica di Leoš Janáček
Edizione critica a cura di C.Mackerras e J.Tyrrell
Aleksandr Petrovic Gojancikov, WILLARD WHITE
Aljeja, ERIC STOKLOSSA
Luka (Filka Morozov), STEFAN MARGITA
Il prigioniero alto, PETER STRAKA
Il prigioniero piccolo, VLADIMIR CHMELO
Il comandante, JIRI SULZENKO
Il vecchio prigioniero, HEINZ ZEDNIK
Skuratov, JOHN MARK AINSLEY
Cekunov, JAN GALLA
Il prigioniero ubriaco, THOMAS KREJCIRIK
Il pope, ALEKSANDAR STEFANOSKI
Il prigioniero giovane/voce fuori scena, OLIVER DUMAIT
La prostituta, SUSANNAH HABERFELD
Don Giovanni/Bramino, ALES JENIS
Kedril, MARINA PAVLOVIC
Sapkin, PETER HOARE
Siskov/Prima guardia, PETER MATTEI
Cerevin/seconda guardia, ANDREAS CONRAD
Con la partecipazione degli attori: Roberto Adriani, Antonio Amore, Stefano Annoni, Paolo Bufalino, Alessio Calciolari, Fabrizio Cantaro, Antonio Caporilli, Daniele Gaggianesi, Pietro Gandini, Enzo Giraldo, Karl Hoess, Igor Loddo, Pierpaolo Nizzola, Lorenzo Piccolo, Franco Reffo, Damyr Shuford
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore, Esa-Pekka Salonen
Maestro del Coro Bruno Casoni
Regia e scene di Patrice Chérau (in collaborazione con Thierry Thieu Niang)
Costumi di Caroline De Vivaise, Scene di Richard Peduzzi, Luci di Bertrand Couderc
Allestimento del 2007 in coproduzione con Wiener Festwochen, Holland Festival, Festival d’Aix-en-Provence e Metropolitan Opera House
Milano, 2 marzo 2010
Il Teatro alla Scala, proponendo nell’attuale stagione lirica “Da una casa di morti” di Leoš Janáček ha avuto coraggio, ma soprattutto ha realizzato una delle migliori messinscene degli ultimi anni. L’opera apparve nella Sala del Piermarini solo una volta, nel 1966 nella versione italiana, oggi invece, e giustamente, è proposta nella lingua originale e in un memorabile spettacolo che ha già debuttato nell’estate del 2007 al Festival di Aix-en-Provence. L’ultima opera del compositore moravo è singolare e vanta peculiarità non indifferenti. Innanzitutto Janácek completa i primi due atti ma non riesce a completare in “bella copia” la stesura del terzo, morirà nel 1928. L’opera verrà rappresentata postuma il 12 aprile 1930 a Brno, ma sia il direttore, sia il regista, cui va ad aggiungersi il compositore Osvald Chlubna, decisero di intraprendere una revisione: approntando una nuova stesura del libretto, rimpolpando l’orchestrazione e cambiando scelleratamente il finale in una specie di “happy end” ottimistico in sostituzione di quello ideato dall’autore, piu desolante e crudo. In questa versione venne rappresentata in varie località tedesche per poi essere bandita con l’avvento del nazismo. Fu ripresa a Praga nel 1958, nella cui occasione il direttore Jaroslav Vogel cercò di ripristinare le intenzioni originali di Janácek, iniziando così un cammino di crescente fortuna, pur non diventando mai opera di repertorio. Molti anni prima Luigi Illica propose il soggetto a Giacomo Puccini, il quale lo rifiutò convinto delle difficoltà per l’adattamento scenico e della stesura del libretto. L’opera è tratta dal romanzo di Fëdor Dostoevskij “Memorie da una casa di morti” (1861-62) di cui il compositore utilizza il testo rielaborato in forma libretto. E’ doverosa una precisazione: Dostoevskij fu realmente imprigionato in Siberia per motivi politici e questo suo romanzo è la testimonianza “alleggerita”di quel periodo perché scrivendo sulla società zarista non si poté esprimere liberamente per ragioni di censura e non solo. Considerando che al tempo la società Russa era impostata ancora su fasce sociali dove i “servi della gleba” non avevano dignità né umana né giuridica e si praticava la deportazione, le spaventose condizioni esistenziali e i sadismi polizieschi furono mascherati con una visione patetica e remissiva dei detenuti. Lo scritto, oggi introvabile nella traduzione italiana, resta comunque un’impressionante testimonianza di vita da internati e un documento letterario di grande impatto psicologico sull’umana dignità. Janácek, che nella sua carriera di operista ha sempre prediletto testi ove si affrontavano le vicende dei “diversi”, dei “deboli”, ha voluto porre un accento sia narrativo sia musicale in questa sua ultima opera di strepitosa importanza. Non vi è nessun protagonista: forse si potrebbe definire opera corale, dove i personaggi vengono messi in luce rappresentando le loro condizioni e i motivi della loro condanna. Lo stesso compositore sul frontespizio scrive: “In ogni creatura c’è una scintilla divina”, chiara compassione umana nei confronti dei detenuti e condanna del carcere duro inteso come efferata punizione. La musica, forte, cupa e profonda, pur nel suo ricco sinfonismo, risponde alla forte emotività del soggetto, anche attraverso una serie di temi musicali che si sviluppano con il procedere delle vicende umane dei personaggi. Il primo e il terzo atto, caratterizzati da una opprimente atmosfera di disperazione, si contrappongono simmetricamente al secondo che da uno spirito di vita illusoria ai carcerati. Patrice Chérau realizza una delle sue migliori produzioni, svincolandosi da una collocazione precisa, rendendo tutto particolarmente cupo e claustrofobico, ogni gesto, ogni azione rende perfettamente il clima di terrore, inerzia e abbandono della prigione, dove solo nel volo finale dell’aquila si intravede un vano barlume illusorio di speranza. Peduzzi asseconda il regista con un’impostazione scenica grigia e semovente di forte impatto glaciale, cui contribuiscono i significativi costumi di diverse epoche di Caroline De Vivaise e le strepitose luci di Couderc, cui spetta il compito di porre accenti drammatici di raffinata teatralità. L’orchestra e il Coro, in strepitoso stato di grazia, raggiungono vette eclatanti, guidati da un direttore come Salonen, preciso, trascinante, talvolta violento, ma sempre entro la concezione teatrale della partitura. Della folta schiera di personaggi si deve segnale la brillante prova di Peter Mattei, Stefan Margita e Willard White, i quali assieme a tutti gli altri hanno dato prova di essere autentici eclettici cantanti-attori, anche nelle piccole parti, Heinz Zednik ne è mirabile esempio. Pubblico molto partecipe ed attento che alla fine ha decretato un autentico trionfo.