“Roberto Devereux” all’Opera di Roma

Roma, Teatro dell’Opera – Stagione d’Opera e Balletto 2010
“ROBERTO DEVEREUX”
Tragedia lirica in tre atti su libretto di Salvatore Cammarano, dalla tragedia Elisabeth d’Angleterre di Jacques-Arsène-Francois-Polycarpe d’Ancelot.
Musica di Gaetano Donizetti
Elisabetta, regina d’Inghilterra CARMELA REMIGIO
Il duca di Nottingham  ALBERTO GAZALE
Sara, sua moglie  SONIA GANASSI
Roberto Devereux  GIANLUCA TERRANOVA
Lord Cecil BRUNO LAZZARETTI
Sir Gualtiero Releigh EZIO MARIA TISI
Un  paggio: GIUSEPPE AULETTA
Un familiare di Nottingham MASSIMO MONDELLI
Coro e orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Maestro concertatore e direttore Bruno Campanella
Maestro del coro  Gea Garatti Ansini
Spettacolo ideato da Alberto Fassini
Regia di Joseph Franconi Lee
Scene e costumi  David Walker
Disegno luci Agostino Angelini
Allestimento del Teatro dell’Opera
Roma, 6 ottobre 2010

Questa produzione del Roberto Devereux all’Opera di Roma è una ripresa di un celebre spettacolo del 1987 al quale all’epoca arrise un grande successo ed il cui allestimento era curato da Alberto Fassini, con Raina Kabaivaska grande protagonista. La produzione attuale è stata affidata al regista Joseph Franconi Lee il quale, sulla base dell’esperienza di una lunga collaborazione artistica con Fassini, ne ha curato la realizzazione. L’operazione può dirsi sostanzialmente ben riuscita ed ha consentito al pubblico di poter rivedere a distanza di anni uno spettacolo di impostazione tradizionale ma molto studiato nella cura dei particolari e assolutamente lineare nella narrazione della vicenda. Le scene ed i costumi erano gli stessi ideati da David Walker nell’allestimento originale, accuratissimo nella minuziosa ricostruzione dell’ambiente e soprattutto nella scelta e nel gioco dei colori. Il tutto è chiaramente ispirato dalla ritrattistica del tempo, dall’arazzo di Bayeux e dalle tinte delle dimora di Hatfield  e ricostruisce in maniera elegante ed efficacissima l’idea che è presente nell’immaginario collettivo dell’Inghilterra elisabettiana, sia per quanto riguarda la caratterizzazione dell’ambiente della corte, che il finale primo con il duetto nei giardini di Sara, dove le scelte cromatiche ben si fondono con le melodie donizettiane nel definire il clima della scena, dal sapore vagamente shakesperiano. Unico particolare per me incomprensibile soprattutto in un contesto così attento al colore, appare la scelta  della tinta della sciarpa, oggetto fondamentale nello svolgimento della vicenda, che sia nel testo poetico che nelle didascalie del libretto viene chiaramente e ripetutamente indicato come celeste e oro e che invece nello spettacolo si uniforma ai toni delle scene e dei costumi, privandolo in questo modo a mio avviso del dovuto risalto espressivo.
L’orchestra diretta dal maestro Bruno Campanella ha suonato sempre con eleganza, senza mai sovrastare le voci e conservando sempre il gusto di un fraseggio mai banale o ripetitivo e la cura di un suono sempre morbido e rotondo, anche nei non pochi momenti di forte tensione drammatica che la partitura prevede. E veniamo alla compagnia di canto che, pur attestandosi globalmente su un ottimo livello di professionalità, tuttavia non è riuscita a conferire allo spettacolo quel qualcosa che consente di compiere il passaggio dal raggiungimento di un buon risultato ad un trionfo, come invece era accaduto in occasione del precedente allestimento. Nel ruolo eponimo, il tenore Gianluca Terranova ha riscosso un notevole successo personale. Nonostante una presenza scenica non imponente ed una recitazione sostanzialmente corretta ma convenzionale, si è fatto apprezzare per la magnifica voce ampia, sicura e squillante e per la sentita realizzazione del personaggio di Roberto, interamente basata sulla sua bella vocalità. Alberto Gazale nella parte di Nottingham ha mostrato qualche segno di stanchezza nel registo acuto nella ripresa e nella conclusione della cabaletta ma si deve considerare che questa era la seconda di due recite consecutive. Tuttavia ha realizzato il proprio personaggio con elegante figura scenica ed ha cantato con bel timbro, senza eccessi e cadute di gusto e conservando sempre una linea di canto omogenea, nobile e sorvegliata. Sempre su un piano direi buono ma con risultati lievemente inferiori la prestazione di Sonia Ganassi nel ruolo di Sara. Ha reso con ottima musicalità, ma con un volume di voce non particolarmente ampio e qualche asprezza negli estremi acuti, le ansie ed i tormenti interiori del proprio personaggio, distinguendosi in modo particolare nel duetto con il tenore. E veniamo alla protagonista della serata, Carmela Remigio, nella lunga ed impegnativa parte di Elisabetta. Molto controllata e guardinga nell’aria d’esordio, misurata nel successivo duetto con il tenore, è andata via via crescendo nel corso dello spettacolo, fino alla celebre scena finale resa con molta musicalità, appropriatezza di accento e partecipazione, raccogliendo un successo senz’altro meritato. Una Elisabetta, quella della Remigio, sostanzialmente molto bel cantata, intonatissima e morbida nel dipanare  e sostenere le lunghe arcate delle melodie donizettiane, sia pure con un registro grave non molto sonoro e le agilità senz’altro ben eseguite ma direi non pirotecniche.
Tuttavia ciò che si avverte e lascia perplessi nella sua realizzazione del personaggio è un che di eccessivamente “voluto” nel declamato di alcune frasi ed il fatto che la recitazione si esprima attraverso una gestualità un pò troppo stereotipata che non appare nascere dall’interno della musica o dal personaggio stesso ma vi viene come sovrapposta in un modo che alla fine risulta un pò generico ed artificiale. Ma forse di questo potrebbe essere responsabile il regista. Discrete la parti secondarie e buona la prova del coro. Un appunto va fatto alla realizzazione del programma di sala, che è assolutamente superficiale ed impreciso e mostra un’eccessiva attenzione per la giustamente celebrata prima donna del precedente allestimento, in un modo che però definirei poco rispettoso per il comunque apprezzabile professionismo del cast atttuale. Infine peccato per i non pochi posti vuoti per uno spettacolo comunque di buon livello e che in ogni caso ha il merito di riproporre un’opera estremamente interessante sotto il profilo musicale e teatrale e di non frequente esecuzione.