Bologna, Teatro Comunale:”Tannhäuser”

Bologna, Teatro Comunale, Stagione lirica 2011
“TANNHÄUSER”
Opera romantica in tre atti (versione Dresda)
Libretto e musica di Richard Wagner
Tannhäuser IAN STOREY
Venus PATRIZIA ORCIANI
Elisabeth MIRANDA KEYS
Wolfram von Eschenbach MARTIN GANTNER
Hermann, Landgraf von Thuringen ENZO CAPUANO
Walter von der Vogelweide GABRIELE MANGIONE
Biterolf VALDIS JANSONS
Heinrich der Schreiber ARMAZ DARASHVILI
Reinmar von Zweter CHRISTIAN FARAVELLI
Giovane pastore GUANQUN YU
Quattro paggi ROSA GUARRACINO, FANNY FOGEL
NADIA  PIRAZZINI, LUCIA MICHELAZZO
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Stefan Anton Reck
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Regia e Luci Guy Montavon
Costumi Amelie Hass
Allestimento Theater Erfurt
Bologna, 23 gennaio 2011

Tannhäuser, nella versione di Dresda, è il titolo inaugurale della Stagione d’Opera 2011 del Teatro Comunale di Bologna che si è avvalso per l’occasione di un allestimento proveniente dal teatro di Erfurt, per la regia di Guy Montavon: un fiacco gusto provocatorio e un cast non sempre all’altezza sono state le cifre che hanno caratterizzato questa produzione. Dopo la lettura dell’Articolo 9 della Costituzione e l’esecuzione dell’Inno di Mameli, lo spettacolo si è aperto con l’antro di Venus ispirato all’iconografia che vorrebbe la divinità come figlia del mare: una cortina calata su cui agiscono videoproiezioni raffiguranti la distesa marina e un’effige del pianeta Venere in perenne rotazione. Dietro si muovono Venus e Tannhäuser, quasi sempre rappresentato nell’atto di scrivere su di un quaderno rosso. Spazzati via gli idilli del Venusberg tramite l’immagine di un gorgo (di lavandino, parrebbe), si staglia la Wartburg mediante l’avanzamento di una piattaforma brulla, punto di partenza per la peregrinazione salvifica, sulla quale i pellegrini abbandonano le proprie calzature. La Sängerhalle è ambientata in quello che sembrerebbe un non ben identificato scenario post bellico: lo scheletro di una libreria sulla sinistra coi vari volumi inceneriti accatastati al suolo che si improvvisano seggi per i cantori e i convenuti alla tenzone. Come ci fa intendere il regista, la perdita della biblioteca di Weimar è indubbiamente da annoverarsi fra i danni più gravi subiti dalla cultura mondiale: nell’economia di una rappresentazione di Tannhäuser, il suggerirlo può essere altrettanto straniante. La redenzione di  Tannhäuser viene pensata attraverso un lieve scroscio di pioggia che ben figura dopo tanto pallore visivo. All’acme della purificazione fa capolino una piccola biblioteca sulla destra da cui un bimbo estrae un libro provocando la caduta di una palla collocata a fianco, verosimilmente un monito a tralasciare le passioni effimere in favore di interessi più nobili. Le scene di Edoardo Sanchi sono perlopiù cupe. I costumi di Amelie Hass, generalmente di brutta fattura, tendono a connotare cromaticamente le due protagoniste: Venus è raffigurata in azzurro, colore legato in modo ineludibile al mare e al mondo iperuranio; di contro, nel secondo atto, Elisabeth veste di rosso per poi presentarsi come semplice pellegrina nell’atto seguente. Gli astanti alla tenzone indossano costumi interamente bianchi, mentre il resto è improntato ad un incerto tentativo di attualizzazione.
Sul versante musicale, Stefan Anton Reck dirige con sicura professionalità: non si impone per particolari linee interpretative ed evita fastidiose ridondanze sonore nella direzione, ben assecondando il cast. Ian Storey mira a gonfiare le note centrali a scapito degli slanci funzionali all’esaltazione di bellezza e passione: l’emissione, poi, tende quasi sempre ad essere imperfetta. Miranda Keys è un’Elisabeth credibile: ha voce garbata e cristallina, anche se caratterizzata da un registro basso piuttosto fioco. Dà il meglio nel secondo atto, nonostante alcuni occasionali estremi acuti calanti: nella preghiera alla Vergine risulta un po’ affaticata ed eccessivamente flebile. Martin Gantner è meritoriamente il trionfatore della serata con la sua bella raffigurazione di Wolfram: di voce piuttosto piccola, mantiene costante il bel timbro e fraseggia con proprietà e naturalezza. Patrizia Orciani è una Venus giocata sulla sola forza dell’accento: l’intonazione dubbia vanifica i tentativi di rappresentare la seduzione e il rancore insiti nel personaggio in maniera efficace. Enzo Capuano veste opportunamente i panni del Langravio, nonostante il centro forzatamente roco. Nel complesso buone le prove di coro e orchestra. Successo per tutti.