New York, Metropolitan Opera:”La Traviata”

Metropolitan Opera, Stagione Lirica 201o-011
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, dal romanzo La dame aux camélias di Alexandre Dumas
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valery MARINA POPVLASKAYA
Alfredo Germont MATTHEW POLENZANI
Giorgio Germont ANDRZEJ DOBBER
Flora Bervoix JENNIFER HOLLOWAY
Annina MARIA ZIFCHAK
Gastone SCOTT SCULLY
Barone Douphol JASON STEARNS
Marchese D’Obigny
KYLE PFORTMILLER
Dottor Grenvil
LUIGI RONI
Giuseppe
JUHWAN LEE
Coro e Orchestra del Metropolitan Opera di New York
Direttore Gianandrea Noseda
Regia Willy Decker
Scene e costumi Wolfgang Gussmann
Coreografia Athol Farmer
Luci Hans Toelstede
Produzione Festival di Salisburgo, Nederlandse Opera
New York, 19 gennaio 2011
Pochi frequentatori del Met rimpiangeranno le produzioni visivamente sovraccariche de La Traviata di Franco Zeffirelli nelle quali era quasi impossibile distinguere i cantanti principali su un palco sfrenatamente sovrapopolato da comparse e sovraccarico di strati di scenografie sgargianti. La messinscena di una delle opere più popolari di Verdi progettata dal regista tedesco Willy Decker è completamente all’opposto rispetto al pandemonio visivo zeffirelliano. Tutti e tre gli atti dell’opera si svolgono dentro un semicerchio di un bianco abbagliante, rimpiazzando  il realismo esagerato di Zeffirelli con una steritlità troppo “concept” e astratta. In linea con tutto ciò, il regista scrive pagine di note esplicative al programma (piene di torturate frasi tautologioche come:  “La Traviata è un’opera sulla morte – e paradossalmente, o forse inevitabilmente, è allo stesso modo un’opera sulla quasi opprimente forza della vita, che guida tutti gli esseri viventi verso la morte…”) nel tentativo di conquistare l’altrimenti annoiato e perplesso spettatore.
Ben prima dell’alzata dl sipario, una figura canuta di “Padre Tempo”, una specie di Dottor Morte, è seduta davanti ad un orologio gigante, che domina il palco per tutta la serata.. Mentre inizia il Preludio, Violetta fa la sua entrata in un abito da sera senza spalline rosso e vaga per il palco, muovendosi, ogni tanto, con fare implorante verso il “Dottor Morte” nel tentativo di afferrare e fermare il movimento delle lancette dell’orologio. Un critico meschino potrebbe chiedere: si trattava di una metafora più abusata o ovvia?
I cortigiani e gli invitati al party dell’alta borghesia, sia uomini che donne, erano vesititi in smoking nero, come a rappresentare delle minacce per Violetta e Alfredo.  Il set circolare, di un bianco ospedaliero, ha creato delle strane distorsioni acustiche nel canto e la grandemente inutile direzione sceniaca ha lasciato i protagonisti a vagare per il palco o li ha costretti a complesse contorsioni sul pavimento o su uno dei divani che facevano sembrare il palco un percorso ad ostacoli. Per amore di giustizia, va detto che il confronto fra Alfredo e suo padre, culminante nell’atto di Germont di colpire il figlio e poi abbracciarlo e piangere fra le sue braccia, è stato efficace e commovente. Mentre Violetta si avvicina sempre di più alla morte nella su a scena finale, un cielo a motivo florale si colora di rosso sangue – richiamando l’immagine di microbi tubercolari visti sotto il microscopio – creando un effetto agghiacciante e di formicolio nella spina dorsale.
La Violetta di Marina Poplavskaya è stata discontinua, passando da un’esplosiva “Sempre Libera,” con una coloratura poco chiara e degli acuti striduli ad una versione commovente e bella dell'”Addio del Passato” dal terzo atto. Non importa affatto se Violetta non riesce ad interpolare  il mi bemolle del  “Sempre Libera,” ma importa se ciò che viene prima è così deludente. Una donna indubbiamente bella ma  costretta a contorcersi, strisciare, vagare e camminare come un fantasma per tutto lo spettacolo: una scelta  scenica sicuramente impressionante, ma non d’aiuto dal punto di vista vocale. In possesso di una voce altrettanto  bella, si ha la sensazione che il soprano sovraccarichi ripetutamente il registro medio, il che potrebbe giustificare le sue difficoltà in momenti importanti e cruciali come  l’esplosione emotiva  dell “Amami Alfredo!” .
Nel ruolo di Alfredo, Matthew Polenzani ha cantato con bellezza e sensibilità costanti. In particolare, la sua “Parigi, O Cara” è stata cantata con uno squisito livello di colore vocale es espressività emotiva. La sua versione della cabaletta del secondo atto “De Miei Bollenti Spiriti” è stata potente senza essere forzata. Il baritono polacco Andrzej Dobber ha interpretato Germont in maniera impressionante e ha cantato “Di Provenza al Mar” con un raffinato senso del verso nonostante la crudele tessitura dell’aria e un leggero cedimento del Sol 7 nella frase di chiusura dell’aria.
Ci sono stati diversi momenti di poca coordinazione fra la fossa e il palco. Il Coro delle zingarelle è stato un completo fallimento a causa di un tempo impossibilmente veloce. A difesa dell’orchestra va detto che ha suonato con meraviglioso equilibrio e uniformità sonora, specie nei preludi del primo e del terzo atto.
Tutto sommato, serata interessante per poche repliche in un teatro dell’opera tedesco di serie B. Una produzione stabile per il Metropolitan Opera? La questione resta aperta e di sicuro provocherà un vivace dibattito. Foto Ken Howard – Metropolitan Opera