Roma, Teatro dell’Opera, Stagione Lirica 2010/ 2011
“NABUCODONOSOR”
Dramma lirico in quattro parti su libretto di per musica in tre atti
su libretto di Temistocle Solera
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco GIOVANNI MEONI
Ismaele ANTONIO POLI
Zaccaria RICCARDO ZANELLATO
Abigaille VIKTORIIA CHENSKA
Fenena EZGI KUTLU
Il Gran Sacerdote di Belo GORAN JURIC
Abdallo SAVERIO FIORE
Anna SIMGE BUYUKEDES
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Riccardo Muti
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia e scene Jean-Paul Scarpitta
Costumi Maurizio Millenotti
Luci Urs Schönebaum
Nuovo allestimento del Teatro dell’ Opera di Roma
Roma, 20 marzo 2o11
Come ideale sviluppo del Moise et Pharaon di Rossini che ha inaugurato la presente stagione dell’Opera di Roma sempre diretto dal maestro Muti e in concomitanza con le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, viene riproposto il Nabucodonosor di Verdi, da sempre, con un che di rassicurante e piacevolmente familiare, noto al pubblico ed alla critica come Nabucco. La recita alla quale abbiamo assistito, passati gli entusiasmi per la prima ed i clamori della serata con le autorità trasmessa in televisione, era la prima di quelle con il secondo cast di cantanti previsto dal cartellone. Si tratta di un nuovo allestimento di un’opera di repertorio, affidato per l’occasione alla regia ed alle scene di Jean Paul Scarpitta ma con un esito che nel complesso, al di là di un fatto di gusto personale, appare di difficile valutazione. Le scene infatti erano sostanzialmente molto spoglie, assolutamente poco accattivanti da un punto di vista visivo, di un’esasperante monotonia cromatica e ridotte quasi al nulla tanto da costringere lo spettatore in diversi momenti ad immaginare cosa stesse accadendo sul palcoscenico. Così pure i movimenti del coro e dei cantanti nell’insieme risultavano convenzionali e spesso slegati dalla musica e dalla narrazione della vicenda, forse con l’intenzione di riscattare e vivacizzare un po’ la staticità oratoriale dell’opera ma con il risultato globale di non esprimere un bel niente. Soprattutto ciò che sfugge è il tipo di taglio che il regista ha voluto imprimere allo spettacolo, come sei si trattasse di un percorso creativo incompiuto o ancora non sufficientemente messo a fuoco. Spiace dirlo, ma con molta franchezza in simili casi verrebbe proprio spontaneo chiedersi se non funzionino meglio le esecuzioni in forma di concerto o, in tempi di crisi, il recupero di precedenti allestimenti. Interessanti e piacevoli a vedersi i costumi creati da Maurizio Millenotti anche se forse ci si sarebbe potuto aspettare qualcosa in più, vista la solennità dell’occasione, alla luce della ricca iconografia offerta dalla archeologia e dalla tradizione teatrale. In particolare forse almeno un cambio di costume per Zaccaria non avrebbe guastato, a raccontarne il dramma del passaggio da sacerdote a prigioniero. Anche l’uso delle luci è apparso discutibile e nel complesso privo di quella magica capacità di suscitare emozioni, evocare atmosfere o semplicemente sottolineare i vari momenti della vicenda. Ma questi, come altri, sono dettagli di un mosaico del quale probabilmente non siamo riusciti ad afferrare, se c’era, il disegno complessivo.
E veniamo invece alla parte musicale, motivo centrale di interesse della serata, come quasi sempre dovrebbe essere in uno spettacolo d’opera e come il titolo proposto e la circostanza richiedevano. Acclamatissimo protagonista, il direttore Riccardo Muti ha impresso alla partitura un ritmo avvincente e sostenuto ma mai appesantito dall’enfasi e dalla retorica quarantottesca, riuscendo sempre a far esprimere la poetica e la cantabilità verdiane in modo ammirevole, restando elegantemente circoscritto nell’ambito di un assoluto rigore formale. A questa concezione bene ha risposto il bravissimo coro diretto da Roberto Gabbiani impegnato in una parte lunga ed onerosa. Le infinite sfumature del suono, la solenne ma sempre morbida esposizione dei temi e la evidentemente appassionata partecipazione si sono infatti fuse con il substrato ritmico e sonoro dell’orchestra, completandolo ed arricchendolo con risultati di singolare fascino. A grande richiesta è stato eseguito il bis del “Va pensiero” a proposito del quale il maestro Muti ha tenuto simpaticamente a sottolineare che nelle recite precedenti non era stato concesso solo nella serata ufficiale riservata alle autorità.
Eccellente la parte maschile del cast che, va detto, avrebbe sicuramente meritato a buon diritto gli onori della prima e della trasmissione televisiva. Nel ruolo del titolo ha cantato il baritono Giovanni Meoni, dotato di una presenza scenica essenziale, naturale ed efficace, unita ad un colore ed un volume vocale ideali per la scrittura della parte e le sonorità scelte dal direttore. Finalmente un Nabucco nobile, non caricaturale, fiero e autoritario ma anche sensibile e commosso nei bellissimi cantabili e nell’aria, il cui sofferto e dolente sviluppo melodico è stato svolto con profonda partecipazione, attraverso un legato ed una intonazione impeccabili che non è frequente avere il piacere di ascoltare. La parte di Zaccaria era affidata al basso Riccardo Zanellato che ha brillantemente superato le non comuni difficoltà del ruolo con la dovuta autorevolezza e con ottima musicalità. La voce sempre morbida ed omogenea in tutta l’estensione anche se di volume non eccezionalmente ampio, gli ha consentito di esprimere al meglio i vari aspetti del personaggio, trovando in modo particolare dei colori molto originali e di rara suggestione nella seconda aria e risuonando sicura ed efficace nella terza. Il tenore Antonio Poli ha realizzato un Ismaele credibile, sinceramente innamorato e sensibile, con un magnifico colore vocale che non è comune sentir prestato a questo ingrato ruolo, unito ad una presenza scenica piacevole e appropriata. In particolare la sua linea di canto è risultata sempre elegante, mai forzata, imbrigliata o indurita dal rigore della scansione ritmica e ben si è amalgamata con le sonorità dell’orchestra analogamente a quanto è avvenuto con il coro. Va anche precisato, a ulteriore testimonianza della sua buona tenuta vocale, che il tenore era titolare anche delle recite con il primo cast e che pertanto questa è stata la seconda serata consecutiva nella quale si è esibito. Tutti validi sia sotto il profilo scenico che vocale gli interpreti delle parti secondarie. In particolare Goran Juric si è distinto per la figura scenica e la chiarezza della dizione, Saverio Fiore per l’equilibrio nel confronto con il baritono e Simge Buyukedes nelle parti di insieme.
Su un piano di gran lunga inferiore al resto della compagnia, si attestano al contrario le due protagoniste femminili. Viktoriia Chenska nella parte di Abigaille ha mostrato alcune imprecisioni di intonazione, un gusto interpretativo risaputo e discutibile e una struttura vocale sostanzialmente inadeguata alla parte, almeno inserita in un contesto simile. Considerazioni analoghe possono essere fatte per la Fenena di Ezgi Kutlu che però, al di là della resa oggettiva, ha dimostrato di possedere delle intenzioni interpretative sicuramente più convincenti sul piano musicale e scenico. Il pubblico ha lungamente applaudito sia a scena aperta che al termine della recita, decretando un meritato successo al direttore, ai musicisti ed ai cantanti, in un clima di sentita e spontanea partecipazione, consono alle celebrazioni in corso ma fortunatamente privo, almeno in questo pomeriggio, di ogni vuota tentazione retorica o presenzialista.
Foto Falsini